domenica 13 aprile 2014

Lupi e squali, ecco il piano casa — Paolo Berdini, Il Manifesto

Il decreto. Un regalo del governo ai palazzinari
C’era qual­che pre­oc­cu­pa­zione nel pen­sare di aprire il ragio­na­mento sul Piano casa del governo Renzi ricor­dando la figura di Gior­gio La Pira. Temevo infatti che la lin­gua incon­ti­nente del pre­mier avrebbe sepolto il grande sin­daco della Firenze degli anni del dopo­guerra sotto la sequela di insulti che dedica ormai al meglio della cul­tura ita­liana, da Rodotà a Zagre­bel­sky e Set­tis. Un altro pro­fes­so­rone da disprez­zare, o meglio un estre­mi­sta. La Pira lasciò infatti di stucco l’opinione pub­blica dell’epoca per­ché requisì molti appar­ta­menti non uti­liz­zati per asse­gnarli alle fami­glie povere e per i senza tetto. Un adem­pi­mento audace, ma iscritto nella Costi­tu­zione (art. 3) che cono­sceva alla per­fe­zione avendo fatto parte dell’assemblea costituente.
Anche oggi ci sono decine di migliaia di fami­glie e di gio­vani che non hanno la pos­si­bi­lità di avere una casa, ma la musica è cam­biata. Nell’articolo 5 del decreto legge n. 47 (final­mente pub­bli­cato pochi giorni fa) «Piano casa per l’emergenza abi­ta­tiva» si afferma che nelle occu­pa­zioni abi­ta­tive che pun­teg­giano molte grandi aree urbane del paese e che riguar­dano, come è noto, edi­fici abban­do­nati da tempo, è vie­tato allac­ciare i pub­blici ser­vizi, acqua e luce elet­trica. La Pira era un cat­to­lico come il pre­mier e come il mini­stro per le infra­strut­ture Mau­ri­zio Lupi e quell’articolo dimo­stra l’abisso cul­tu­rale che li divide. Quest’ultimo ha defi­nito delin­quenti gli occupanti.
Ma non è que­sta l’unica ver­go­gna pre­sente nel testo di legge pre­pa­rato con tutta evi­denza dall’ufficio studi dell’associazione dei costrut­tori e dalla pro­prietà edi­li­zia e pron­ta­mente vei­co­lato dal pre­mier. Nei venti anni di can­cel­la­zione di ogni regola, si è costruito molto nel nostro paese: i dati uffi­ciali ci dicono che gli alloggi recenti inven­duti sono un milione e mezzo: da soli potreb­bero ospi­tare quat­tro o cin­que milioni di abi­tanti. Ancora i dati uffi­ciali ci dicono poi che ci sono oltre 200 mila fami­glie in grave disa­gio abi­ta­tivo. Ma figu­ria­moci se chi si è arric­chito oltre misura in que­sti due decenni rinunci ad una mode­sta parte delle pre­vi­sioni di gua­da­gno. Così, all’articolo 10 si per­mette di assi­mi­lare que­gli alloggi, dovun­que siano ubi­cati e qua­lun­que qua­lità abbiano, in alloggi «sociali», che vuol dire otte­nere tutte le age­vo­la­zioni di legge ed eco­no­mi­che per desti­narli a fami­glie in grado di pagarsi un mutuo immobiliare.
Se la ven­dita di auto­mo­bili supera la domanda di mer­cato e i piaz­zali delle aziende si riem­piono, si riduce la pro­du­zione e per sal­va­guar­dare i lavo­ra­tori si ricorre a con­tratti di soli­da­rietà o agli ammor­tiz­za­tori sociali. Il com­parto abi­ta­tivo con­ti­nua a sfug­gire alle logi­che del mer­cato tanto osan­nate a parole. Se il mer­cato tira, gli ope­ra­tori immo­bi­liari pos­sono gua­da­gnare ciò che vogliono per­ché lo Stato ha rinun­ciato da tempo a qual­siasi azione cal­mie­ra­trice. Nel decreto legge, ad esem­pio (arti­colo 3) si pre­vede ancora di ven­dere le poche case rima­ste di pro­prietà pub­bli­che. Se il mer­cato entra invece in una crisi epo­cale che neces­si­te­rebbe di ben altre ana­lisi e solu­zioni, si ricorre agli aiuti pubblici.
Una volta piaz­zate le case inven­dute, non si rinun­cia nep­pure a costruire ancora nuovi quar­tieri. Sem­pre l’articolo 10 dice infatti che lo stesso trucco che tra­sforma l’edilizia pri­vata in alloggi assi­stiti dal denaro pub­blico si applica anche alle grandi lot­tiz­za­zioni che non erano nep­pure ini­ziate pro­prio per la crisi di mer­cato. Si per­pe­tua dun­que il modello dis­si­pa­tivo che ha por­tato all’attuale crisi di sovraproduzione.
La Pira viveva in un pic­colo allog­gio all’interno di un con­vento anche se non gli man­ca­vano certo amici in grado di for­nir­gli una casa a prezzi van­tag­giosi. Renzi quando era sin­daco della stessa città ha scelto di farsi pagare l’alloggio da un facol­toso amico. Un altro segnale elo­quente della distanza morale e cul­tu­rale che ci separa da quel fecondo periodo. La con­se­guenza di que­sta distanza cul­tu­rale stava ieri sotto gli occhi di Roma: decine di migliaia di per­sone e di gio­vani senza casa chie­de­vano prov­ve­di­menti veri in grado di risol­vere dav­vero l’emergenza abi­ta­tiva. Prov­ve­di­menti nep­pure sfio­rati da un decreto legge scritto in con­ti­nuità con le teo­rie eco­no­mi­che respon­sa­bili dell’attuale crisi.

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