Nella bozza del decreto sull’abuso del diritto l’esecutivo quadruplica la
soglia su cui scatta la denuncia
Entrate e Gdf chiedono di rivedere la norma.
Entrate e Gdf chiedono di rivedere la norma.
Il premier 4 giorni fa: “Fisco? Faremo grande battaglia”
Fisco, testo del governo: ‘Non è reato dichiarazione infedele sotto 200mila euro’
Il decreto sull'abuso del diritto quadruplica la soglia di punibilità: fino a 199mila euro rimarrebbero solo le eventuali sanzioni amministrative. Intanto Padoan fa sapere che lo Stato conta di recuperare solo 7 miliardi sui 530 complessivi delle cartelle fiscali non pagate
“Corruzione e evasione in Italia valgono 160 miliardi di euro, il 10% del Pil”. Matteo Renzi l’ha ricordato solo tre giorni fa, in un tweet inviato mentre era in Australia per il G20 di Brisbane. Di conseguenza, ha detto il premier, “l’Italia a casa propria deve fare una grande battaglia, che abbiamo già iniziato”. D’altronde il governo, stando alle dichiarazioni ma anche ai numeri inseriti nella legge di Stabilità, combattendo quei fenomeni conta di recuperare molte risorse. Eppure, auspici e dichiarazioni a parte, le “misure concrete” dell’esecutivo non vanno in quella direzione. Nei casi migliori sono impantanate in Parlamento o non pervenute, nei peggiori anziché stringere le maglie per gli evasori le allargano. L’ultimo caso è quello del decreto sull’abuso del diritto, uno dei provvedimenti attuativi della delega fiscale con cui le Camere hanno autorizzato il governo a riscrivere le regole del fisco. Il testo, in teoria, deve chiarire i confini tra sfruttamento “lecito” delle scappatoie consentite dalla legge per pagare un po’ meno tasse e abuso o evasione vera e propria. Ma dalle bozze, rese note dall’agenzia Public policy, emerge tutt’altro: non solo sono rese non punibili le fatture false di valore inferiore a 1.000 euro, ma viene anche quadruplicato, dagli attuali 50mila a 200mila euro, il limite oltre il quale la dichiarazione infedele presentata al fisco per evadere le tasse è un reato penale. Insomma: fino a 199mila euro rimarrebbero solo le eventuali sanzioni amministrative, cioè multe. Mentre non sarebbe più prevista, come oggi, la reclusione da uno a tre anni. La soglia, ricorda Il Messaggero, in passato era di 200 milioni di lire, pari 103 mila euro, ma l’ex ministro Giulio Tremonti la dimezzò. Adesso il governo Renzi progetta di portarla a due volte il tetto precedente.
Come già evidenziato, poi, le aziende che aderiscono al regime dell’“adempimento collaborativo” con l’Agenzia delle Entrate vedranno salire il limite della punibilità da 200mila a 400mila euro. Non solo: nella bozza si legge che “ai fini dell’applicazione della disposizione non si tiene conto della non corretta classificazione o valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza e della non deducibilità di elementi passivi reali”. Tradotto: per finire in carcere bisognerà evadere oltre 200mila euro ma nel calcolo di quella somma non sarà considerato il ricorso a “trucchetti” come, per esempio, quello di inserire tra le somme deducibili spese che per il fisco non lo sono.
Ulteriori conferme, dunque, che il decreto delegato, nella formulazione attuale, circoscrive di molto la possibilità delle Procure di intervenire sugli illeciti fiscali in seguito alla denuncia delle Entrate. Per di più con effetto retroattivo, con la sola esclusione dei casi in cui sia già stato spedito l’avviso di accertamento. Tutti aspetti su cui però non c’è accordo tra il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan, l’Agenzia diretta da Rossella Orlandi e la Guardia di Finanza. Anche perché solo una settimana fa Orlandi (convinta sostenitrice della “linea Renzi”, in base alla quale la lotta all’evasione non si fa con i blitz ma incrociando i contenuti delle banche dati già a disposizione del fisco) aveva spiegato che il testo aveva come obiettivo fornire “più garanzie e maggiore certezza del diritto” al contribuente, ma non c’era da temere “un affievolimento della lotta all’elusione“. Sarebbero proprio i contrasti con le Entrate su alcuni articoli ad aver rallentato l’iter del decreto, che stando alle anticipazioni avrebbe dovuto essere licenziato dal Consiglio dei ministri giovedì 20 mentre ora sembra destinato a slittare alla prossima settimana.
Nel frattempo mercoledì Padoan, durante un question time alla Camera, ha detto che lo Stato “a legislazione vigente” prevede di recuperare, su 530 miliardi di cartelle fiscali non pagate (tra tasse, tributi locali e contributi previdenziali), solo 7 miliardi. Mentre la Orlandi ha confermato che nel complesso quest’anno gli incassi saranno identici a quelli del 2013: circa 13,1 miliardi.
