Questo
autunno ha ripreso vigore, sulla spinta delle lotte dei lavoratori, il
dibattito sulla necessità di una rappresentanza politica del mondo del
lavoro. Non che la conflittualità operaia, come quella di tante altre figure del lavoro dipendente, fosse mancata in questi anni.
Ogni anno innumerevoli vertenze sono state combattute nelle città italiane. Ma
l’attacco arrogante ed esasperato portato dal Governo Renzi ha esteso
la consapevolezza dell’esistenza di un fronte che divide capitale e
lavoro e della necessità di resistenza della classe lavoratrice alle condizioni di vita e di lavoro che le vengono imposte.
Le questioni che allora si pongono sono: come trasformare questa
conflittualità diffusa e questa consapevolezza crescente in un percorso
di riconoscimento e di protagonismo politico della classe? Quali sono le
strade per evitare che queste lotte non si riducano a una nuova opportunità di rilancio per le mediazioni a ribasso di un ceto politico e sindacale opportunista? Come, invece, cogliere l’occasione che offrono per stringere
i legami tra le diverse categorie, tra i diversi settori, le diverse
mansioni, i diversi inquadramenti contrattuali, le differenti origini e
le differenti aspettative dei lavoratori, tutte sotto il fuoco di una
medesima offensiva?
Quello che sta accadendo a Livorno ci mostra una strada che crediamo sia quella da percorrere senza indugi e a cui desideriamo dare tutto il sostegno possibile.
Proviamo a raccontare cosa succede
La città è attraversato da numerose vertenze
che si incrociano dentro uno scenario drammatico. Gli appalti non
vengono rinnovati, le fabbriche chiudono pur se producono utili, non
vengono sbloccate le risorse per i necessari lavori di rinnovamento
delle infrastrutture e degli impianti produttivi. Una pesante deflazione
avvolge la città, mentre il tasso di disoccupazione tocca il 16,5% e l’emergenza abitativa e sanitaria si diffonde di giorno in giorno.
L’origine di questa situazione va ricercata
nel lungo periodo: la fine della grande industria a partecipazione
statale, la liberalizzazione del lavoro portuale e la progressiva
contrazione del pubblico impiego hanno distrutto i tre pilastri del
regime di regolazione che aveva determinato il benessere della città
negli anni Sessanta e Settanta. Il modello di sviluppo proposto
per la città negli anni Novanta e Duemila si concentrava allora su
finanza e mattone, cercando di fare della deindustrializzazione della
città un grande affare. Una pioggia di capitali cadde in città
sotto forma di pre-pensionamenti, incentivi, liquidazioni, prestiti
bancari per operazioni immobiliari e commerciali, finanziamenti per
grandi riqualificazioni urbane come Porta a Mare, Porta a Terra, il
Nuovo Centro. Per un certo periodo, questo movimento ha reso invisibile
la crisi. Ma come sempre accade, ogni bolla di sapone infine esplode.
Un recente studio dell’Irpet ci offre un dato chiaro: il territorio livornese presenta una grande intensità di capitale e di suolo utilizzato e una bassissima intensità di lavoro.
Cioè, in proporzione, i soldi e i terreni immessi nei processi
produttivi generano molti profitti per chi investe e pochissime
opportunità di lavoro per la popolazione. Arricchiscono i pochi e
impoveriscono i molti. Superficialmente si potrebbe dire che allora non
sono più lo sfruttamento e il salario i temi centrali attorno al quale
impostare una lotta. Ma la realtà che le lotte rivelano ci dice
esattamente il contrario. Con ancor più forza la questione del diritto
al lavoro è esplosa in città, travolgendo preesistenti equilibri
politici e mostrando che questo sistema non produce la «fine del lavoro» ma un maggiore e più generalizzato sfruttamento.
I lavoratori sotto attacco – che siano
riparatori navali o metalmeccanici della componentistica auto, operai
petrolchimici o lavoratori delle cooperative sociali, dell’ipermercato
coop e delle ditte di pulizia, precari della scuola vittime della nuova
riforma o portuali, facchini o lavoratori dei call-center – hanno
mandato avanti il territorio per anni, producendo una ricchezza sociale
che è stata trattenuta quasi interamente in poche mani. Oggi si
vuole ulteriormente ritoccare questa proporzione, rivedendo le
condizioni di lavoro, le gare di appalto, i diritti sindacali, oppure direttamente lasciando la città dopo averla spolpata, come sta facendo la TRW,
abbandonando uno stabilimento in salute per sfruttare di più lavoratori
di altre parti del mondo. Per dare copertura legale e rendere tutto
questo un moto sistematico serviva però il Jobs Act di Renzi.
