Il partito della nazione naufraga proprio nella regione (un tempo)
più rossa. Il mito del “solo con me si vince” è già appassito. La cura
Renzi non funziona e viene rigettata in maniera clamorosa dagli
elettori tradizionali della sinistra. Pochi si scomodano per
votare il disegno regressivo che postula un uomo solo al comando. Un
leader che tramuta il mondo in vuota chiacchiera non è percepito
come una soluzione ai dilemmi di un sistema complesso e differenziato.
La camicia bianca, che si agita con la ossessiva simulazione di
un decisionismo ad oltranza che nulla cambia in meglio, calpesta
tutte le basi della cultura della partecipazione, così radicata
nell’Italia centrale, ancora ricca di movimenti, associazioni,
organizzazioni sindacali, cooperative. Dove persistono tracce
di capitale sociale e operano momenti di politica organizzata, il
renzismo viene vissuto già come un corpo estraneo. Molti
cittadini, che pure lo hanno guardato senza una inimicizia
preventiva, lo affrontano ora come una minaccia. E intendono
combatterlo dopo la irreversibile frattura con il mondo del
lavoro.
Non convince un programma economico-sociale di tipo
confindustriale, che in maniera radicale schiaffeggia il lavoro
e calpesta il ruolo della rappresentanza sociale. Con la sua
ideologia neopadronale, Renzi non riesce a tenere sotto controllo
il campo che con le primarie è riuscito a conquistare con un’abile
scalata ostile. Crolla il disegno di un populismo mite, che
penetra tra i moderati delusi e li cattura con le armi
dell’antipolitica che investe in un nuovo volto. La retorica
anticasta in salsa renziana si rivela una maschera fasulla che
protegge un esplicito contenuto di classe e spezza le corde più
sensibili di una sinistra sia pur moderata.
L’ideologia del “Renzi performer” (la formula è stata coniata da
un estasiato Ezio Mauro, conquistato dalla mera forza corporale del
leader) già arranca. Non basta la rappresentazione in chiave di
velocità, energia, vigore fisico. Lo spiegava bene Freud. «L’uomo
energico è colui che riesce a trasformare in realtà le sue
fantasie di desiderio. Laddove ciò non riesca, a causa della
opposizione del mondo esterno e della debolezza dell’individuo, ecco
comincia la deviazione dalla realtà; ecco l’individuo cercare
rifugio nel mondo di fantasia, dove trova l’appagamento». E’ proprio
questo rifugio in un universo fantastico il problema che
tormenta Renzi, alle prese con la difficoltà estrema di armonizzare
i desideri con la sfuggente realtà.
Un leader politico che in nome della pura energia ritiene di
piegare il reale con le tappe mitologiche di un crono programma di
governo, dinanzi ai fiaschi palesi del suo puro slancio vitale,
definisce un mondo separato apparecchiato con connotati
ingannevoli e con vanterie prive di ogni riscontro. La sua fuga
dalla contingenza spiacevole, che evita in ogni modo di visitare
anche quando ha il volto dell’emergenza naturale o del malessere
sociale, è destinata ad interrompersi con l’acuirsi della crisi.
Proprio il cammino oggettivo della crisi smentisce la favola bella
e costringe il politico della narrazione deviante al recupero del
dato empirico che intendeva trascendere. La realtà invano
accantonata, nelle sue più ruvide sembianze si ripresenta. E mostra
il volto duro delle sofferenze, delle rabbie ben diverse dalla
rassicurante narrazione. Lo scenario edificante, venduto al
pubblico da un grigio conformismo mediatico, viene respinto da un
principio di realtà che proprio la cruda crisi ridesta ogni volta.
La testarda forza delle cose trafigge il vano chiacchiericcio
renziano sul futuro, la speranza, la bellezza, il merito. Adesso che
la sua favola viene rifiutata perché, nella disciplina del lavoro, ha
il volto della semplificazione di classe, bisogna evitare che dal
tonfo del profeta della rottamazione si esca da destra. Urgono
credibili lavori di ristrutturazione a sinistra. Per non finire
sepolti tra le braccia di un populismo ancora più forte di quello
dello statista immaginario fiorentino oppure tra le morse di un
asettico commissario che colpisce con la sacra bibbia europea
del rigore e dell’austerità.
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