di Checchino Antonini
Il contributo di Sinistra anticapitalista al dibattito sulla sinistra in Europa passa per un confronto fitto con altri soggetti politici con cui condividere l’analisi sugli attacchi delle borghesie contro diritti sociali e civili e confrontare le possibili risposte di classe. Francesco Locantore ha introdotto così gli ospiti di “La nostra Europa è un’altra cosa”, il meeting internazionalista che s’è tenuto a Roma all’indomani della manifestazione dei movimenti e dei sindacati conflittuali contro il governo Renzi e l’austerity. Al Centro Congressi Frentani c’erano Andreu Coll (Izquierda Anticapitalista Barcellona – Stato spagnolo), Roseline Vachetta (NPA – Francia, già europarlamentare), Antonis Karavas (Medico, dirigente del sindacato dei lavoratori pubblici Adedy e di DEA – Syriza – Grecia), Sergio Bellavita (Il sindacato è un’altra cosa – Fiom), Nicoletta Dosio (Movimento No Tav), Chiara Carratù (Insegnante precaria). A concludere, dopo quattro ore di dibattito, Franco Turigliatto (Sinistra Anticapitalista). In sala, tra gli altri, una delegazione del Jvp dello Sri Lanka e Giovanni Russo Spena della direzione nazionale di Rifondazione.
Un applauso liberatorio ha accolto le parole del rappresentante srilankese quando, nella ricostruzione dell’epopea del suo partito e l’odissea del suo paese, ha ammesso un grave errore politico, quello di aver preso parte dal 2004 al 2010 a un governo borghese disastroso per gli esiti della lotta di classe nello Sri Lanka.
Fuori dalla Grecia Syriza non è un modello
Nell’intervento del compagno greco è stata ricostruita la genesi di Syriza, sorta dall’unità d’azione tra rivoluzionari e riformisti contro la globalizzazione. Syriza, nata dall’esigenza del Synaspismos per una coalizione che gli consentisse di scavalcare la soglia elettorale, era comunque lo strumento per applicare la tattica del fronte unito e in dieci anni ha attraversato diverse fasi nel corso delle lotte contro la modifica della Costituzione, delle rivolte del 2008 quand’è scoppiata la crisi economica. Più di 30 scioperi generali, negli ultimi quattro-cinque anni, occupazioni di case, movimenti di autoriduzione delle tasse ingiuste e contro la liberalizzazione dei trasporti pubblici. Fasi in cui ci sono state anche rotture come quelle del 2004 e di sei anni dopo quando un pezzo del gruppo dirigente ha voluto tentare un’alleanza col Pasok. Syriza, secondo Karavas, non può essere un modello fuori dal contesto greco dove la sinistra, divisa tra Syriza, Kke e Antarsya ha un cumulo di voti del 33% e i sondaggi delle prossime amministrative danno la ex coalizione divenuta partito della sinistra radicale testa a testa con la destra di Nuova democrazia. Nel paese l’estrema sinistra conta ben 45 organizzazioni.
Le lotte di questi anni sono riuscite a rovesciare due governi senza però riportare nessuna vittoria fondamentale. Tuttavia la classe lavoratrice ha scelto Syriza per la sua visibilità nei movimenti sociali penalizzando il contegno settario del Kke mentre era il tempo dell’unità d’azione. E Syriza ha resistito alle pressioni per entrare in un esecutivo di salvezza nazionale. All’ultima sua conferenza nazionale Syriza ha potuto contare 35mila aderenti. Tre anni prima erano 12mila. Antarsya, la coalizione (intorno all’1%) di altri soggetti dell’estrema sinistra controbatte dicendo che un eventuale governo guidato da Syriza seguirebbe la traiettoria di quello partecipato dai comunisti di Akel nella vicina Cipro, ossia gestirebbe il capitalismo ma Syriza, ha sostenuto Karavas, propone la cancellazione dei memorandum e il rovesciamento delle politiche liberiste e del debito, la nazionalizzazione delle banche e la difesa di scuola e sanità pubbliche, la tassazione dei capitali e andrà al governo sulla base di un’ondata di lotte. Certo, all’interno di Syriza esiste una tendenza ad abbracciare la socialdemocrazia ma la Piattaforma di sinistra (Sinistra del Synaspismos, Kokkino, Dea ecc…) raccoglie il 30% del corpo militante. Nei fatti, la piattaforma di Syriza appare come un programma transitorio che una parte del gruppo dirigente tende a interpretare in modo elastico ma se Syriza non lo rispetterà la sinistra verrà spianata.