Già alle elezioni amministrative del maggio scorso si erano visti i primi effetti della crisi sugli equilibri politici. Il partito di governo della città, il PD, è stato sconfitto
dal candidato del Movimento 5 Stelle grazie all’appoggio al secondo
turno di una lista decisamente orientata a sinistra, Buongiorno Livorno,
capace di prendere più del 16% al primo turno e dotata di forte
credibilità presso la parte più combattiva del mondo del lavoro. Ma
i passaggi elettorali sono ben poca cosa se non sono accompagnati dalla
capacità dei lavoratori di mettere in piedi delle istanze autonome
capaci di far valere i propri interessi.
Su un ragionamento simile, è
nato in città nei mesi scorsi il Coordinamento lavoratori e lavoratrici
livornesi in lotta, fin dai primi incontri partecipato da centinaia di
lavoratori. Con nostra grande gioia siamo stati chiamati tra i
relatori della serata di presentazione del progetto, per raccontare il
nostro metodo di lavoro in quanto organizzazione nazionale e
territoriale. Il Coordinamento opera con modalità che condividiamo
pienamente: mappa il territorio per comprendere come viene prodotta la ricchezza e chi la produce; fa inchiesta
a partire dalle singole vertenze per supportare i lavoratori nella
conoscenza del ciclo produttivo e della situazione economica aziendale; supporta un movimento
che va dal basso verso l’alto, ossia dai bisogni concreti dei
lavoratori e dal protagonismo che esprimono verso l’organizzazione delle
istanze di lotta, mediazione e rappresentanza, e non il contrario; ma
soprattutto mette in connessione i diversi lavoratori in lotta, cioè
organizza la solidarietà superando le divisioni sindacali, categoriali,
di settori sociali e di inquadramento. Lo fa avendo una
relazione di internità con la gran parte delle RSU cittadine impegnate
in vertenze, mettendosi a disposizione e mai sovradeterminandole.
La solidarietà è una pratica concreta.
Vuol dire mirare a mettersi in condizione, in quanto lavoratori, di
essere ogni volta in grado di ribaltare i rapporti di forza. Vuol dire
essere consapevoli che, una volta che gli spazi di concertazione non
riescono nemmeno più a garantire le briciole, non c’è altro modo che
risolvere le esigenze quotidiane mettendo in campo una mobilitazione
sociale determinata e in grado di reggere nel tempo. E allora il lavoro
di un Coordinamento è quello di far incontrare i lavoratori, di
organizzare iniziative di lotta comuni, di far sì che ogni lotta diventi
un tassello di una lotta più grande, così che la una singola vittoria,
una resistenza, diventi un trampolino per tutte le altre vertenze. Come
detto, la solidarietà è una pratica concreta: un presidio di trenta
persone è differente da un presidio di trecento persone, una cassa di
resistenza partecipata da tutta la città riesce a permettere ai
lavoratori di insistere nella protesta ben più a lungo, lo sforzo di
comunicazione e di visibilità che ogni lotta necessita ha ben altro
esito se è sostenuto dentro una rete vitale e partecipata invece che
nella solitudine. Uniti siamo tutto, divisi siamo deboli.
E’ soprattutto attorno alla lotta della TRW
che si è creata nelle scorse settimane una nuova emergenza. Più di 400
lavoratori sono direttamente implicati dalla volontà della
multinazionale di chiudere lo stabilimento livornese. Il protagonismo
operaio è stato molto forte e, una volta saputo che i manager
dell’azienda erano a colloquio in Confindustria, i lavoratori hanno assediato il palazzo dell’organizzazione padronale, costringendovi dentro i manager, e infine occupandolo.
Il ruolo del Coordinamento è stato importante e riconosciuto dagli
operai stessi, soprattutto nella capacità di organizzare occasioni di
solidarietà che hanno non hanno fatto sentire abbandonati i lavoratori.
Negli stessi giorni, i lavoratori della COOPLAT sono in presidio permanente davanti al Comune per ottenere il rispetto della clausola sociale nel rapporto di appalto e nuvole nere si addensano sull’ENI.
E queste non sono che la punta di un iceberg di un territorio dove la
logica dello sfruttamento sta riducendo alla disperazione numerose
famiglie.
Per sabato 15 novembre il
Coordinamento ha avuto la capacità di costruire un corteo cittadino che
riunisse le varie vertenze dentro un’unica «Vertenza Livorno»
per rimettere al centro la questione del lavoro e imporre il
protagonismo e la forza della classe lavoratrice. Hanno aderito le RSU,
le RSA, i lavoratori e le lavoratrici di: TRW Automotive Livorno, Porto
Livorno 2000, Agenzia per il Lavoro in Porto, Compagnia Toscana
Trasporti Nord, Raffineria ENI e ditte esterne, Compagnia Generale
Trattori, TEF, CLS, RFI, Ex Delphi, Agenzia Espressi, Appalti Pubblici
Scuole - Dussmann, Cooperative Sociali - RSA Pascoli e Villa Serena,
People Care, Ipercoop, Cooplat, Autisti Autosped G (Stagno), Trans Sea
srl - Gruppo Podda, Gruppo Mercurio, Sidis supermercati, Provincia e
Sviluppo, Comune di Livorno, Scuola, Ferrovie dello Stato e Trenitalia,
Solvay Solution Livorno, Piaggio e Continental (provincia di Pisa).
