Chi mi segue sa che sono da sempre molto sospettoso sulle presunte
capacità rivelative e sbugiardatorie “della Rete”: cose tipo «quello che
ti dicono è falso» o «nessuno vuole dirtelo ma succede che..». Si
tratta spesso di un mix di complottismo, esoterismo e marketing
acchiappaclic.
Sono dunque quasi imbarazzato, in questi giorni, nel cercare di
sbugiardare la “narrazione tossica” – diciamolo chiaramente: le balle
sesquipedali – che vengono spacciate in giro (direi in modo equanime sui
giornali e sul web) a proposito del disegno governativo di riforma del Senato.
L’immagine sopra, ad esempio, è una parte di un’infografica
pubblicata dall’ufficio stampa del Pd ed è roba abbastanza penosa: si
spacciano per «eletti dal territorio» quasi tutti i senatori, mentre le
cose stanno molto (ma molto) diversamente.
È quindi necessario, scusandomi per chi non ne può più, impegnarsi
in un po’ di debunking, con qualche Faq, su questa proposta
costituzionale del governo. Per fare “propaganda” contro il governo? No,
perché tutti siano informati: poi ciascuno valuterà questa riforma come
crede. Ma in modo informato.
I nuovi senatori saranno eletti o nominati?
Il nuovo Senato sarà composto da 148 persone.
Di questi 148, 20 sono i governatori delle Regioni:
quando li eleggeremo governatori, “a regime”, sapremo che li stiamo
mandando anche in Senato, quindi nella loro carica senatoriale saranno
in qualche modo legittimati dal voto popolare.
Altri 20 sono i sindaci delle città capoluogo di
regione: anche questi, quando li eleggeremo sindaci a Milano o a Napoli
etc, sapremo che li stiamo mandando anche in Senato, quindi nella loro
carica senatoriale sono legittimati dal voto popolare; resta magari la
domanda su perché un milanese e un napoletano possano esprimere questo
senatore mentre un bresciano e un casertano no, ma pazienza.
Altri 40 sono invece consiglieri regionali scelti tra i 1.117
consiglieri regionali italiani. Scelti da chi? Dai consigli regionali a
cui appartengono, cioè dai partiti. Ripeto: questi 40 sono stati eletti
dai cittadini solo consiglieri regionali, come tutti i 1.117
consiglieri regionali italiani: sono i partiti a selezionarne 40 tra i
1.117 trasformandoli anche in senatori.
Poi ci sono altri 40 sindaci che diventano senatori con la stessa logica: in Italia i sindaci sono infatti 8.092
e tra questi 8.092 ne saranno nominati senatori 40; in questo caso, a
nominarli senatori penseranno le nuove assemblee regionali dei sindaci,
che ovviamente saranno dominate dai partiti a cui appartengono questi
sindaci; in ogni caso, come per i consiglieri regionali, anche questi 40
non saranno mandati a Palazzo Madama dai cittadini, a cui nessuno
chiederà quali 40 tra gli 8.092 devono diventare senatori.
Poi ci sono 2 casi specifici di senatori, cioè i
presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano; il primo è
eletto direttamente dai cittadini, quindi vale per lui quello che si è
detto per i governatori: votandolo, i cittadini sanno che sarà anche
senatore, quindi ha una legittimazione dal voto popolare; il presidente
della provincia di Bolzano è invece scelto dai consiglieri provinciali.
Infine bisogna aggiungere a questi senatori i 21 scelti dal Presidente della Repubblica e (finché campano) i 5 senatori a vita.
Ricapitolando: su 148 membri di Palazzo Madama, quelli scelti anche come tali dai cittadini saranno 41, pari a poco meno del 28 per cento; quelli nominati dai partiti o dal Quirinale, e comunque non eletti senatori dai cittadini, saranno 107, pari a poco più del 72 per cento.
Sempre meglio del Porcellum: lì erano tutti nominati dai partiti.
È vero che con la legge Calderoli (appena bocciata dalla Consulta)
erano tutti nominati dai partiti, ma con un’importante differenza: lì
l’elettore sceglieva tra blocchi di persone che comunque si candidavano
al Senato, mentre con questa riforma non saprà mai, votando per un
consigliere regionale o un sindaco di città non capoluogo di regione, se
questa persona vorrà/potrà far parte o no della ristrettissima
selezione di consiglieri e sindaci che poi diventeranno senatori, in
base a decisioni del tutto sottratte agli elettori stessi.
Inoltre la quantità di senatori imposti dal Quirinale, con questa riforma, quadruplicherebbe.
Quindi, per quanto riguarda il 72 per cento dei senatori, questa riforma è peggiorativa rispetto al Porcellum in termini di legittimazione popolare dei senatori. Per capirci, allunga e non accorcia la distanza tra rappresentanti e rappresentati.
Va beh, ma tanto il Senato non conterà più niente.
