Questa è la lava incandescente che si
accumula sotto l’economia reale e contro quel po’ di civiltà del lavoro
che si era faticosamente raggiunto. Altro che Yellowstone e i cataclismi
del millenarismo militante. Una cifra quasi impossibile da immaginare,
ma che, stando ai numeri della Banca dei Regolamenti Internazionali, è
la misura raggiunta dal debito globale. Ancor più folle di quello
accumulatosi nel 2007 all’apice della bolla dei titoli spazzatura, anzi
quasi il doppio. L’eruzione sarà dunque ancora più disastrosa di quella
avvenuta sei anni fa.
Il fatto è che gli squali della finanza hanno sfruttato per speculare
selvaggiamente le gigantesche immissioni di denaro da parte delle
banche centrali e indirettamente dagli stati, attraverso l’aumento del
debiti pubblici, pensati proprio per rappezzare l’economia dopo il 2008.
Così mentre milioni di persone si sono ritrovate impoverite, intere
società hanno conosciuto uno straordinario regresso sociale e di
democrazia, la creazione di denaro ha preso la strada delle banche e
delle borse che hanno registrato record a ripetizione, pur in panorama
di caduta produttiva: il Dow Jones ha avuto un incremento del 177%, il
Nasdaq del 242% il Nikkei del 113%, il Dax tedesco del 155%. Pure la
borsa di Milano è cresciuta del 60%. E se si confronta il grafico
dell’indice Standard e Poor’s che riguarda le 500 aziende americane a
maggior capitalizzazione con quello che descrive le immissioni di denaro
della Federal Reserve, si vede che si sovrappongono perfettamente: i
3500 miliardi di dollari emessi dalla banca centrale americana dopo il
2008 sono finiti direttamente lì.
Ormai i valori reali non hanno più nulla a che vedere con quelli
azionari, segno che si approssima lo scoppio di questa bolla cresciuta
sulla prima. E se i piccoli risparmiatori mandati al massacro dai
“pastori” dei fondi comuni dovrebbero cominciare a preoccuparsi, invece
di rallegrarsi del quantitative easing che Draghi fa balenare in
funzione elettorale e che finirà, grazie all’euro, per alimentare lo
stesso circuito, ciò che davvero conta è lo strumento che i poteri
finanziari hanno adottato per poter portare avanti il loro gioco: agire
su una politica subalterna e genuflessa per evitare regolamenti,
sanzioni, ostacoli, ritorno alle ragioni dell’economia reale, alle sue
dinamiche e alla centralità del lavoro, attraverso l’imposizione di
oligarchie di fatto e lo scasso delle costituzioni. La crisi con le sue
paure è stata d’aiuto, così come lo è stata la governance europea, tutta
formata da mediocri travet del disegno finanziario, che con i ricatti
ha costruito il panorama attuale.
In qualche caso fa impressione che certi premier non eletti siano
stati lanciati nell’agone politico nazionale proprio da quella J P
Morgan che come filosofia di fondo propone di estirpare l’antifascismo e
le regole del lavoro dalle costituzioni. Ma certo con risorse
illimitate non è difficile trovare qualche Masaniello da giocarsi per
mantenere al tavolo verde le diverse componenti nazionali e continentali
di una governance amica o così scadente, così profondamente cretina da
non accorgersi di nulla. In fondo ci sono quei 100 mila miliardi di
dollari, la gran parte inesistenti e/o inesigibili da tenere in campo.
Mica noccioline.
Certo il vulcano finirà per scoppiare, ma quando accadrà si spera di
poter contenere, dentro il nuovo assetto oligarchico, quelle reazioni di
rigetto che sarebbero ovvie e naturali in democrazia. I grandi squali
incasseranno gli utili, le multinazionali il frutto di una guerra
salariale verso il basso, anzi lo sprofondo e ci toccherà sentire il
pigolare di gallinellle e gallinacci che siedono sulle loro teste mentre
straparlano di nuovo. Poi magari una bella guerra come accadde nel 1914
risolverà tutto.
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