Il nuovo prodotto è pronto. La politica in
crisi di consenso deve produrre leader, venderli e produrne di
nuovi, per alimentare lo spettacolo dello scontro bipolarista e
il flusso illusione-disillusione su cui si basa.
Il nuovo prodotto è
naturalmente Matteo Salvini. I nuovi prodotti politici vengono
sempre lanciati da massicce campagne pubblicitarie, ma forse la
campagna per la produzione e per la promozione di Salvini non ha
precedenti. D’altra parte si partiva da condizioni difficili:
una Lega al 3 per cento. L’avventura era particolarmente
affascinante.
Il segretario della Lega è ininterrottamente in televisione,
spesso due volte al giorno, dalla campagna elettorale per le
europee. Non può essere solo perché «fa audience» (fa audience?).
Dopo, ci si produce in continue analisi sul perché la Lega cresca
nei sondaggi, celebrando le doti del leader, le sue abilità
comunicative, la sua bravura ad intercettare gli umori popolari.
La Lega cresce perché Salvini è in televisione due volte al giorno.
Una parte secondaria del merito va anche alla sua capacità di
individuare poche chiare questioni per posizionarsi sul mercato
(No all’Euro e all’immigrazione). Ma nessuno se ne accorgerebbe se
non ci fosse la prima condizione.
Si può immaginare quali siano gli effetti sperati di questa
campagna di successo. Partiamo dal settore di mercato che deve
conquistare: il suo principale destinatario sono i ceti
popolari, cioè il principale target di tutte le più recenti
campagne per il lancio dei leader, che infatti sono cresciuti
elettoralmente innanzitutto in quell’area.
Primo effetto: la Lega, nel suo nuovo vestito lepenista, è in grado
di spostare il discorso sulla crisi dal piano sociale a quello della
sicurezza. Una funzione fondamentale, mentre riemerge in Italia
una dialettica sociale che riguarda il lavoro e le condizioni di
vita dei settori popolari. A questo si aggiunga la campagna,
lanciata dal Corriere e ripresa dai talk show, sulle case occupate.
Primo risultato: la rappresentazione è quella di un mondo popolare
infiltrato dalla criminalità e il cui problema principale sono
gli immigrati. Il suo secondo e terzo problema sono i politici e i
sindacati.
Secondo effetto: Renzi è stato in questi mesi il monopolista del
mercato politico. Ma la rappresentazione spettacolare dello
sport politico non regge se non c’è un nemico, l’antagonista, lo
sfidante, il cattivo. A che cosa appassionarsi altrimenti? Il
mercato è competizione, il prodotto vincente deve essere sfidato
dal prodotto che lo sostituirà. In più: nella prossima campagna
elettorale l’ex monopolista potrà dire che bisogna votare Pd per
evitare il pericolo-Lega. Così, mentre l’elettorato di sinistra sarà
tentato di votare un nuovo possibile soggetto politico, si potrà
ancora ricorrere alla magia del voto utile.
Il tema centrale è dunque lo spostamento del conflitto sociale
su altri piani.
Il prodotto-Grillo e il prodotto-Renzi l’hanno spostato
sul piano delle opposizioni tra vecchio e nuovo, tra sistema
(politico) e anti-sistema, tra Casta e anti-Casta. Adesso bisogna
trovare qualche nuovo terreno di gioco, non si può fare sempre la
stessa gara (il pubblico si annoierebbe e guarderebbe altrove). Ed
ecco riemergere la questione-sicurezza, eterna Fenice che risorge nei
momenti di possibile mutamento politico. Il Corriere della Sera a
questi reality partecipa sempre con entusiasmo e da
protagonista: il brand della Casta, come la campagna sulla
legalità nelle periferie, è nato sulle sue colonne.
Contemporaneamente, tutti i media celebrano dalla mattina alla
sera la messa cantata delle virtù dell’impresa. Gli imprenditori
licenziano, chiudono, delocalizzano, non pagano i dipendenti, li
forzano a dimettersi, rendono le aziende luoghi invivibili (si
trovi qualcuno che è contento del suo lavoro) e privi di libertà, non
investono in ricerca, corrompono i politici, cercano unicamente
posizioni di mercato protette (la meritocrazia è per qualcun
altro, è competizione tra i destinatari di queste campagne
pubblicitarie). Ma la rappresentazione unanime degli
imprenditori è quella degli eroi (in prima fila, nella messa cantata,
c’è Salvini). Nei talk show circola costantemente anche una nuova
figura: il giovane startupper, magari emigrato in America per
aprire un’impresa innovativa che dà tanti posti di lavoro a giovani
di talento (agli altri no, se non hai talento puoi stare a casa). Lo
sturtupper, vestito a metà tra il virtuoso dello skateboard e il
proprietario di un Fondo investimenti, occupa più o meno la
posizione del Messia: lo si mette al centro dello studio, lo si
celebra, gli si chiede a bocca aperta «Cosa dobbiamo fare?», si punta
il dito verso la telecamera e, soprattutto se si è un giornalista
del Corriere della Sera, si dice: giovani, avete capito? Dovete fare
così.
In questi anni si è esagerato a celebrare la fine della
centralità del conflitto di classe in società che erano e restano
capitalistiche. Questo conflitto si presenta sempre in forme
spurie, cambia nel tempo, a volte è difficile da leggere, ma incide
sempre in modo determinante sulla politica. Molte cose rilevanti
possono essere lette a partire da questa chiave, che ovviamente non è
mai esaustiva. Per esempio, può essere letta così tutta la
traiettoria che va dal Pci al Pd: il suo spostamento dalla
centralità del lavoro alla centralità dell’impresa è il nucleo
fondamentale di ogni suo cambiamento. Oppure le vicende politiche
che vanno dal 2006 a oggi: la campagna per la lotta alla Casta e per
la diffusione dell’antipolitica, lanciata mentre in Parlamento
c’erano 150 rappresentanti della sinistra radicale; la creazione,
nello stesso periodo, del Pd, con la promozione del Veltroni
innovatore che correva da solo; la grande coalizione Pd-Forza
Italia; Renzi; Salvini. Non si possono leggere questi eventi senza
considerarli anche un momento del conflitto di classe dei ricchi
contro i poveri (e contro i loro rappresentanti), contemporaneo
all’esplodere di una crisi finanziaria, economica e sociale
quasi-permanente.
Un nuovo soggetto politico della sinistra può solo ripartire da
questo luogo, da questo tema e da questi soggetti. Dagli alleati e
dagli avversari che può avere in questo contesto. Bisogna farlo in
modo innovativo, certo, ma senza più indugiare su alibi come «la
società è cambiata», «non ci sono più le grandi fabbriche», «ormai
gli operai votano a destra».
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