Tutte queste RSU e RSA hanno aderito avendo riconosciuto l’urgenza di un
simile percorso e senza quindi aspettare la discussione delle dirigenze
sindacale. Alla testa del corteo si alterneranno le vertenze che sono
più urgenti in questo momento e nessuna appartenenza sindacale o
partitica apparirà in mezzo agli striscioni delle RSU.
La questione della città è complessa e ne contiene tante insieme. Non basta la mobilitazione politica del lavoro, serve anche una mobilitazione di saperi per trovare delle uscite a questa crisi. Sarebbe davvero urgente riavviare una discussione su cosa e come produrre, come dividere la ricchezza sociale.
Ma questo è un punto di arrivo. Il punto di partenza è quello per cui a
Livorno oggi si sta praticando la direzione annunciata da Marx ed
Engels nel Manifesto del Partito Comunista, ossia che i
lavoratori sono spinti a lottare, possono perdere e spesso succede fino
a che i rapporti di forza non sono ben costruiti, ogni tanto vincono,
ma quello che conta è che nella lotta si produce l’unità dei lavoratori e
dunque sono poste le basi per le vittorie future. Questo sta accadendo in queste settimane a Livorno.
Come Clash City Workers ci muoviamo in
questa direzione e pochi giorni fa – dopo la grande manifestazione
romana della CGIL che ha confermato la centralità del lavoro dipendente,
operaio, precario, cognitivo, stagionale che sia – abbiamo espresso una
semplice proposta politica: «Cosa dobbiamo e possiamo fare noi? Quello
che già facciamo, moltiplicato però per mille, per diecimila, per tutti i
compagni che siamo in Italia. Dobbiamo stare nelle vertenze, unirle -
come dimostrano i successi organizzativi che stanno ottenendo i compagni
di Livorno. Supportare la resistenza, costruire comitati autonomi di
lavoratori, intersindacali, intercategoriali, che pongano al centro le
nostre esigenze e la solidarietà di classe. Costruire tutti insieme -
lavoratori più meno precari, studenti, disoccupati - una vera
opposizione a questo governo. Non in generale alla “crisi”, all’
“austerity”, ma a QUESTO governo che fa QUESTE politiche, per metterlo
in difficoltà, farlo arretrare, prendere sicurezza in noi stessi. E così
preparare l'offensiva: un momento di rilancio, di estensione di
diritti, di aumento di salari etc.». E oggi, che a Livorno è nato
proprio un organismo autonomo, intersindacale e intercategoriale di
lavoratori, siamo desiderosi di offrire quanto di meglio possiamo per la
riuscita del percorso, spingendo dal punto di vista comunicativo e
operativo il progetto e soprattutto, con la presenza concreta dei
lavoratori e dei militanti che compongono la nostra organizzazione.
A Livorno, dopo il secondo conflitto
mondiale, la città era interamente distrutta dai bombardamenti. Fino
almeno al 1955, la situazione economica non si avvicinava assolutamente
ai livelli precedenti alla guerra e il padronato sfruttava la situazione
di povertà diffusa per abbassare le condizioni di lavoro ed eliminare i
diritti sindacali. La situazione di profonda crisi non confuse il
movimento operaio livornese, che reagì all’attacco padronale e alla
povertà con le armi tradizionali dei comunisti: l’unità dei lavoratori.
Ben consapevoli che resistere non sarebbe bastato e quello che sarebbe
servito era una mobilitazione di saperi e di sforzo collettivo per
pianificare la ricostruzione economica della città, il movimento
operaio, nei momenti più duri in cui qualsiasi ipotesi di reazione
sembrava vana, intanto resisteva, non mollando di un centimetro e
mobilitando ogni risorsa necessaria a questa resistenza, preparando
l’offensiva futura. Non solo si mobilitavano in soccorso reciproco tutte
le categorie, ma anche i numerosissimi disoccupati erano parte
integrante della Camera del Lavoro e non solo il Porto e il Cantiere
navale, ma la città intera chiudeva le serrande se in piazza scendevano i
lavoratori.
Oggi a Livorno, come ovunque del resto, è il momento di ritrovare questa ampiezza di visione, è il momento di supportare la resistenza per preparare l’offensiva.
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