Syriza è decisamente contraria a ogni ipotesi di di protezionismo economico e di ritorno alla moneta nazionale, non cerca di fornire al capitale greco una via per uscire dalla crisi anzi il suo dominio non deve più essere assunto come inevitabile. Il governo di sinistra dovrà servire all’emancipazione dei lavoratori e puntare all’effetto domino in Europa. Per questo i padroni tenteranno di strangolare il primo serio sforzo di rovesciare l’austerità. Per ora Alba dorata non è riuscita a vincere nemmeno nelle piazze perché è stata isolata dall’unità d’azione delle sinistre, con la solita eccezione del Kke. Se ad Atene sarà possibile un vero governo delle sinistre, decisive saranno le piazze di Roma, Parigi, Berlino, ha ricordato nelle sue conclusioni l’esponente di Dea.
L’impossibile che diventa possibile
Reduce dal corteo del giorno prima dei movimenti sociali e del sindacalismo conflittuale, Nicoletta Dosio, storica esponente No Tav della Valsusa e candidata alle europee per la Lista Tsipras, ha spiegato che quella lotta è una lotta contro i grandi interessi del capitalismo nata contro il “realismo” della politica. Una piccola popolazione contro la distruzione dei diritti, dell’ambiente, della salute in cambio di qualche “compensazione”. In Valle, l’impossibile è diventato possibile ma la repressione si sta imponendo. Però il movimento No Tav ha compreso che il problema non era solo della Valle, la lotta s’è sviluppata in parallelo contro i tagli generali delle corse per i pendolari, di posti di lavoro e della sicurezza. 11mila chilometri di “rami secchi” in cambio di 5mila km di alta velocità. A Bussoleno, dove c’era un polo ferroviario importante, dei mille ferrovieri sono rimasti dodici addetti alla stazione proprio mentre i trattati di Maastricht inserivano la Valle nel Corridoio 5, la linea Lisbona-Kiev a cui non crede più nessuno dal Portogallo alla Spagna e fino all’Ucraina ma che intanto ha desertificato il Mugello e divorato soldi pubblici sottratti ai servizi. La Tav israeliana, ad esempio, corre da Tel Aviv a Gerusalemme su terre espropriate ai villaggi palestinesi. E poi, più in generale, ai movimenti mica piace vivere in un Corridoio. Un Corridoio vuol dire delocalizzazioni, distruzione ambientale per lo scorrimento dei capitali. Sono “maleopere” per Nicoletta Dosio, come il Muos, il III valico, le piattaforme petrolifere mentre non si trovano fondi per ricostruire L’Aquila oppure mettere in sicurezza i territori devastati dalle frane. Questa storia valsusina ha un nome: lotta popolare contro il partito trasversale degli affari. E’ la storia No Tav. Da una parte c’è il capitale e la desertificazione, dall’altra la natura, i servizi pubblici e il proletariato. E non sono possibili punti d’incontro.
