domenica 29 gennaio 2012

Ecco Riforma del Mercato del Lavoro, il gioco da tavolo che cancella i diritti - Alessandro Robecchi, Il Misfatto

Più entusiasmante di Risiko! Più divertente di Monopoli! Finalmente un gioco che bastona i lavoratori senza usare la polizia! – Il ministro Fornero è già una campionessa: basta un tiro di dadi per eliminare l’articolo 18 e la cassa integrazione – Il gioco in realtà è antichissimo, ma Monti lo presenta in Europa come una grande novità italiana – Sergio Marchionne è raggiante: “Ottimo! Si possono fregare i lavoratori italiani anche vivendo a Detroit!”.
Un gioco da tavolo entusiasmante, un passatempo perfetto per riempire le pause in Consiglio dei Ministri, per dilettare banchieri e sottosegretari. Si tratta del nuovissimo Riforma del Mercato del Lavoro®, un gioco che unisce strategia, abilità, cinismo ed economia. La struttura ricorda quella dei giochi tradizionali: un tabellone, pedine colorate, dadi e carte. Ma il segreto del successo è che ognuno fa le regole come cazzo vuole. Per abolire l’articolo 18, per esempio, basta fare sei con i dadi e dire che si tratta di giustizia sociale. Lo stesso vale per la cassa integrazione. Per i sussidi ai disoccupati e il reddito minimo garantito, invece, sarà necessario fare quindici volte consecutive uno tirando due dadi: nessuno c’è mai riuscito.
Riforma del Mercato del Lavoro® è in commercio da meno di un mese e già ci sono campioni conclamati. “Il ministro Fornero è molto forte – dice un esperto – soprattutto per il suo cinismo. Pare sia imbattibile , ha ordinato un tabellone in pelle umana e dadi di osso di metalmeccanico”. Intanto si affinano tecniche e strategie di gioco. La migliore è fingere di occuparsi dei precari. “Con la scusa di aiutare i precari si cancellano i diritti a tutti gli altri, e il gioco è fatto – dice un sottosegretario – spesso i sindacati ci cascano alla grande”. Molto preziosa, nel gioco, la carta “diritti acquisiti”: chi la pesca la butta nel cesso ed è favorito per la vittoria.
Come ogni gioco di strategia, richiede buona predisposizione alla menzogna. Per esempio convincere tutti che licenziare i lavoratori faccia bene all’economia aiuta molto, così come leggere gli articoli di Alesina e Giavazzi sul Corriere. Vince, alla fine, chi fa più regali alle banche e ai padroni, riuscendo però a passare per un riformista di stampo europeo che modernizza il Paese. Un gioco bellissimo, insomma. Unico neo, il prezzo: Riforma del Mercato del Lavoro® costa infatti tre punti di Pil e cinque di inflazione. Ma anche qui, nessun timore: se i giocatori sono abili, pagheranno i lavoratori.

UNA LEZIONE DI CLASSE DA LUCIA ANNUNZIATA

Una lezione magistrale! Prendete questo video e riascoltatelo attentamente perchè le parole che sentirete sono il frutto di una storia collettiva, sono il frutto di un percorso di conquista che i lavoratori si sono dati in decenni e decenni di lotta. 
La lotta di classe infatti non è una manna che scende dal cielo, ma una conquista quotidiana, un bene comune da difendere che le classi subalterne hanno conquistato e difeso nel corso della storia. Chi pensa che l'organizzazione dell'azione collettiva sia da gettare nel cesso perchè "tanto sono tutti uguali" è il servitore più grande dei padroni e della banche. Lo è ancora di più perchè presta il suo lavoro gratuitamente, nei bar, nei social network, nei luoghi di lavoro.   Le parole di questo lavoratore sardo oggi sono arrivate come pietre nelle tavole di milioni di italiani che aspettavano di vedere le partite la domenica pomeriggio.  Esse ci fanno intendere che la dignità non è una parola vuota, e ci dicono soprattutto che se c'è la crisi essa non basta per piegare la testa. Vendersi al ricatto, tradire i propri compagni che lottano insomma è sempre un'azione soggettiva. Un operaio anonimo, che vuol restare tale, lo fa perchè ha la coscienza di quello che è, ne è fiero, si sente legato da quel tutti per uno e uno per tutti che è alla base di questo sentimento di unione. In questi decenni in molti, troppi, hanno fatto di tutto per cancellare questo orgoglio e tramutarlo in vergogna.   Il fatto che per tutta la trasmissione questo operaio abbia parlato con in testa il casco di lavoro è un messaggio chiaro rivolto a tutti: non vergognatevi di quello che siete, non provate il senso di colpa per essere cassaintegrati o disoccupati. Questo lavoratore, come tutti i suoi compagni che hanno una coscienza della propria condizione è un monumento vivente. Lo è non come singolo attore nel palcoscenico mediatico che deforma le lotte stesse, ma come parte di una battaglia  concreta ed intrecciata a  quella storia collettiva che si chiama lotta di classe. 

Forum beni comuni: costruire l'alternativa con la società civile


NAPOLI - Costruire l'alternativa attraverso la democrazia partecipata, unendo all'esperienza dei partiti politici quella della societa' civile. Questo il messaggio che parte dal Forum dei Comuni per i beni comuni, organizzato a Napoli dal sindaco del capoluogo partenopeo, Luigi de Magistris. Un'iniziativa che ha coinvolto amministratori locali, associazioni, movimenti. Mille gli iscritti legati a istituzioni o enti, 5.000 tra i semplici cittadini, 13 mila i contatti alla pagina web del Comune dedicata all'evento, 1.500 ai quattro tavoli tematici, che hanno offerto gli spunti per la discussione del pomeriggio.
Economia del territorio e degli enti Locali; Politiche del welfare, diritti, politiche dei migranti e del lavoro; Ambiente e nuovi modelli urbani e Beni comuni, Partecipazione e Servizi Pubblici: queste le tematiche affrontate nei tavoli tecnici, con l'ultimo che e' risultato il piu' affollato come prevedibile. Un modello di "democrazia dal basso", come l'ha definito de Magistris, che "non si puo' fermare con le carte da bollo come si e' cercato di fare per il referendum sull'acqua pubblica", una delle bandiere di questa amministrazione. Per costruire questo percorso comune, aggiunge il sindaco, servono "idee chiare" e "gente con le 'mani pulite', che non vanno tenute in tasca, ma utilizzate per costruire concretamente percorsi nuovi". Perche' "la mia esperienza personale insegna che non si vince concentrandosi sulle alleanza tra partiti, decidendo se mettere insieme Pd, Idv, Sel o altre forze, ma leggendo nel cuore e nella testa degli italiani, che sono gia' oltre i partiti".
In questo modo, aggiunge De Magistris, e' stato pensato lo stesso forum, "mettendo insieme i contenuti che arrivavano dal basso. L'esatto contrario della logica con la quale si e' formato il governo Monti, che si arrocca intorno ai poteri perche' teme queste nuove spinte che arrivano dalla societa'". Per il leader di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, ''Dal forum sui beni comuni di Napoli e' emerso con chiarezza che bisogna rompere col neo liberismo, fare opposizione al governo Monti e a partire da questo lavorare per costruire una prospettiva. E su questo sono d'accordo''.
''Ci sono i partiti - ha detto Ferrero - i sindaci, le associazioni, tante forme con cui fare politica. Non ce ne e' una sola e nessuna e' totalizzante. Noi abbiamo proposto la Costituente dei beni comuni e del lavoro proprio con questo intento. Ma il punto politicamente rilevante di oggi e' che si e' detto che si e' contro la politica del governo Monti e contro il liberismo, questo e' il punto decisivo. E sono sorpreso - ha concluso Ferrero - che anche Emiliano stai dentro un'aggregazione contro il governo Monti e contro il liberismo. E' una novita' di cui sono contento''.
De Magistris vede un'analogia con quanto successo in occasione del referendum indetto dalla Fiat a Pomigliano d'Arco, cosi' come spiega uno degli operai iscritti alla Fiom, Antonio De Luca, presente in sala. "Cercheranno di colpire i punti di democrazia attiva", avverte il primo cittadino. Gli fa eco il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, che invita a "creare una rete di solidarieta' per non lasciare che amministratori come de Magistris restino eroi soli". Il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, sottolinea come questa sia l'unica via percorribile, perche' "nessuno si salva da solo, mentre insieme si puo' salvare il Paese". I
l presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, che ha inviato un messaggio scusandosi per l'assenza, chiede che venga rimessa al centro della discussione "una nuova visione dell'etica politica per restituire centralita' all'interesse generale". Da Napoli e dal sud, spiega il sindaco di Bari, Michele Emiliano, "parte la nuova sfida per ricucire il Paese", anche in vista delle prossime elezioni politiche, per le quali bisognera' decidere le alleanze, partendo magari proprio dai beni comuni.

