martedì 25 novembre 2014

Lui primario, noi secondari di Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano


L’astensione è la vera vincitrice delle elezioni. Il partito di maggioranza relativa in questo Paese è il partito di chi si astiene o vota scheda bianca o nulla. Su questo tutti dobbiamo riflettere”. No, non è questo il commento di Matteo Renzi alle elezioni in Emilia Romagna e in Calabria, disertate rispettivamente dal 62,3 e dal 56,2% degli elettori (cioè, se valesse la regola referendaria del quorum, nulle). Quello era il commento alle regionali del marzo 2010, quando le vinse il Pd di Bersani. E non è nemmeno questo: “Chi gridasse al trionfo e stappasse champagne farebbe un errore: abbiamo vinto, però c’è stata un’astensione strabiliante che supera la maggioranza assoluta. E il Pd quasi dimezza i suoi voti sulle ultime regionali”. Qui Renzi parlava del voto in Sicilia dell’ottobre 2012.

E non è neppure quest’altro: “Il Pd ha eletto tanti sindaci, ma un sacco di gente non è andata a votare e l’astensionismo fa paura: dobbiamo recuperarlo. Abbiamo fatto il sorpasso in retromarcia. C’è stata una altissima astensione; abbiamo perso meno degli altri, ma decine di migliaia voti sono andati via. Non è importante che poltrona occupi, ma avere idee. Mi piace la politica come passione e coinvolgimento, è il modo per dire alle persone che sono state a casa ‘venite a darci una mano’”. Qui Renzi si riferiva alle comunali del maggio 2013, vinte dal Pd di Epifani.

No, il commento alla fuga dalle urne calabro-emiliano-romagnole è questo: “2-0 netto. La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare, ma è secondario. Checché se ne dica, oggi non tutti hanno perso: chi ha contestato le riforme può valutare il suo risultato. Negli ultimi 8 mesi ci sono state 5 elezioni regionali, che il mio partito ha vinto 5 a 0. Oggi una qualsiasi persona normale dovrebbe essere felice per questo”.
Proprio quando l’astensionismo diventa il primo partito e prende la maggioranza assoluta, cambia nome: si chiama “non grande affluenza”. E cessa di essere un problema primario: diventa secondario.

Cos’è cambiato da prima a dopo la cura? Che prima il Pd era in mano ad altri, ora è in mano a Renzi. Infatti non si chiama più Pd, ma “il mio partito”. Ed, essendo suo, non può sbagliare. Altrimenti sbaglierebbe Renzi, che invece – com’è noto – ha sempre ragione. Dunque, se gli elettori non votano, è colpa loro, non sua.
La svolta anche semantica della Democrazia Renziana era già stata anticipata alle Europee di fine maggio, quando il Pd raccolse il 40,8% dei votanti, che però erano appena il 57,2% degli aventi diritto: ergo fu scelto da poco più del 25% degli elettori, con meno voti di quelli presi da Veltroni nel 2008 quando fu sconfitto da B. Pur chiamandola ancora astensione, Renzi si consolò col fatto che altrove s’era astenuta ancora più gente: “Abbiamo il primato come paese del numero di chi ha votato”. Ora che ha preso il 50-60% del 40%, gli manca anche la consolazione dei dannati e allora fa come i bambini: rimuove l’elemento negativo come “secondario”. E pazienza se il Pd, fra Emilia e Calabria, ha perso 769.336 voti da maggio e 322.504 dal 2009. Un bel paradosso, per un leader che ha sempre puntato tutto sul consenso popolare, dalle primarie al mitico Quarantunpercento.
Ma c’è del metodo in questa follia. Mentre desertifica gli iscritti al Pd (il “mio partito” ne fa a meno) e diserta le piazze (ne fugge di continuo e sputtana chiunque – dai sindacati ai 5Stelle alla Lega – osi metterci piede), Renzi non fa altro che tentar di convincere gli elettori della loro inutilità: è andato al governo senza passare per le urne e vuole far nominare i deputati dai segretari di partito e i senatori dai consigli regionali.
Gli elettori servivano alla retorica del sindaco d’Italia e delle primarie (solo le sue, però: quelle “aperte”, drogate dai votanti berlusconiani). Ora meno sono e meglio è: vedi mai che, una volta votato, pretendano di controllare che chi hanno eletto non faccia il contrario di quanto aveva promesso. Pussa via, rompicoglioni. Sempre in vista del traguardo finale: un solo elettore, Lui. Che si vota da solo e prende il 100 per cento.

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