Una moneta non fa uno stato
Anche Parigi è stata il teatro di una marcia della rivolta, “Ora basta!”, alla vigilia del meeting internazionalista del 13 aprile a Roma. Vachetta era lì con l’Npa e il Front de gauche 50mila persone a riprendersi le piazze dopo che le destre le avevano egemonizzate con le manifestazioni contro il matrimonio per tutti. E’ stato un modo per riprendere l’iniziativa dopo il terremoto delle municipali per Hollande e il suo governo social-liberista. Dentro un quadro segnato dalla forte astensione, il Front National ha beneficiato di quel discredito conquistando 1200 consiglieri e strappando 14 città alla gauche. Così è ormai un elemento stabile nel paesaggio politico francese. E la destra dell’Ump s’è affermata in 171 città che prima non governava malgrado il discredito e gli scandali che hanno accompagnato Sarkozy. Ora condizionerà il governo Hollande che, infatti, si sta allineando ancora di più alle politiche della Bce. L’austerità, in Francia, si chiama “patto di responsabilità”: fine del salario sociale, del salario minimo (Smic), del welfare con la collaborazione di classe tra centrali sindacali e Medef (la confindustria francese). A sinistra dominano la divisione nel Front de gauche, il settarismo di Lutte Ouvriere e la debolezza del Noveau parti anticapitaliste. Sarà difficile che passi l’appello di Npa per liste comuni. Intanto l’Europa si conferma come fattore di crisi, un mercato europeo senza capitale europeo e una moneta non fa uno stato. Non c’è armonizzazione, il sistema complesso su cui è stata costruita l’Europa non permette di andare in una stessa direzione. E’ questo l’anello debole e dentro questo quadro la trappola del debito serve a ricostruire il capitale finanziario liquidando le conquiste sociali, innescando la recessione, liberalizzando i servizi facendo pagare la crisi ai lavoratori. Da qui proviene il rifiuto profondo dell’Ue e l’arrivo del Fn in testa ai sondaggi. Ma non si può ritornare allo stato nazionale perché comporterebbe nuove competizioni tra le classi subalterne dei vari paesi, incoraggerebbe i nazionalismi in un’ “union sacrée” interclassista contro il resto del mondo. Per questo nemmeno l’Npa sposa l’ipotesi No euro che, in questo contesto, non sarebbe un’uscita dal capitalismo. C’è bisogno di uno spazio europeo per la redistribuzione, di un’Europa dei popoli e della solidarietà, di un programma di urgenza sociale per uno Smic europeo, per il superamento della disparità nel potere d’acquisto, per l’armonizzazione dei sistemi fiscali, lo stop ai licenziamenti e un piano di impiego massiccio, la difesa dei servizi pubblici, il monopolio pubblico bancario a servizio di progetti utili, la pianificazione economica e la transizione ecologica. E non ci sarà democrazia senza diritti, per i sans papier contro l’Europa fortezza, per le donne, contro la guerra: serve anche un programma di urgenza democratica e, più in prospettiva, un processo costituente che coinvolga i popoli per un’Europa ecosocialista. Per tutto questo la forza non verrà dalla partecipazione alle elezioni ma dal coordinamento delle lotte.
Il metalmeccanico e la precaria della scuola
Sergio Bellavita è reduce dal congresso nazionale della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgi dalla fama immeritata di sindacato più conflittuale. La prima cosa che racconta alla platea è l’assenza di un rigo o di una parola sull’Europa, sull’urgenza di una ripresa su quella scala delle lotte. Sono effetti drammatici dell’irrilevanza della sinistra rivoluzionaria, un segno della “grande ritirata” dentro cui sono stati possibili l’Italicum, il jobs act e un accordo, come quello del 10 gennaio che costruisce un sistema rigido autoritario di relazioni sindacali. E’ il tutti contro tutti nei luoghi di lavoro, le libertà sindacali non esistono più. Il cielo non tornerà sereno se non scoppia la tempesta. Serve una nuova generazione disponibile a lottare ma intanto la complicità con l’austerità produce un ulteriore smottamento a destra. La Cgil non ha nemmeno un punto per riprenderci una sola parte di quello che è stato strappato alle classi lavoratrici. Questo perché l’Ue è stata costruita dal centrosinistra in stretto rapporto con i sindacati concertativi.