da www.umbrialeft.it

sabato 28 gennaio 2012

Unire la sinistra contro il governo Monti

di Enrico Flamini, Segretario Provinciale Prc-FdS Perugia

Il governo Monti sta procedendo come un treno e continua con i propri provvedimenti a rendere ancora più inaccettabili le condizioni di vita, di sofferenza e di disagio sociale di larghe fasce della società. Prima con gli aumenti generalizzati, dalla reintroduzione dell'Ici ai carburanti e all' IVA, e con la più pesante controriforma delle pensioni della storia del nostro paese. Poi, attraverso lo specchietto per le allodole delle liberalizzazioni per tassisti, notai e farmacie e senza toccare le banche e i privilegi veri dei grandi patrimoni, il governo rafforza i processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali, da cui si salva solo l’acqua, con ricadute che saranno pesantissime anche per la nostra regione. E oggi il governo si sta accingendo, dopo aver fatto le prove generali con l’eliminazione dell’obbligo del rispetto del contratto nazionale nelle ferrovie, a fare tabula rasa di diritti e garanzie per l'intero mondo del lavoro. Nello specifico, mentre la Cgil aveva presentato una seria proposta di riordino degli ammortizzatori sociali fino all'introduzione di un reddito minimo per i disoccupati di lunga durata, Fornero non solo propone di eliminare la cassa integrazione straordinaria e in deroga, ma anche l'introduzione di un contratto iniziale senza tutele attraverso il quale le imprese possono licenziare liberamente: leggasi abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Alcuni dati: l’Ocse ci dice che in Italia il reddito medio del 10% benestante è 10 volte di più del reddito medio del 10% più povero; la Banca d’Italia ci dice che il 10% della popolazione detiene il 46% delle ricchezze mentre il 14,4% resta in situazione di povertà a causa di reddito insufficiente; secondo l’Istat l’inflazione si è mangiata l'1,8% dei salari; i dati dell'osservatorio Cgil confermano il pesante aumento del ricorso alla cassa integrazione; sempre secondo la Cgil in Umbria i salari continuano ad essere inferiori del 9% rispetto alla media nazionale, 20.000 lavoratori sono in cassa integrazione e i posti a rischio sono circa 10.000. Ecco, in questa situazione di completa assenza di politica industriale, il governo vorrebbe davvero farci credere che grazie ai suoi provvedimenti l'anno prossimo il PIL aumenterà dell'11%? Lo abbiamo già detto e continuiamo a ripeterlo: in Umbria e nella nostra provincia continuano ad aumentare quotidianamente le crisi aziendali e nessun settore, nessun territorio è risparmiato, dalla Franchi alla Grifo, dalla Firema alla Sirap Gema, dalla Merloni alla Brunelli, dalla Trafomec alla Piselli, dalla Faber fino alla mobilitazione degli autotrasportatori. Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza sociale. La priorità in Umbria resta il lavoro. Per questo riteniamo che nel nostro paese sia davvero urgente e necessario far crescere l’opposizione. Dopo la riuscita dello sciopero del 27 gennaio dei sindacati di base, abbiamo un'altra grande occasione con la manifestazione della Fiom dell’11 febbraio. Prima che Monti e i suoi “tecnici” completino l'opera di distruzione dei diritti dei lavoratori, peraltro già avviata da Berlusconi, ribadiamo la nostra volontà di costruire un percorso unitario della sinistra politica capace di proporre al paese una seria e credibile alternativa. Iniziamo dall'Umbria.

Maurizio Landini: perchè scenderemo in piazza l’11 febbraio


Per anni ci è stato spiegato che il mercato avrebbe perseguito il bene comune, come la «Dea bendata» della giustizia avrebbe di per sé ribilanciato i piatti della distribuzione del profitto, invece il 10 per cento del paese detiene quasi il 50 per cento delle ricchezze. Quello che stupisce è che questo non desti nessuno scandalo, anzi. L’opera di rimozione delle cause della crisi rende la crisi stessa un fenomeno straordinario ma naturale come uno tsunami che arriva imprevedibile, devasta e lascia dietro di sé macerie senza alcuna possibilità di intervenire per eliminare le cause che lo hanno scatenato. Forse l’unico sentimento che si riesce a provare per chi un lavoro lo perde o non riesce a trovarlo è un po di compassione proprio come verso le persone che hanno subito una calamità. Non può essere questa la lettura, perché così si è passati dall’incertezza del futuro alla paura del domani. Per anni ci è stato spiegato che il mercato avrebbe perseguito il bene comune, come la «Dea bendata» della giustizia avrebbe di per sé ribilanciato i piatti della distribuzione del profitto, invece il 10 per cento del paese detiene quasi il 50 per cento delle ricchezze. Quello che stupisce è che questo non desti nessuno scandalo, anzi. L’opera di rimozione delle cause della crisi rende la crisi stessa un fenomeno straordinario ma naturale come uno tsunami che arriva imprevedibile, devasta e lascia dietro di sé macerie senza alcuna possibilità di intervenire per eliminare le cause che lo hanno scatenato. Forse l’unico sentimento che si riesce a provare per chi un lavoro lo perde o non riesce a trovarlo è un po di compassione proprio come verso le persone che hanno subito una calamità. Non può essere questa la lettura, perché così si è passati dall’incertezza del futuro alla paura del domani. La crisi economica e finanziaria che ha sconvolto le società occidentali sta presentando un conto pesantissimo per le lavoratrici, i lavoratori e i giovani nel nostro paese. Il bilancio drammatico dei suicidi dati dalla disperazione per la mancanza di speranza sul futuro dovrebbero allarmare chi nel corso degli ultimi due anni ha inforcato gli occhiali dell’eccezionalità che, con qualche azione tecnica, avrebbe nel giro di poco riattivato la crescita o se non altro almeno attenuato gli effetti del calo produttivo e dei consumi.