“Corruzione e evasione in Italia valgono 160 miliardi di euro, il 10% del Pil”. Matteo Renzi l’ha ricordato solo tre giorni fa, in un tweet inviato mentre era in Australia per il G20 di Brisbane. Di conseguenza, ha detto il premier, “l’Italia a casa propria deve fare una grande battaglia, che abbiamo già iniziato”. D’altronde il governo, stando alle dichiarazioni ma anche ai numeri inseriti nella legge di Stabilità, combattendo quei fenomeni conta di recuperare molte risorse. Eppure, auspici e dichiarazioni a parte, le “misure concrete” dell’esecutivo non vanno in quella direzione. Nei casi migliori sono impantanate in Parlamento o non pervenute, nei peggiori anziché stringere le maglie per gli evasori le allargano. L’ultimo caso è quello del decreto sull’abuso del diritto, uno dei provvedimenti attuativi della delega fiscale con cui le Camere hanno autorizzato il governo a riscrivere le regole del fisco. Il testo, in teoria, deve chiarire i confini tra sfruttamento “lecito” delle scappatoie consentite dalla legge per pagare un po’ meno tasse e abuso o evasione vera e propria. Ma dalle bozze, rese note dall’agenzia Public policy, emerge tutt’altro: non solo sono rese non punibili le fatture false di valore inferiore a 1.000 euro, ma viene anche quadruplicato, dagli attuali 50mila a 200mila euro, il limite oltre il quale la dichiarazione infedele presentata al fisco per evadere le tasse è un reato penale. Insomma: fino a 199mila euro rimarrebbero solo le eventuali sanzioni amministrative, cioè multe. Mentre non sarebbe più prevista, come oggi, la reclusione da uno a tre anni. La soglia, ricorda Il Messaggero, in passato era di 200 milioni di lire, pari 103 mila euro, ma l’ex ministro Giulio Tremonti la dimezzò. Adesso il governo Renzi progetta di portarla a due volte il tetto precedente.
Come già evidenziato, poi, le aziende che aderiscono al regime dell’“adempimento collaborativo” con l’Agenzia delle Entrate vedranno salire il limite della punibilità da 200mila a 400mila euro. Non solo: nella bozza si legge che “ai fini dell’applicazione della disposizione non si tiene conto della non corretta classificazione o valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza e della non deducibilità di elementi passivi reali”. Tradotto: per finire in carcere bisognerà evadere oltre 200mila euro ma nel calcolo di quella somma non sarà considerato il ricorso a “trucchetti” come, per esempio, quello di inserire tra le somme deducibili spese che per il fisco non lo sono.
Ulteriori conferme, dunque, che il decreto delegato, nella formulazione attuale, circoscrive di molto la possibilità delle Procure di intervenire sugli illeciti fiscali in seguito alla denuncia delle Entrate. Per di più con effetto retroattivo, con la sola esclusione dei casi in cui sia già stato spedito l’avviso di accertamento. Tutti aspetti su cui però non c’è accordo tra il ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan, l’Agenzia diretta da Rossella Orlandi e la Guardia di Finanza. Anche perché solo una settimana fa Orlandi (convinta sostenitrice della “linea Renzi”, in base alla quale la lotta all’evasione non si fa con i blitz ma incrociando i contenuti delle banche dati già a disposizione del fisco) aveva spiegato che il testo aveva come obiettivo fornire “più garanzie e maggiore certezza del diritto” al contribuente, ma non c’era da temere “un affievolimento della lotta all’elusione“. Sarebbero proprio i contrasti con le Entrate su alcuni articoli ad aver rallentato l’iter del decreto, che stando alle anticipazioni avrebbe dovuto essere licenziato dal Consiglio dei ministri giovedì 20 mentre ora sembra destinato a slittare alla prossima settimana.
Nel frattempo mercoledì Padoan, durante un question time alla Camera, ha detto che lo Stato “a legislazione vigente” prevede di recuperare, su 530 miliardi di cartelle fiscali non pagate (tra tasse, tributi locali e contributi previdenziali), solo 7 miliardi. Mentre la Orlandi ha confermato che nel complesso quest’anno gli incassi saranno identici a quelli del 2013: circa 13,1 miliardi.
In questo quadro, le altre norme per il contrasto all’evasione annunciate dal governo sono in stallo. A Palazzo Madama si prospetta lo slittamento a dicembre della discussione della legge sulla voluntary disclosure, cioè il rientro dei capitali detenuti illecitamente all’estero previo pagamento delle tasse dovute ma con sanzioni molto attenuate. Il provvedimento introduce anche per la prima volta nell’ordinamento italiano il reato di autoriciclaggio. L’esecutivo puntava a far partire le nuove norme, da cui conta di ricavare un extra gettito di 4-6 miliardi di euro, prima della fine dell’anno, anche perché a gennaio scatta lo scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali previsto dagli accordi tra i Paesi Ocse. Il calendario dei lavori rende però improbabile che si riesca a centrare l’obiettivo, visto che il testo deve anche tornare alla Camera per una nuova lettura. In questo quadro si sono poi perse le tracce dell’atteso ddl sulla criminalità e i patrimoni illeciti. Quello che dovrebbe contenere l’auspicato ripristino del falso in bilancio.
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