Ma l’attacco delle classi dominanti, è stato spiegato da Chiara Carratù, è iniziato anche prima dell’Ue, dei Trattati, della Bce. E’ l’attacco alla scuola pubblica che è partito dopo il ciclo di lotte degli anni ’70 per riconsegnare all’istituzione il ruolo di trasmissione delle idee dominanti che era stato smarrito grazie all’impatto dei movimenti sociali. Si tratta di interventi coerenti con le linee guida stabilite dall’Ert, la tavola rotonda degli industriali, dal 1983. Ogni atto di politica scolastica, da allora, coincide con quelle linee guida producendo le controriforme di questi decenni per culminare nell’ossessione contro gli “elementi di ’68″ e nel ristabilimento di una scuola il più possibile funzionale allo status quo.
Dagli indignati alle maree
Il catalano Andreu Coll inizia ricordando l’origine capitalista della trappola del debito estero. Sono i padroni ad aver vissuto al di sopra delle loro possibilità! Nello stato spagnolo la svolta di Zapatero in favore delle banche private, con la riduzione dei salari pubblici, l’estensione dell’età pensionabile e le privatizzazioni, ha inaugurato una serie di politiche riprese e accentuate dal suo successore del Partito popolare: il licenziamento di 80mila insegnanti, ad esempio, nuove tasse sulla sanità, l’aumento dell’Iva, La Troika, anche in Spagna, ha imposto la distruzione dei contratti collettivi e Coll restituisce un paesaggio sociale spagnolo fatto di miseria, disoccupazione, disuguaglianze ed emigrazione, anche nella forma della “fuga dei cervelli”. Per la prima volta, inoltre, l’opposizione non recupera terreno nei sondaggi pre-elettorali dopo l’introduzione da parte del Psoe del pareggio di bilancio in costituzione, dopo l’indulto al boss della Santander, la più importante banca del paese che è costato la sospensione del giudice Garzon accusato di corruzione. Una situazione sociale dentro cui matura anche una crisi della screditata monarchia e si riaffaccia il rischio di un’operazione di restaurazione da parte della destra repubblicana.
Ma lo stato spagnolo registra anche una politicizzazione di massa e un protagonismo giovanile che non s’erano mai visti. Il 15M, il movimento degli indignados è l’avvenimento più importante dalla fine del franchismo. Per Andreu Coll è paragonabile solo al 68 francese senza lo sciopero generale. Con la parola d’ordine “Non siamo merce nelle mani di politici e banchieri”, per la prima volta, si radica e si radicalizza un movimento. Dopo il 15M sono seguite le “maree”, quelle bianche della sanità, azzurre della scuola, rosse dei lavoratori della cultura e i movimenti per la casa e contro i tagli. Sono state strappate piccole vittorie: contro la privatizzazione di sette ospedali madrileni, a Burgos un quartiere popolare s’è rivoltato contro un’opera inutile commissionata a un’azienda legata al sindaco. Il 22 di marzo, due milioni di persone hanno preso parte alle marce per la dignità su Madrid. Il Psoe è in piena crisi, Izquierda Unida non ha molta credibilità dopo l’ingresso nei governi di austerità in Andalusia e nelle Asturie. Izquierda Anticapitalista è uscita da Iu nel 2008 e ora può contare su 600 militanti che lavorano all’esperienza di Podemos, scaturita dal 15M, e che sono in contatto con il gruppo del popolare Pablo Iglesias, di ispirazione bolivariana. Podemos ha svolto 200 assemblee nei suoi circoli territoriali coinvolgendo 10mila persone sulla base di un appello firmato da 100mila simpatizzanti. Alla vigilia del nostro meeting s’è svolto il primo coordinamento statale. Forse, per la prima volta, sarà possibile l’elezione di un deputato europeo spagnolo a sinistra di Iu. Ma Podemos è già ora un soggetto politico con influenza di massa, con un ruolo centrale delle correnti rivoluzionarie nell’orientamento politico delle resistenze.