Il nuovo anno invece si è aperto con novità che non fanno ben sperare: le migliaia di esuberi dichiarati da Fincantieri, la mancanza di un piano industriale per la Fiat, la chiusura di uno stabilimento dell’Alcoa con cinquecento occupati a cui bisogna aggiungere l’indotto, solo per citare alcuni casi eclatanti. Inoltre, moltissime aziende hanno esaurito o stanno esaurendo gli ammortizzatori sociali con conseguenze di proporzioni ad oggi non quantificabili sull’occupazione. Il 2012 rischia di essere un anno nel segno dei licenziamenti. La crisi sta presentando un conto sociale pesante: chi un lavoro ce l’ha rischia di vederselo tolto e chi non lo ha, ha poche possibilità per trovarlo.

Pensate a chi in una ristrutturazione aziendale avendo la possibilità di accedere alla mobilità volontaria incentivata si è fatto due conti e con la copertura degli ammortizzatori sociali si sarebbe agganciato alla pensione e poi si è trovato con l’allungamento dell’età pensionabile. Pensate a un ragazzo che dopo anni di precariato rischia di trovarsi con la cancellazione dell’articolo 18, oppure a un migrante che oltre a pagare come tutti i tagli alla spesa sociale si vede aumentare la tassa di soggiorno in un clima crescente di intolleranza xenofoba e di violenza. Questi elementi sono o non sono costi della crisi? E in quale bilancio si iscrivono se l’unico parametro è lo spread che comunque continua ad essere alto per via delle speculazioni finanziarie. È l’ineluttabilità degli eventi o invece si possono mettere in moto politiche che ridiano una spinta all’economia reale senza che si barattino per questa via i diritti?

Quando da soli gli operai della Fiat di Pomigliano spiegavano che quello che lì stava accadendo non era l’eccezione ma la riscrittura delle regole la reazione è stata «sono quelli estremisti della Fiom Cgil». Oggi che il «modello Marchionne» si è esteso a tutti gli ottantamila lavoratori Fiat e contamina tutto il sistema delle relazioni industriali del nostro paese nessuno ne assume la gravità. Il silenzio assordante che ai primi di gennaio ha avvolto la cacciata delle Rsu della Fiom dagli stabilimenti Fiat dice dell’incapacità ancora oggi di capire quello che sta accadendo.

È diventato normale che le imprese possano scegliersi il sindacato? No, chiedo? È normale che si chiuda l’Irisbus e che l’Italia subisca un procedimento di infrazione dall’Europa perché non ha una mobilità sostenibile? E ancora, è normale che i lavoratori iscritti alla Fiom Cgil non siano reintegrati al lavoro alla Fiat di Pomigliano? È normale che di fatto, nel caso ci fossero nuovi assunti in Fiat, abbiano un salario inferiore ai vecchi assunti? Questi sono problemi della Fiom Cgil o del governo e più in generale del paese? Aggiungo che l’uso spropositato dell’istituto del lavoro straordinario, la riduzione delle pause, la totale flessibilità dell’orario di lavoro impediscono nuova occupazione e riducono la vita delle persone che lavorano a un mero fattore competitivo su cui si scarica l’incapacità di innovazione e programmazione.

Noi non accettiamo lo scambio diritti-lavoro. Anche perché non è più lavoro quello che viene offerto, e inoltre per essere precisi nel «caso Fiat» non c’è neanche il lavoro visto che sono stati chiusi Termini Imerese e Avellino. Il «famoso» piano industriale non lo conosce nessuno e tutte le notizie che rimbalzano dai giornali americani ci dicono che il centro si sta spostando negli Stati Uniti. Dove va il paese e dove va l’Europa se il lavoro è un oggetto e non persone? La tendenza aperta dalla Fiat e che si sta facendo strada anche in altri settori è che si possono fare profitti senza che ci siano ricadute positive sociali, altro che la redistribuzione. Ma addirittura con la divisione globale del lavoro assistiamo al fatto che non è assolutamente conseguente alla crescita della capacità produttiva l’aumento dell’occupazione e dei diritti.

L’obiettivo che le controparti stanno perseguendo è molto chiaro: o il sindacato diventa complice oppure è fuori. In questo, voglio essere chiaro, la Fiom Cgil è oggetto di un attacco violentissimo per la sola ragione che non è diventato un sindacato di comodo. Noi rifiutiamo l’idea che il compito del sindacato è firmare testi che scrivono altri e poi convincere i lavoratori che non c’era null’altro da fare. Ed è per questa ragione che l’antidoto alla completa subalternità dei lavoratori è la democrazia. Una testa un voto. Liberi di poter decidere, non la Fiom Cgil ma i lavoratori che quelle condizioni di lavoro affrontano ogni giorno nella loro postazione.

È per questa ragione che abbiamo fatto nostra la scelta dei lavoratori della Fiat di raccogliere le firme per indire un referendum abrogativo che bocci il testo sottoscritto dalle altre organizzazioni sindacali. Chi vuole la Fiom Cgil fuori dagli stabilimenti deve sapere che metteremo in moto tutta le nostre forze sindacali e legali per riconquistare il diritto costituzionale dei lavoratori a potersi organizzare e a poter decidere. Sappiamo che non è semplice, anzi. Sappiamo che dopo la scelta della Federmeccanica di raggiungere l’ennesimo accordo separato che recepisce la possibilità di poter derogare al contratto nazionale e, con l’articolo 8 del decreto del governo Berlusconi, di poter addirittura derogare alle leggi, la strada da percorrere è difficile e non riguarda solo i metalmeccanici.

Per uscire dal ricatto abbiamo bisogno di un movimento più ampio che offra un nuovo punto di vista generale. Ed è proprio per proporre un punto di vista generale che da tempo discutiamo fuori e dentro la Fiom Cgil di come affrontare il problema dell’inoccupazione, della precarietà e della condizione degli studenti, che abbiamo deciso di introdurre il reddito di cittadinanza insieme all’estensione dell’articolo 18 come uno dei punti qualificanti della nostra piattaforma con cui scenderemo in piazza l’11 di febbraio. Una piattaforma che chiede il sostegno di chi con noi vuole fare del lavoro, dell’ambiente, della formazione, del welfare e della legalità un bene comune.

La manifestazione che attraverserà le strade di Roma è il tentativo di non lasciare solo nessuno, perché la crisi innanzitutto produce disperazione e solitudine. Senza le manifestazioni pacifiche e democratiche c’è l’imbarbarimento. Ne sono un esempio gli omicidi dei migranti negli ultimi mesi. Pensiamo che possa esserci una grande manifestazione di massa a Roma, in cui i metalmeccanici sfileranno insieme a chi pretende di avere un futuro che non può fare a meno dei diritti e della democrazia.
 

venerdì 27 gennaio 2012

SINISTRA, ECOLOGIA E AMBIGUITA' - Matteo Pucciarelli, Micromega

C’era una volta il Pd che per due anni si dilaniò perché non sapeva dove collocarsi in Europa. Nel Pse o fra i liberaldemocratici? Gli ex Ds contro gli ex Margherita, Veltroni con gli ex Ds ma anche con gli ex Margherita. Una guerra. Finita con l’unico modo possibile: un democristianissimo compromesso, cioè cambiare il Pse in “alleanza dei partiti socialisti e democratici”. Lo stesso problema, adesso, si ripropone in Sinistra Ecologia a Libertà. Ma non sarà una scelta a due. Bensì a tre. Affiliare il partito ai socialisti europei (di cui Vendola è membro), alla sinistra (quella che fondò Bertinotti, padre politico di Vendola), oppure ai verdi (”Ecologia”)? La scelta non è facile, e allora Vendola nei giorni scorsi al Manifesto ha tirato fuori una frase degna del veltronismo più spinto: «Se potessi, prenderei tre tessere in Europa: quella della Sinistra, che ho contribuito a costruire, quella del socialismo che oggi gioca una partita rilevante per cambiare il segno al continente, e dei Verdi che su alcune questioni hanno colto in anticipo i nodi di fondo». Il problema è che per fare una cosa del genere Sel dovrebbe avere il dono dell’ubiquità. E va bene che Vendola è cattolico, ma una Trinità del genere in Europa non è ancora concessa.
 
