Pochi anni
fa, era la primavera del 2011, la Banca
Centrale Europea alzava i tassi d’interesse per impedire il
surriscaldamento dell’economia. In tutta Europa, infatti, la capacità
produttiva era satura, né si trovavano capannoni liberi dove aprire nuove
aziende. Le imprese si contendevano i lavoratori – stremati dagli straordinari
– a colpi di aumenti salariali. Il boom generava un chiaro rischio di
iperinflazione tipo Zimbabwe, come avvertivano i liberisti
anche sul Fatto Quotidiano.
Perciò la Bce fu costretta ad alzare i tassi una seconda volta (luglio 2011). O
no?
Alcuni
sedicenti economisti keynesiani,
in quel tempo, accusavano la Bce di essere “in mano a degli incompetenti”, e fantasticavano di crolli dei
titoli del debito pubblico, collasso dell’euro, disoccupazione di massa,
depressione, crisi democratica. Nel resto del mondo prevalevano
pericolose politiche monetarie non ortodosse: quantitative easing (QE), forward guidance, estensione
diretta del credito alle imprese. Le banche centrali inoltre
assicuravano la stabilità degli spread, a livelli bassissimi sempre e comunque,
e a costo zero, semplicemente gestendo le aspettative. Ma alla
Bce spiegavano che loro mai avrebbe potuto attuare tali politiche, essendo
vietate dai Trattati Europei. Draghi
al Financial Times nel
dicembre 2011:
- Draghi: Quantitative easing? La gente
deve accettare il fatto che noi resteremo nell’alveo del nostro mandato.
- Ft: Ma non c’è nulla nello Statuto della Bce che limiti gli acquisti di titoli pubblici… o altri interventi simili a quelli di altre banche centrali… Usa e Uk?
- Draghi: Non credo che distruggere la credibilità della Bce sia una buona idea!
- Ft: Ma non c’è nulla nello Statuto della Bce che limiti gli acquisti di titoli pubblici… o altri interventi simili a quelli di altre banche centrali… Usa e Uk?
- Draghi: Non credo che distruggere la credibilità della Bce sia una buona idea!
Ma
nell’estate 2012, le previsioni keynesiane si erano tutte avverate. Per salvare
l’euro la Bce aveva dovuto acquistare titoli
pubblici, fare marcia indietro sui tassi d’interesse, salvare le
banche, e apporre la sua garanzia sui titoli pubblici. La finanza era salva,
l’economia reale ancora no. Uno dei sedicenti economisti avvertì: “è iniziata la ritirata dei
liberisti, orchestrata dalla Bce… ma per salvare la faccia ai
funzionari europei e ai politici, il cambio di politiche economiche sarà molto lento; nel
frattempo i danni economici saranno gravissimi”.
Nell’estate
2013 la Bce ha continuato a modificare la sua posizione. Prima ha riconosciuto
che sì, c’era una crisi di domanda (cinque anni dopo); ma – ha detto – c’era
ancora spazio per abbassare i tassi, perciò il QE era inutile. Poi il QE e le
“manovre non convenzionali” divennero “una possibilità”, ma solo contro la
deflazione “improbabile”. Infine ieri la Bce ha ipotizzato l’uso del QE contro
la “bassa inflazione” (non solo deflazione). Draghi ha persino elencato (tre
anni dopo) tutti i danni che secondo i
sedicenti economisti provoca la bassa inflazione: aumento del
peso dei debiti pubblici e privati,
calo dei consumi, squilibri competitivi intra-europei.
Ma la Bce
ancora gioca a confondere le carte. Da mesi ripete: “Siamo pronti ad agire!”,
ma non agisce. Definisce le proprie politiche
accomodanti quando non lo sono. Denuncia la “prolungata
stagnazione”, ma non sa ancora come fare il QE senza smentirsi. In Europa non
esiste un mercato di assed backed
securities (cartolarizzazione di impieghi bancari) adeguato, mentre
l’acquisto di titoli pubblici (come fanno tutte le banche centrali),
contraddice l’ideologia ufficiale.
Morale:
1) emerge
che i Trattati Europei
non ponevano i divieti che si diceva, altrimenti oggi non si potrebbe fare
quello che ieri non si poteva. La politica e la Bce si sono nascoste dietro a
regole immaginarie, al fine di coartare la volontà popolare. La libera stampa
ha avallato e ha una grave responsabilità in questa vicenda;
2) se anche
oggi si facesse qualcosa di vietato dai Trattati, è perché la realtà, la
necessità l’impone; vuol solo dire che i Trattati sono irrealistici e
sbagliati. Il tentativo di Bce e Commissione di nascondere gli errori commessi
blocca il dibattito sulla riforma dei Trattati, o su una loro interpretazione
più moderna e realista;
3) se un
governo vuole davvero cambiare l’Europa, deve cominciare dalla Bce;
4) i ritardi
della Bce sono disastrosi: le politiche monetarie deflattive sono un macigno sulla
strada di qualsiasi ripresa economica; il “fare in fretta” che conta è quello
della Bce;
5) il QE è
un’arma troppo debole per combattere efficacemente la depressione: ci vuole un nuovo paradigma.
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