Misma lucha
Sono storie di “misma lucha”, della stessa lotta, dice Franco Turigliatto citando il titolo del giornale realizzato dai compagni della Lcr catalana e della Fiat di Torino negli anni ’80. Anche il dirigente di Sinistra anticapitalista ricostruisce il blocco sociale dominante sull’esempio di quello che governa la sua città, Torino, appunto, e che con l’impasto tra banche, industria, finanza, politica (tra cui gli eredi del Pci) e sindacato concertativo, è esemplificativo di quello internazionale. Il meeting è riuscito, la sala è piena e gli interventi corposi (i video saranno inseriti su questo sito). Un momento di riflessione politica non solo elettorale. Anche perché la lista Tsipras non è quello che auspicava l’organizzazione nata dallo scioglimento di Sinistra critica: c’è Sel che vive in una terra di mezzo che porta a Schultz, l’ipoteca dei garanti che hanno riprodotto lo stesso verticismo di sempre nella composizione della lista. Il risultato è una lista composta da molte energie antiliberiste e altrettante spinte che portano alla subalternità con il social-liberismo. Per Turigliatto dev’essere chiaro che la ricostruzione della sinistra di classe passa per le lotte e i movimenti sociali e il loro incontro con i soggetti politici che non sono tornati a casa. L’appello dei francesi è lo stesso dei loro compagni italiani. C’è una specie di legge del liberismo: qualsiasi premier è peggiore di quello che lo ha preceduto. Questo perché la crisi generale del capitalismo è la crisi dell’Europa capitalista che, per recuperare un ruolo nella concorrenza intercapitalista mondiale, deve schiacciare cento anni di conquiste del movimento dei lavoratori. E’ il ritorno al capitalismo selvaggio e non c’è alcuno spazio per politiche neokeynesiane quando c’è da ristabilire il saggio di profitto. E’ una sconfitta storica, è stata disgregata la classe e interiorizzato la sconfitta. Di questo parla l’assenza di reazione sociale ai numeri neri che snocciola Turigliatto: 3 milioni di disoccupati, altri tre che nemmeno cercano lavoro, 9 milioni di poveri e il 40% di disoccupazione giovanile. Ora ci sarà l’ulteriore passaggio delle riforme istituzionali, un taglio alla democrazia mentre si prova a dare in pasto all’opinione pubblica una modernizzazione che è una restaurazione. Gli anticapitalisti non sono mai stati fan della “Costituzione più bella del mondo” che pure prevedeva un sistema di mediazioni, garanzie, diritti. Il Def del governo Renzi è un netto avvicinamento alla Grecia: i tagli alla pubblica amministrazione e 12 miliardi di svendite del patrimonio pubblico sono funzionali alla costituzione di un avanzo primario che finirà nella trappola del debito pubblico, un anticipo del fiscal compact (50 miliardi l’anno di tagli e risparmi). E’ il meccanismo di trasferimento della ricchezza dal monte salari alla rendita finanziaria. E nessuno è riuscito a spiegare questo meccanismo alle classi subalterne così non ci sono state le grandi mobilitazioni viste in altri paesi del Sud dell’Europa. Per costruire una resistenza sociale c’è bisogno di una vittoria in Grecia della sinistra radicale ma la Grecia ha bisogno delle resistenze di tutti i lavoratori europei. Bisogna che una parte della sinistra impari a crescere, avverte Turigliatto introducendo un elemento di critica, all’indomani del 12 aprile, all’“estetica dello scontro concordato”. L’introduzione dell’euro, nel suo ragionamento, è una sconfitta del movimento operaio ma il ritorno alla lira non abolisce l’austerità, mette in concorrenza i lavoratori e, in definitiva, anche questa è una storia antica: la svolta starebbe nell’unità delle lotte, nella comprensione della necessità di un loro coordinamento. A questo serve l’organizzazione, a non dover ricominciare sempre da zero, a costruire piattaforme comuni dentro cui maturi la liberazione di tutte e tutti.
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