Non è questione di lana caprina. Di mezzo c’è la natura stessa del partito. Se rappresentare un’altra, ennesima, sinistra riformista oppure proporsi come alternativa. Se le intenzioni di Sel sono quelle di governare per governare (vedi Pd), oppure tentare di governare ma per cambiare. In Italia come in Europa. Quindi se rincorrere il Pd sempre e comunque, o se lavorare per rendersi autonoma e possibilmente unificare le spinte dal basso che chiedono progettualità radicali ma non per questo velleitarie, vedi il movimento degli Occupy e gli indignados.
Per ora gli indizi sembrano tutti indirizzati a trasformare Sel in dei Ds versione mignon: cioè un partito organico al Pse (dove, per dire, Tony Blair ha pontificato per anni con ipotesi neo-liberiste) destinato a diventare la succursale radical del Pd, accettando tutti i diktat delle varie Ue, Bce, Fmi, Nato, Chiesa e compagnia cantante. Perché se da una parte le battaglia di Sel contro la precarietà, contro le spese militari, in difesa dell’articolo 18 e a fianco della Fiom, per lo sviluppo sostenibile e così via sono le stesse di sempre e tengono buona la base, dall’altra l’opposizione al governo Monti appare debolissima e la parola “anticapitalismo” è bandita. Proprio adesso che il capitalismo sta dimostrando il suo spettacolare fallimento.
 
È strano il destino della sinistra italiana. Costretta a moderarsi, fino a snaturarsi, pur di raggiungere la possibilità di governare. Come se si vergognasse della propria identità e del proprio passato. Incendiaria da giovane, pompiera da adulta. Dal movimento no global del 2001 a una coalizione con l’Udc. Eppure, e Sel dovrebbe essere la prima a saperlo, le scelte nette finora hanno pagato: Pisapia, De Magistris e Zedda sono lì a dimostrarlo.

Il ritorno dei rossi

Il ritorno dei rossi

C'è fermento in Europa: le forze della sinistra anticapitalista cercano coesione e collaborazione per dare ai nuovi protagonismi dei punti di riferimento

Il ritorno dei rossi

 
Che la Germania non sia soltanto Angela Merkel e la Francia Nicolas Sarkozy dovrebbe essere un dato di fatto, una ovvietà che non merita ulteriori puntualizzazioni. Eppure, eppure, per mancanza di spazio, di tempo o per dovere di cronaca, tante cose scappano all’osservatore distratto.
Quello che sta sfuggendo è la vitalità con cui le sinistre a sinistra del Partito Socialista Europeo, cominciano a muoversi e a cercare di muoversi, finalmente direi, con politiche coordinate tra loro. Le elezioni presidenziali francesi hanno fatto da sfondo, il 18 gennaio scorso, a un incontro passato forse troppo sotto traccia, tra il candidato del Front de Gauche, ex socialista, Jean-Luc Mélenchon e l’ex social democratico tedesco, ora segretario di Die Linke, Oskar Lafontaine. Il giornale Rue 89 titola beffardamente: «Anti Merkozy – Achtung! Mélenchon renouvelle l’image du couple franco-allemand».
Le sinistre tornano a essere protagoniste non solo in Francia e Germania. Anche sul versante iberico le notizie che arrivano non sono tutte negative. Da anni oramai il Bloco de Esquerda si è imposto come una realtà consolidata nel panorama politico portoghese, questo nonostante la grave sconfitta alle ultime elezioni che dovrebbe segnare, si spera, appena un momento di difficoltà temporaneo e non una definitiva battuta d’arresto. Anche in Spagna la Izquerda Unida ha saputo rinascere dopo anni di oblio e ottenere una buona affermazione alle elezioni generali dello scorso novembre.
Bloco de Esquerda, Front de Gauche, Izquerda Unida e Die Linke hanno tutti saputo, nel bene o nel male, con modalità e strutture differenti, aggregare un’area, quella della sinistra «estrema», normalmente molto litigiosa, e portarne le istanze a nuovi protagonismi. Hanno cioè saputo contrastare un declino costante durato quasi due decenni e ricucire tutto quel mondo estremamente complesso e contraddittorio che va dai comunisti ai socialisti, dai verdi ai mille movimenti sociali e civili nati, in particolare, dalle lotte per una globalizzazione più equa, sul finire degli anni 90.
La risposta data dai cittadini, misurata sia dai voti concreti, sia, in modo più virtuale, dai sondaggi, è estremamente positiva: gli istituti demoscopici danno Mélenchon all’8,5% e Die Linke al 7%, Izquerda Unida ha preso alle elezioni per il rinnovo delle Cortes spagnole il 6,9%, il Bloco de Esquerda ha ottenuto poco più del 5,2%.
Le leggi elettorali in vigore in Francia, Germania, Portogallo e Spagna non aiutano. In un modo o nell’altro la traduzione dei voti in seggi parlamentari favorisce o formazioni a radicamento locale, come è il caso spagnolo, o i grandi partiti, come è il caso del maggioritario a doppio turno francese o il proporzionale con correzione con metodo D’Hondt in Portogallo e Spagna. In tutti questi paesi chi vota sa bene che i deputati eletti saranno in proporzione molti meno dei voti ottenuti, grazie alle distorsioni delle leggi maggioritarie o a tendenza maggioritaria.
In Spagna, il cambiamento in senso proporzionale puro della legge elettorale, è addirittura una delle principali istanze del movimento degli Indignati che per mesi hanno occupato Puerta del Sol. Ci sono poi, certo, le difficoltà ad abbandonare i vecchi, e mai sopiti, rancori che per anni hanno polverizzato la sinistra. Insomma tanti i problemi ancora da risolvere, ma resta un fatto: l’egemonia a sinistra del partito socialista in Europa è oggi meno forte. Forse dalle braci di quello che è stato giustamente definito il blairismo, fenomeno nel quale possiamo inscrivere a pieno titolo anche José Luis Rodrigo Zapatero, potrà rinascere una sinistra veramente attenta alle necessità delle persone fisiche e meno per le persone giuridiche, tra cui le banche. Una sinistra meno permeabile alle istanze del neo-liberismo, che sappia dialogare con il «centro» sinistra, ma da una posizione di forza, cioè senza dimenticare il suo compito principale: rappresentare gli strati più deboli della società, sacrificati oramai da troppo tempo dalle politiche del blocco centrale – progressisti e conservatori, popolari e socialisti – che da sempre domina nell’emiciclo del parlamento europeo.
Da un punto di vista teorico sarebbe facile dire che il momento è troppo grave perché non si mettano da parte i vecchi e, purtroppo, ancora attuali conflitti (si pensi solo ai modelli di organizzazione: centralisti o territorial-federali?). Così come è evidente che una sinistra che non sappia articolarsi a livello internazionale, soprattutto europeo, che è il campo dove quasi tutte le decisioni politiche vengono prese, è destinata all’inefficacia e quindi alla irrilevanza politica. Gli esempi di Grecia e Portogallo sono lì a dirci che anche in presenza di movimenti di proteste forti e articolati, di partiti forti e strutturati, se non si riesce a influire su Bruxelles nulla si può ottenere a Lisbona o Atene. Però, purtroppo, non sempre ciò che è evidente è anche facile da conquistare e non solo per l’insipienza dei dirigenti politici, ci sono questioni oggettive difficili da superare. Non sempre è facile modulare atteggiamenti tanto differenti, le convergenze parallele sono facili da raggiungere tra diversi, dove le differenze e le identità sono nette, meno facile è laddove l’elettorato di riferimento è lo stesso.
Eppure, nonostante tutto, quello che in questi mesi sta succedendo nella variopinta galassia della sinistra in Europa potrebbe risvegliare qualche speranza. La reazione dei cittadini ci fa intendere che lo spazio lasciato vuoto lì alla sinistra del centro sinistra è vuoto non per mancanza di domanda, gli elettori, ma per la mancanza di una offerta concreta capace di «intercettare» quella domanda, voti, che non incontrando un progetto credibile, si traducono in astensione, spostando inevitabilmente gli equilibri politici verso destra.


