Una volta avevo un amico, che più che altro era un amico di mia
sorella, che era intrippatissimo con la politica al liceo, uno di quelli
vestiti in un certo modo, con i capelli in un certo modo; organizzava
le manifestazioni contro la guerra in Iraq, sempre in prima fila, lui e
le sue incrollabili certezze. Mi stava anche simpatico.
Militava in un partito che si chiamava Comunisti Italiani, e allora
conosceva il segretario, il presidente, il consigliere comunale della
città, ed erano sempre tutti impegnatissimi in questa cosa, che poi
l’impegno più che altro era parlare per ore dell’organizzazione di un
convegno pallosissimo e di chi si sarebbe candidato di lì a due anni e
di Gianfrancesco che stava nell’esecutivo nazionale e di Pierpaolo che
prendeva pure 800 euro al mese, che culo, per seguire la Fgci nella
regione dove si era trasferito.
L’ideale mi affascinava, l’impegno pure. Ma era tutto quanto troppo autocentrato, la mia organizzazione, la mia sezione, la mia vita nel partito.
E gli altri? Cioè, voglio dire, i valori erano al servizio della
propria capannuccia o della società nel suo complesso? A chi si stava
parlando? Non capivo questo. Ma ero appena maggiorenne, era
comprensibile il mio non capire.
Anni dopo, pensandomi più maturo, entrai nella sede di un partito di
un quartiere popolare. Chiesi la tessera, me la diedero. Adesso cosa
succede?, mi domandai. Conobbi subito questo ragazzo, anche perché era
l’unico che c’era, e mi ricordava quell’amico di mia sorella. Stessi
capelli, stesse magliette, stesse fisime. Ovvero: la corrente di qui, la
corrente di là, il numero di delegati, la battaglia congressuale, la
mozione, l’iniziativa. L’ideale mi affascinava, l’impegno pure. Ma anche
stavolta: tutto troppo autocentrato. E gli altri? Cioè, voglio dire, mi
ripetevo, i valori erano al servizio della propria capannuccia o della
società nel suo complesso? A chi si stava parlando? Non capivo questo, e
non ero più poco più che maggiorenne, ero quasi adulto. Sapevo solo che
quelle discussioni erano la cosa meno attraente possibile per un
qualsiasi ragazzo della mia età (e non solo).
Entrambi – non gliel’ho mai detto, ma lo sentivo – mi guardavano un
po’ strano, perché ero così tiepido e poco interessato alle questioni
interne da sembrare un miscredente, se raffrontato alla loro foga.
Sono passati degli altri anni ancora.
Il primo amico non fa più politica, tempo fa mi confessò di aver votato Cinque Stelle ma di essere completamente all’oscuro delle sorti dei suoi compagni di allora. Il secondo amico non fa più politica nemmeno lui, ogni tanto ci sentiamo, segue distrattamente, quando e se capita.
Il primo amico non fa più politica, tempo fa mi confessò di aver votato Cinque Stelle ma di essere completamente all’oscuro delle sorti dei suoi compagni di allora. Il secondo amico non fa più politica nemmeno lui, ogni tanto ci sentiamo, segue distrattamente, quando e se capita.
Il sottoscritto invece è rimasto dov’era, con la domanda inevasa: ma i
valori in cui credo, e ci credo ancora oggi, anzi oggi ancora di più,
come si trasformano in un progetto di società e non in una
organizzazione autoreferenziale che finisca sempre e solo a parlare di
sé e per sé?
La politica (a sinistra, e mi riferisco a quella sinistra)
ha perso da anni un obiettivo fondamentale, che poi è forse il primo
obiettivo da porsi, prima ancora di quello relativo allo stato di salute
del proprio orticello e della sopravvivenza dello stesso: come si
genera il consenso, come lo si mantiene, come (magari) lo si
aumenta?Come si fa egemonia, come si entra nelle case della
gente, nelle fabbriche, negli uffici, come si riesce a dare spiegazioni
semplici a problemi certamente complessi?
Non ci sono risposte semplici, ma – se penso e se guardo da fuori le
malridotte, inospitali e litigiose sigle della odierna sinistra –
ripartire da una dolorosa eppure necessaria presa di coscienza rispetto
alla propria sterilità, se non addirittura futilità, può essere un
ottimo nuovo inizio.
Perché la mia organizzazione, la mia sezione, la mia vita nel partito non servono a nulla se non hanno lo scopo di costruire un pensiero collettivo, della e per la maggioranza.
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