C'è
fermento in Europa: le forze della sinistra anticapitalista cercano
coesione e collaborazione per dare ai nuovi protagonismi dei punti di
riferimento
Che la Germania non sia soltanto Angela
Merkel e la Francia Nicolas Sarkozy dovrebbe essere un dato di fatto,
una ovvietà che non merita ulteriori puntualizzazioni. Eppure, eppure,
per mancanza di spazio, di tempo o per dovere di cronaca, tante cose
scappano all’osservatore distratto.
Quello che sta sfuggendo è la vitalità con cui le sinistre a sinistra
del Partito Socialista Europeo, cominciano a muoversi e a cercare di
muoversi, finalmente direi, con politiche coordinate tra loro. Le
elezioni presidenziali francesi hanno fatto da sfondo, il 18 gennaio
scorso, a un incontro passato forse troppo sotto traccia, tra il
candidato del Front de Gauche, ex socialista, Jean-Luc Mélenchon e l’ex
social democratico tedesco, ora segretario di Die Linke, Oskar
Lafontaine. Il giornale Rue 89 titola beffardamente: «Anti Merkozy –
Achtung! Mélenchon renouvelle l’image du couple franco-allemand».
Le sinistre tornano a essere protagoniste non solo in Francia e
Germania. Anche sul versante iberico le notizie che arrivano non sono
tutte negative. Da anni oramai il Bloco de Esquerda si è imposto come
una realtà consolidata nel panorama politico portoghese, questo
nonostante la grave sconfitta alle ultime elezioni che dovrebbe segnare,
si spera, appena un momento di difficoltà temporaneo e non una
definitiva battuta d’arresto. Anche in Spagna la Izquerda Unida ha
saputo rinascere dopo anni di oblio e ottenere una buona affermazione
alle elezioni generali dello scorso novembre.
Bloco de Esquerda, Front de Gauche, Izquerda Unida e Die Linke hanno
tutti saputo, nel bene o nel male, con modalità e strutture differenti,
aggregare un’area, quella della sinistra «estrema», normalmente molto
litigiosa, e portarne le istanze a nuovi protagonismi. Hanno cioè saputo
contrastare un declino costante durato quasi due decenni e ricucire
tutto quel mondo estremamente complesso e contraddittorio che va dai
comunisti ai socialisti, dai verdi ai mille movimenti sociali e civili
nati, in particolare, dalle lotte per una globalizzazione più equa, sul
finire degli anni 90.
La risposta data dai cittadini, misurata sia dai voti concreti, sia, in
modo più virtuale, dai sondaggi, è estremamente positiva: gli istituti
demoscopici danno Mélenchon all’8,5% e Die Linke al 7%, Izquerda Unida
ha preso alle elezioni per il rinnovo delle Cortes spagnole il 6,9%, il
Bloco de Esquerda ha ottenuto poco più del 5,2%.
Le leggi elettorali in vigore in Francia, Germania, Portogallo e Spagna
non aiutano. In un modo o nell’altro la traduzione dei voti in seggi
parlamentari favorisce o formazioni a radicamento locale, come è il caso
spagnolo, o i grandi partiti, come è il caso del maggioritario a doppio
turno francese o il proporzionale con correzione con metodo D’Hondt in
Portogallo e Spagna. In tutti questi paesi chi vota sa bene che i
deputati eletti saranno in proporzione molti meno dei voti ottenuti,
grazie alle distorsioni delle leggi maggioritarie o a tendenza
maggioritaria.
In Spagna, il cambiamento in senso proporzionale puro della legge
elettorale, è addirittura una delle principali istanze del movimento
degli Indignati che per mesi hanno occupato Puerta del Sol. Ci sono poi,
certo, le difficoltà ad abbandonare i vecchi, e mai sopiti, rancori che
per anni hanno polverizzato la sinistra. Insomma tanti i problemi
ancora da risolvere, ma resta un fatto: l’egemonia a sinistra del
partito socialista in Europa è oggi meno forte. Forse dalle braci di
quello che è stato giustamente definito il blairismo, fenomeno nel quale
possiamo inscrivere a pieno titolo anche José Luis Rodrigo Zapatero,
potrà rinascere una sinistra veramente attenta alle necessità delle
persone fisiche e meno per le persone giuridiche, tra cui le banche. Una
sinistra meno permeabile alle istanze del neo-liberismo, che sappia
dialogare con il «centro» sinistra, ma da una posizione di forza, cioè
senza dimenticare il suo compito principale: rappresentare gli strati
più deboli della società, sacrificati oramai da troppo tempo dalle
politiche del blocco centrale – progressisti e conservatori, popolari e
socialisti – che da sempre domina nell’emiciclo del parlamento europeo.
Da un punto di vista teorico sarebbe facile dire che il momento è troppo
grave perché non si mettano da parte i vecchi e, purtroppo, ancora
attuali conflitti (si pensi solo ai modelli di organizzazione:
centralisti o territorial-federali?). Così come è evidente che una
sinistra che non sappia articolarsi a livello internazionale,
soprattutto europeo, che è il campo dove quasi tutte le decisioni
politiche vengono prese, è destinata all’inefficacia e quindi alla
irrilevanza politica. Gli esempi di Grecia e Portogallo sono lì a dirci
che anche in presenza di movimenti di proteste forti e articolati, di
partiti forti e strutturati, se non si riesce a influire su Bruxelles
nulla si può ottenere a Lisbona o Atene. Però, purtroppo, non sempre ciò
che è evidente è anche facile da conquistare e non solo per
l’insipienza dei dirigenti politici, ci sono questioni oggettive
difficili da superare. Non sempre è facile modulare atteggiamenti tanto
differenti, le convergenze parallele sono facili da raggiungere tra
diversi, dove le differenze e le identità sono nette, meno facile è
laddove l’elettorato di riferimento è lo stesso.
Eppure, nonostante tutto, quello che in questi mesi sta succedendo nella
variopinta galassia della sinistra in Europa potrebbe risvegliare
qualche speranza. La reazione dei cittadini ci fa intendere che lo
spazio lasciato vuoto lì alla sinistra del centro sinistra è vuoto non
per mancanza di domanda, gli elettori, ma per la mancanza di una offerta
concreta capace di «intercettare» quella domanda, voti, che non
incontrando un progetto credibile, si traducono in astensione, spostando
inevitabilmente gli equilibri politici verso destra.
Goffredo Adinolfi - il manifesto