Goffredo Adinolfi - il manifesto

No Tav, nessuno parla dell’esperienza politica - Paolo ferrero, Il Fatto quotidiano

Gli arresti e le denunce praticati ai danni di esponenti del movimento No Tav sono l’ennesimo tentativo di delegittimare e dividere il movimento, cercando di presentarlo come un problema di ordine pubblico. Questa strategia è in atto da tempo: delle ragioni del movimento No Tav, delle manifestazioni pacifiche, del fatto che la Valle è contraria all’opera, i grandi media non parlano. Parlano solo degli scontri e degli arresti, costruiti ai fini della comunicazione: in Val di Susa ci sono i terroristi.  È l’ennesimo punto di continuità tra il governo Berlusconi e il governo Monti: non si riconoscono le ragioni di chi protesta, non si tratta, ma si agisce militarmente, si determina un clima di tensione e poi si processa sulla base degli scontri che avvengono.

Il 28 giugno e il 3 luglio ho partecipato alle manifestazioni in Val di Susa, sono stato abbondantemente gasato – un dirigente torinese di Rifondazione Comunista è tra i denunciati -  e voglio affermare ancora una volta che il movimento No Tav non è un problema di ordine pubblico ma una grande esperienza politica in cui una comunità vuole decidere democraticamente sul proprio futuro, così come democraticamente decide le forme e i contenuti delle mobilitazioni. Il movimento No Tav ha ragione quando dice che l’opera è inutile: in Val di Susa esiste una ferrovia che collega al Francia che è utilizzata solo al 30%. Perché non utilizzare quella invece di costruirne un’altra? Perché sprecare 17 miliardi di euro che l’Italia dovrebbe pagare per fare un’opera inutile? Perché non usare quei soldi per fare un grande piano di riassetto idrogeologico del territorio che farebbe posti di lavoro veri ed eviterebbe i danni ed i morti che vi sono in Italia tutte le volte che piove due giorni di seguito?

In secondo luogo l’opera è dannosa, perché trasformerebbe una valle in cui passano già una linea ferroviaria a doppio binario, un’autostrada, due statali, tre elettrodotti, in un cantiere per decine di anni. Il territorio non è un puro supporto materiale per le grandi opere delle imprese che guadagnano col cemento, il territorio è un patrimonio ambientale, sociale e relazionale in cui vive la gente e in cui la gente ha diritto di vivere decentemente. Per questo esprimo non solo la mia solidarietà ma il mio pieno sostegno al Movimento No Tav. Contro chi vuole trasformare la Val di Susa in un problema di ordine pubblico continuiamo la lotta affinché quello sperpero di danaro pubblico, inutile e dannoso, venga fermato e la Val di Susa non sia più una terra militarizzata.

giovedì 26 gennaio 2012

ARRESTI NO TAV, PRC: "MONTI E BERLUSCONI UGUALI NELLA REPRESSIONE"

“Gli arresti di stamane sono l'ennesimo tentativo di ridurre il movimento No tav ad un problema di ordine pubblico al fine di dividerlo e delegittimarlo. È l'ennesimo punto di continuità tra il governo Berlusconi e il governo Monti: non si riconoscono le ragioni di chi protesta, non si tratta, ma si agisce militarmente, si determina un clima di tensione e poi si processa sulla base degli scontri che avvengono”- Così il segretario di Prc Paolo Ferrero subito dopo i 40 provvedimenti giudiziari, di cui 25 di custodia cautelare, emessi dalla procura di Torino. “Il 28 giugno e il 3 luglio ho partecipato anch'io alle manifestazioni in Val di Susa – aggiunge - sono stato abbondantemente gasato e voglio affermare ancora una volta che - al contrario di cosa si vuol far credere - il movimento No tav non è un problema di ordine pubblico ma una grande esperienza politica in cui una comunità vuole decidere democraticamente sul proprio futuro, così come democraticamente decide le forme e i contenuti delle mobilitazioni”. Il Prc esprime solidarietà al movimento No Tav e sottolinea l'impegno “a proseguire la lotta affinchè quello sperpero di danaro pubblico, inutile e dannoso, venga fermato e la Val di Susa non sia più una terra militarizzata”. Solidarietà anche da Giorgio Cremaschi, presente in uno dei luoghi degli arresti, la casa del consigliere comunale Guido Fissore di Villarfocchiardo, un paese della Val di Susa, e dal sindacato di base Usb. “Nessuna voglia di dialogare – sottolinea Cremaschi – solo voglia di reprimere”. Proprio domani Usb terrà uno sciopero generale nazionale. “Insieme agli striscioni dei lavoratori e delle aziende in lotta, alla manifestazione nazionale di Roma – si legge in un comunicato - porteremo anche questo: LIBERTA’ PER I NO TAV. LE LOTTE NON SI ARRESTANO”, “Questo Governo sta usando sempre più spesso la mano pesante nei confronti di chi lotta e di chi difende la propria vita e il proprio lavoro. Non possiamo accettarlo – evidenzia Paolo Leonardi, coordinatore nazionale dell’Usb - la USB sarà in piazza al fianco dei NO TAV in ogni iniziativa di risposta a questi incredibili provvedimenti repressivi che sarà decisa in Valle. Non possiamo accettare che la volontà evidente di tutta una popolazione di difendere il proprio territorio dalla devastazione delle grandi e inutili opere come la TAV sia attaccata in maniera repressiva per cercare di fiaccare la resistenza che, comunque, sappiamo non si fermerà”, conclude il dirigente USB”.
Il blitz è scattato questa mattina all’alba ed ha coinvolto quindici province: 26 le persone tratte in arresto, più altre quindici a cui sono stati comminati provvedimenti giudiziari. A tutte viene contestato di aver partecipato agli scontri di questa estate nei pressi di Chiomonte. Oltre che nel capoluogo piemontese, l'operazione riguarda le province di Asti, Milano, Trento, Palermo, Roma, Padova, Genova, Pistoia, Cremona, Macerata, Biella, Bergamo, Parma e Modena.
I reati contestati sono lesioni, violenza e resistenza a pubblico ufficiale per gli incidenti al cantiere della Tav di Chiomonte (Torino) nel quale rimasero feriti oltre 200 uomini delle forze dell'ordine e decine di manifestanti. Le ordinanze, emesse dal gip di Torino, Federica Bompieri, su richiesta del Procuratore aggiunto Andrea Beconi, non riguardano reati associativi. Oltre a Fissore, tra i primi arrestati ad essere accompagnati in questura c'è, Giorgio Rossetto uno dei leader del centro sociale torinese Askatasuna. Solo due provvedimenti sono stati eseguiti in Val di Susa. Tra gli altri anche Paolo Maurizio Ferrari, ex membro delle Brigate Rosse.

REPRESSIONE NO TAV. APPLAUSI DAL PD  

«L'eccellente operazione compiuta dalle forze dell'ordine ha fatto cadere il castello di menzogne e ipocrisie attraverso le quali i No Tav hanno voluto accreditarsi agli occhi dell'opinione pubblica come un movimento di non violenti in lotta per la salvaguardia dell'ambiente incontaminato della loro Valle contro le mire conquistatrici del capitale globale. Il pedigree degli arrestati è molto preciso: tutti bravi ragazzi con il vizietto di praticare il 'tiro al poliziotto'». «L'operazione della Procura rende giustizia innanzitutto alle centinaia di agenti feriti mentre svolgevano il loro lavoro . Ma rende giustizia anche a chi, come il sottoscritto, per mesi ha denunciato che in Valle di Susa si erano infiltrati dei 'cattivi maestri' - prosegue il deputato del Partito Democratico - per mesi e mesi ho sostenuto che in Valle di Susa operavano impuniti personaggi che con la Valle nulla avevano a che fare e che volevano semplicemente fare di Chiomonte una palestra per la lotta violenta allo Stato e alle istituzioni democratiche. Ora, finalmente, lo Stato ha risposto forte e chiaro». «Essendo un garantista, non mi sostituisco ai giudici nell'emettere sentenze. Attendo fiducioso. Però, mi auguro che dopo i fatti di oggi si prenda atto atto che un grande movimento popolare, che legittimamente protestava contro la Tav, è stato lasciato nelle mani di gente pericolosa, violenta e portatrice di una cultura eversiva -conclude Esposito - sulla Torino-Lione non saranno ammesse ambiguità, a cominciare dal Pd».  Dello stesso tono anche il comunicato del Pd piemontese. Per il segretario regionale del Pd del Piemonte, Gianfranco Morgando, e il Presidente regionale del partito, Andrea Giorgis, «oramai solo qualche irresponsabile invasato può negare il fatto che il movimento di opposizione alla Torino-Lione è diventato ostaggio di un gruppo ristretto di persone violente e fanatiche che la Valle e quei comitati No Tav che si definiscono pacifici non hanno mai saputo o voluto isolare». «I nomi delle persone fermate dimostrano come non siamo in presenza di pacifici valligiani contrari alla Tav, ma di professionisti dell'antagonismo e della guerriglia urbana. E neppure stupisce  la presenza di personaggi dal passato terroristico e brigatista. »I fatti contestati sono di estrema gravità e nessun tipo di giustificazione può essere ammessa da parte di chi crede nella legalità e nelle istituzioni. Dai commenti all'operazione di oggi - dicono i due leader del Pd congratulandosi con Procura e forze dell'ordine - risulterà evidente se questi principi sono da tutti condivisi, oppure se qualcuno ha deciso di porsi fuori dalla legge e dallo Stato avallando con parole e comportamenti azioni sovversive e violente«. Dello stesso tono i commenti del PDL e Lega, che chiedono la sospensione della manifestazione di sabato a Torino. Silenzio assordante da parte di Vendola e Di Pietro. Condanna della repressione da parte di Ferrero (prc) e Grillo.

Il costo della crisi: chi paga, chi guadagna

Anche la Banca d'Italia tira le somme sui costi sociali della crisi e vede quel che noi sappiamo, ma lo fa ovviamente in modo scientifico: la crisi c'è, ma per la maggioranza è un dramma, per pochi è una manna.
Gli squilibri vengono accentuati, la coesione sociale salta, le condizioni di vita diventano meno tollerabili.

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Chi non paga la crisi
Galapagos, Il Manifesto
È una piramide con una base sempre più larga e un vertice più sottile quella che emerge dai dati di Bankitalia sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza. Solo un paio di dati: nel 2010 il 14,4% della popolazione era ufficialmente in una situazione di povertà a causa di un reddito insufficiente. Il tutto mentre il 10% delle famiglie più ricche possiede il 46% della ricchezza totale stimata in circa 9 mila miliardi di euro. Semplificando, circa 6 milioni di italiani possiedono - in media - una ricchezza di quasi 4200 miliardi, circa 700 mila euro a testa, contro 54 milioni di persone che - sempre in media - hanno un patrimonio di circa 90 mila euro. Come dire: il 10-20 per cento delle persone più povere non ha nulla di ricchezza e il 70-80 per cento ha un patrimonio che corrisponde al valore di una abitazioni modesta. Che ovviamente non tutti hanno, visto che il 21% delle famiglie vive in affitto.
C'è un altro aspetto che colpisce: negli ultimi 20 anni il reddito dell'Italia è cresciuto poco, ma il reddito reale dei lavoratori autonomi è aumentato del 15,7%, quasi 5 volte di più del 3,3% dei lavoratori dipendenti. Siamo di fronte a una gigantesca redistribuzione dei redditi a sfavore del lavoratori dipendenti. La specificità della crisi italiana è in questi dati che confermano come la progressiva pauperizzazione del lavoro dipendente a fronte di uno stato sociale sempre meno generoso è alla base della caduta della domanda. Cioè dei consumi, anche quelli alimentari, come confermano i dati Istat sulla vendite al dettaglio.
Ma c'è ancora un altro dato - non di Bankitalia - che completa il quadro: ieri mattina Attilio Befera, il massimo dirigente dell'agenzia delle entrate, ha denunciato che in Italia l'evasione fiscale tocca i 120 miliardi l'anno. E non sono certo i lavoratori dipendenti (anche se a volte lo fanno) e i pensionati a evadere. Insomma, chi più guadagna più evade. E questo spiega perché molti ristoranti sono pieni e ci siano in circolazione centinaia di migliaia di auto di lusso.
Da questi numeri è possibile trarre alcune conclusioni che dovrebbero fare da guida alla politica economica della sinistra. La prima è che la lotta all'evasione deve essere l'obiettivo prioritario: se non aumenta il gettito fiscale non sarà possibile diminuire il cuneo fiscale che penalizza i lavoratori dipendenti e far pagare meno tasse a loro e ai pensionati. E senza recuperare i soldi degli evasori non sarà possibile aumentare la spesa sociale e i consumi privati di milioni di persone. Di più: la distribuzione della ricchezza indica con chiarezza che è necessario procedere a una riforma fiscale che alleggerisca la pressione sui redditi e aumenti quella sul patrimonio.
Quanto ai salari, non aumentano solo con la diminuzione della pressione fiscale, ma anche con l'aumento della produttività. Attenzione, però: la produttività non deve aumentare «strizzando» ancora di più i lavoratori con innovazioni di processo, magari con l'aggiunta del ricatto della flessibilità in uscita, ma deve essere ottenuta attraverso innovazioni di prodotto. Perché - ce lo spiegano i dati annuali di Mediobanca - nelle imprese che innovano che i profitti, ma anche i salari, sono più alti. Ma la sinistra è convinta che il programma di Monti si muova in questa direzione?

mercoledì 25 gennaio 2012

Grillo e l’indifferenza ai contenuti di Paolo Ferrero, Il Fatto Quotidiano

Beppe Grillo si è dichiarato contrario a riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati che siano nati in Italia. La motivazione è che questa questione sarebbe fuorviante dai veri problemi. Considero questa posizione opportunista e molto dannosa. È dannosa per le motivazioni, per il modo di ragionare. Se il rispetto dei diritti delle persone, quando rappresentano una minoranza, non deve essere affrontato, questo apre le porte alla dittatura della maggioranza, alla distruzione della democrazia. Io ritengo che il rispetto dei diritti di tutti, a partire dalle minoranze, sia il punto decisivo della democrazia che vogliamo. Lo dico da comunista che ha praticato una radicale rottura con le esperienze del socialismo reale, dove i diritti degli individui non erano rispettati. Io ritengo che il rispetto dei diritti di tutti – a partire dai più deboli – sia un punto irrinunciabile per cambiare in meglio la società.

La posizione è opportunista perché è evidente che Grillo dice solo le cose che secondo i sondaggi di opinione sono utili a prendere voti. Questo opportunismo a mio parere rappresenta il peggio della politica perché segnala una indifferenza ai contenuti e tende a cancellare la differenza tra la politica e la televendita dei prodotti di consumo. Io penso che la battaglia al razzismo sia un punto decisivo e che deve essere fatta anche quando è impopolare. Mi piace ricordare a questo riguardo cosa diceva Martin Niemoller tanti anni fa: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».

martedì 24 gennaio 2012

La fase 3 del governo Monti è uguale alla fase 2 e alla fase 1


Nel primo tempo hanno fatto la più pesante controriforma delle pensioni della storia di questo paese. Una riforma che ha aumentato l’età in cui si è costretti al lavoro anche di 6 anni, portandola molto al di sopra della media europea. Una riforma che non ha nessuna giustificazione rispetto alla necessità del cosiddetto equlibrio del sistema previdenziale, ma che ha come unica motivazione la scelta di fare cassa e di usare i contributi previdenziali per uno scopo diverso da quello per cui sono versati. A regime un prelievo forzoso di altri 20 miliardi dalla previdenza al bilancio dello stato.
Nel secondo tempo hanno agitato lo specchietto delle allodole dei notai e delle posizioni di privilegio. Ma alla fine le posizioni di privilegio sono state tutte salvaguardate. Non sono toccate le banche a cui la prima manovra ha elargito una serie di consistenti sgravi fiscali, e non sono toccati neppure i notai che vedono un modesto incremento del loro numero, mentre si sarebbe potuto e dovuto stabilire ad esempio che tutta una serie di atti possano essere fatti da sindaci e segretari comunali. Il succo del secondo tempo sta invece nel rafforzare ulteriormente i processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali, da cui si salva solo l’acqua, e in un nuovo attacco al lavoro, con l’eliminazione dell’obbligo del rispetto del contratto nazionale nelle ferrovie.
Ora arriva il terzo tempo. La riforma degli ammortizzatori sociali che sarebbe necessaria, dovrebbe vedere la loro universalizzazione a settori di impresa e tipologie di contratti che ne sono esclusi. Con questo obiettivo, tempo fa, la Cgil aveva presentato una proposta di riordino seria e tutt’altro che irrealistica che andava nella giusta direzione e prevedeva accanto all’universalizzazione e semplificazione degli ammortizzatori sociali, l’istituzione di un reddito minimo per tutelare i disoccupati di lunga durata. Il governo invece propone di fare tabula rasa. Di eliminare la cassa integrazione straordinaria e in deroga e di ridurre la durata della cassa integrazione ordinaria a un anno. Nella crisi in corso si tratta di un intervento folle. Nel solo 2012 avremmo tra i 300.000 e i 500.000 disoccupati in più, perché non solo si riducono drasticamente i tempi, ma mentre la Cig e la Cigs mantengono il rapporto di lavoro in essere, “l’indennità risarcitoria” con tutta evidenza interviene dopo che il rapporto di lavoro è terminato. I contributi versati dai lavoratori verrebbero nuovamente sequestrati, come è già avvenuto per le pensioni, mentre Fornero dopo tanto parlare di Flexsecurity candidamente afferma che per il reddito minimo non ci sono le risorse. Ma non basta. Invece di disboscare i 46 tipi di rapporto di lavoro precari, li si mantiene, se pure con la promessa di farli costare di più. Dulcis in fundo Fornero parla della necessità di un “contratto calibrato sul ciclo di vita” Non è difficile capire cosa significhi nonostante le scarne parole del ministro. E’ la riproposizione di un contratto iniziale senza tutele in cui si può essere licenziati con piena “libertà” degli imprenditori, a cui seguono contratti che non rispondono più al principio che a parità di prestazione ci devono essere parità di condizioni retributive e di diritti, ma frantumazione ulteriore e ulteriore riduzione delle garanzie.

C’è bisogno davvero di far crescere l’opposizione. Dallo sciopero del 27 gennaio dei sindacati di base alla manifestazione della Fiom dell’11 febbraio. Prima che questo governo distrugga ogni diritto del mondo del lavoro. E c’è bisogno davvero di un percorso unitario della sinistra che non si rassegna, prima che sia troppo tardi.

P.S.
C’è un ultima coerenza nell’operato del governo che va sottolineata, oltre alla riproposizione feroce e stupida dei dogmi del neoliberismo. E’ la volontà manipolatoria. La prima manovra doveva essere all’insegna dell’”equità”. Per la seconda si sono messe in giro “balle spaziali”. Non si tratta di altro quando si afferma, come ha fatto Monti, che con quelle misure il Pil aumenterà dell’11%, i consumi dell’8% e i salari del 12%! Sul mercato del lavoro, ovviamente, tutto viene fatto in nome dell’occupazione!
 
Roberta Fantozzi, Segreteria nazionale Prc

UNA CRISI, DUE SINISTRE. di Francesco Piobbichi, www.controlacrisi.org

Roma e Milano. Due sinistre e due prospettive di percorso differenti. Legittime, ma con traiettorie che almeno per ora non si incrociano, non solo rispetto alla dinamica nazionale, ma anche rispetto a quella Europea. L’entrata di SEL nel PSE sembrerebbe ipotesi serissima, mentre il PRC è impegnato nella costruzione della Sinistra Europea. Oggi a Milano centinaia di militanti del PRC e di lavoratori delle fabbriche in crisi hanno lanciato la ricostruzione di un’opposizione di sinistra al Governo Monti, mentre a Roma di fronte a una sala pienissima Vendola ha rilanciato “il centro sinistra che vorrebbe”, partendo dagli amministratori locali. Presenti in sala De Magistris, Pisapia, Zedda e tanti altri che hanno animato la discussione. Chi pensava però ad un nuovo polo della sinistra è rimasto a bocca asciutta. Vendola critica Monti, ma non va oltre “il non è una primavera”. Da qui allo scendere in piazza contro il Governo di strada ce n’è molta, quasi infinita. Del resto Bersani in queste settimane è stato chiaro: “Non tirate troppo la corda”, ha detto di fatto il leader del PD a SEL e IDV che a quanto pare hanno recepito il messaggio. Così la sinistra del centro sinistra se ne starà ferma, un po’ come le CGIL che ha indetto 3 ore di sciopero a fine turno. Ogni tanto SEL e IDV lanceranno qualche comunicato, ma niente piazza. Monti insomma non è un traditore, e in parlamento nessun inciucio con il PDL (ci sarà da ridere sulla legge elettorale). Per Vendola Monti è una parentesi, per Ferrero è un governo costituente contro cui lottare. Una sinistra così divisa chiarisce le cose dal punto di vista politico, ma le rende più complicate dal punto di vista delle mobilitazioni sociali. L’idea di Vendola - PD e legge elettorale permettendo - è sempre la stessa: spostare a “sinistra” l’asse del governo che verrà. Complicato farlo con forze come PD e IDV che votano compatte il pareggio di bilancio in costituzione ed accettano la super manovra che Monti andrà a siglare politicamente al vertice di Bruxelles il 30 gennaio. Parliamo di 800 miliardi in venti anni di remissione forzata del debito sotto minaccia di sanzioni economiche. Di fatto un commissariamento di lungo periodo che tutti accettano a partire da Giorgio Napolitano. Se Ferrero da Milano propone una lotta durissima contro l’Europa del patto di stabilità e una nuova Iri con una banca pubblica per sostenere la crescita, Vendola rilancia la promessa che un Governo della sinistra sarà diverso da Monti. Molte proposte sono simili tra l’altro ma il discrimine è dato dall’atteggiamento rispetto al premier in carica. Per la prima volta dopo mesi Vendola risponde indirettamente a Rifondazione ed alle sue solleciatazioni unitarie per dire cosa non vuol fare o non vorrebbe diventare cucendo addosso al PRC la patacca del partito che non si misura con il terreno del Governo. Ferrero non ci sta : “ A sinistra non ci sono recinti ma le praterie della sofferenza sociale aggravate da un governo di destra appoggiato dal Pd, cambiare strada è obbligatorio e per questo è necessario costruire l'opposizione al governo Monti e alle politiche europee. Per questo occorre costruire l'unità della sinistra. Occorre uscire dalle sterili polemiche e dai risentimenti, noi non siamo allergici al governo in astratto ma alle politiche neoliberiste in concreto. Al paese serve un'alternativa, non il trasformismo dei ceti politici. “Per questo”, continua Ferrero rivolgendosi al leader di Sel, “ti propongo di dare vita insieme ad un confronto pubblico con le forze vive della società per costruire il programma dell'alternativa. Mi pare che abbiamo molti punti di convergenza, dalla patrimoniale alla lotta alla precarietà, fino al 'nò alla guerra. Ti propongo di unire le forze: se non ora quando?” Battute su D’alema a parte, Vendola non risponderà. Anche nella sua relazione di oggi si è notata una certa difficoltà nei passaggi sul PD e il governo Monti. Nulla di nuovo sotto il sole, SEL non può far altro che tirare qualche fumone con conferenze stampa ad effetto, minacce e battibecchi per dare qualche altra speranza ma niente di più. Vendola ha scelto di stare nel centro sinistra facendo il ruolo del PDS bonsai, 20 anni di giro dell’oca per ritornare al punto d’inizio con i lavoratori che hanno visto però dimezzarsi i propri salari e diritti e la BCE che conta più dei Governi. Intanto la crisi avanza, il 4 febbraio scende in piazza La Destra di Storace e i giorni scorsi la ribellione dei Forconi ha fatto capire a tutti noi che -in questo caso la crisi- non sarà un pranzo di gala. In politica si sa lo spazio che si lascia viene preso da altri. Oggi lo slogan della Lega in piazza era “giù le mani dalle pensioni, Governo ladro! Per fortuna che il 27 febbraio i sindacati di base hanno indetto uno sciopero generale… 

Cos’altro c’è da attendere? Sciopero Generale il 27 gennaio

Le agenzie di rating impazzano e decidono le sorti dei Paesi, i creditori - banche, fondi speculativi, finanzieri ecc. – bussano violentemente alla porta e ci ricordano che a febbraio dovremo pagare ben 45 miliardi di interessi sul debito pubblico, la Germania ci spiega, con fare compito ma risoluto, che sono cazzi nostri come uscire dalla crisi (alla faccia dell’“Unione” Europea), il neo governatore della BCE ci avverte che la situazione è gravissima e, ad esclusione dei tassisti, nessuno apre bocca, sembra non accadere nulla.
Ma che sta succedendo a questo paese? Sembra che tutti si siano ritirati in un’illusoria difesa del proprio, in attesa che succeda il disastro annunciato, quasi un generale “io speriamo che me la cavo”.
La stampa, legata tutta a doppio filo a quelle forze politiche così rissose fino a due mesi fa ed oggi concordi nel sostenere i banchieri della Trilateral, ci seppellisce ogni giorno di notizie rassicuranti, ci presenta un governo dall’aplomb inglese che trova ascolto tra i grandi d’Europa, che sa parlare ai mercati.
Le privatizzazioni (le chiamano liberalizzazioni perché fa meno stridore) stanno per distruggere quel che rimane dell’intervento pubblico in tema di energia, di acqua, di trasporti e tutti parlano delle licenze dei taxi o delle farmacie come se la loro moltiplicazione fosse in grado di dare una spinta al paese o far aumentare il PIL. Quelle sui tassisti e sulle farmacie hanno principalmente una ragione ideologica – il trionfo del libero mercato sugli egoismi di pochi -, quelle sui trasporti, sull’energia, sull’acqua hanno invece fondamento economico, eccome se ce l’hanno!
La parte costosa rimane a noi, quella fruttuosa va in pasto ai padroni e al capitale.
Nelle ferrovie ad esempio l’unica cosa che rimarrebbe pubblica è la gestione della Rete, cioè quella che necessita di continui investimenti in manutenzione, di migliorie, di adeguamenti alle normative europee, cioè tutto ciò su cui è necessario spendere ed investire continuamente. Agli altri il compito di far soldi, business, affari. E’ un po’ come è stato e continua ad essere con la vendita delle proprietà statali e degli enti locali, noi le abbiamo pagate e mantenute, ora le svendono a quattro soldi perché c’è bisogno di ripianare il debito e gli speculatori si arricchiscono, fanno affari.
Intanto sulle buste paga di febbraio scattano gli aumenti dell’Irpef locale (con stangate che per la loro pesantezza saranno addirittura ritirati a rate!), l’inflazione è raddoppiata grazie all’aumento dell’IVA e del petrolio con conseguenti aumenti stratosferici di benzina, riscaldamento, elettricità, gas, trasporti pubblici, beni alimentari e di massa, eccetera, eccetera.
In questo idilliaco scenario le organizzazioni sindacali complici – CGIL, CISL UIL e UGL – non riescono a pensare ad altro che a ritrovare la perduta unità per tuonare verso il governo chiedendo a gran voce di essere ascoltati per fare un altro “patto sociale” in cui strappare pezzetti infinitesimali di potere per le loro organizzazioni, non certo per i lavoratori.
C’è insomma la necessità impellente di invertire questa tendenza all’irrimediabilità della crisi, alla inevitabilità del pagamento di un debito che non è nostro (semmai siamo tutti creditori), all’ineluttabilità del pagamento del rovesciamento della crisi sulle nostre vite.
Cos’altro c’è da attendere?
C’è bisogno di riandare in piazza, di lottare, di rendere visibile la nostra assoluta alterità a queste scelte, la profonda convinzione che il debito non debba essere pagato e che la cura è peggio della malattia, soprattutto perché la malattia è del loro sistema.
Scioperare e manifestare il 27 gennaio insieme al sindacato indipendente e conflittuale per aprire una nuova stagione, prima che sia troppo tardi.