Falso: il Senato non sarà più decisivo (ma solo consultivo) sulla
produzione di leggi ordinarie e non darà la fiducia o la sfiducia ai
governi; tuttavia questo ramo del Parlamento avrà esattamente gli stessi
poteri della Camera per quanto riguarda le leggi costituzionali, la
scelta dei membri della Consulta, la scelta dei membri del Csm e
soprattutto l’elezione del futuro Capo dello Stato.
Ma anche in Germania la seconda Camera (il Bundesrat) è scelta dagli eletti dei Land, non dagli elettori.
Ammesso e non concesso che il sistema del Bundestag-Bundesrat sia un
buon modello, anche qui ci sono importanti differenze, la prima delle
quali è il fatto che il Bundesrat si deve confrontare in Germania con
una prima Camera (Bundestag) che non viene eletta con i listini bloccati
(come invece prevede l’Italicum per la Camera): ha quindi un
contrappeso (molto forte, anzi prioritario) non composto a sua volta da
nominati.
Inoltre il sistema tedesco prevede che al Bundesrat tutti i
parlamentari esprimano in modo unanime gli interessi del loro Land,
insomma non è possibile che due delegati dello stesso Land votino
diversamente: in pratica sono dei semplici delegati del governo del loro
Land (eletto dai cittadini) che devono sempre votare come vuole il
governo del loro Land.
Inoltre, il Bundesrat non ha voce in capitolo sull’elezione del
presidente federale, al contrario del futuro Senato italiano. Infine, il
Bundesrat non può mettere becco nei poteri autonomi dei Land, che in
Germania sono maggiori rispetto a quelli delle regioni italiane.
Insomma, il paragone Bundesrat tedesco-nuovo Senato italiano non sta
molto in piedi, essendo i due sistemi completamente diversi.
Però con il nuovo Senato si risparmia, visto che i senatori non avranno l’indennità!
Le indennità dei senatori oggi costano allo Stato circa 43 milioni di
euro l’anno; se a questa cifra si sommano i soldi devoluti ai gruppi e i
vari rimborsi, si arriva a circa 100 milioni di euro l’anno. Non è
ancora chiaro quanti di questi soldi saranno effettivamente risparmiati,
perché comunque lo Stato dovrà farsi carico delle trasferte (voli,
alberghi etc) di 148 persone che verranno quasi tutte da fuori Roma,
presumibilmente almeno due o tre volte al mese. Non è escluso, al
momento, che per queste trasferte ci sia anche una diaria. Non si sa
neppure se questi senatori avranno diritto a un assistente pagato, come
gli attuali. Di sicuro, visto che Palazzo Madama rimane in attività, non
viene abolita (anche se forse sarà gradualmente ridotta) tutta la
macchina del Senato, che rappresenta il grosso del suo costo: 246
milioni l’anno solo per i dipendenti nel 2013, ad esempio.
Una valutazione ottimistica può arrivare comunque a stabilire un
risparmio di 60-70 milioni l’anno. Si otterrebbe un risparmio molto
maggiore (ammesso e non concesso che la logica di una revisione
costituzionale sia quella del risparmio) semplicemente tagliando il
numero di attuali parlamentari: ad esempio la controproposta
di riforma costituzionale depositata ieri da alcuni “dissidenti” del Pd
prevede solo 315 deputati e 100 senatori, quindi in tutto 415
parlamentari stipendiati, contro i 630 deputati stipendiati previsti dal
disegno del governo.
Perché il governo ci tiene così tanto alla non elettività dei nuovi senatori?
Qui si entra nel campo delle ipotesi. Ce ne sono tre, di cui l’ultima è la più severa e “retroscenista”.
La prima è che Renzi voglia a ogni costo fare passare il messaggio
dei tagli ai costi della politica, dei senatori che non percepiranno
indennità: per questo gli serve che i senatori siano amministratori
locali, già pagati come tali, e considera secondario rispetto a questo
messaggio mediatico l’effetto collaterale, cioè il fatto che i senatori,
per il 72 per cento, non siano eletti dal popolo.
La seconda ipotesi è che il Pd ritenga in questo modo di assicurarsi
un “Senato amico”: infatti alle elezioni amministrative il
centrosinistra ha quasi sempre risultati migliori che alle politiche,
quindi con questa riforma lo stesso centrosinistra si garantirebbe un
probabile controllo di Palazzo Madama senza passare dal voto nazionale.
La terza ipotesi è che semplicemente con la non eleggibilità si
voglia allontanare ulteriormente i cittadini dai luoghi di decisione
politica, aumentando invece il potere dei segretari di partito.
Perché qualcuno ha parlato di “svolta autoritaria”?
L’appello
di Zagrebelsky, Rodotà e altri (firmato poi anche da Grillo e
Casaleggio, oltre che da Barbara Spinelli) ha scatenato un notevole
dibattito in questi giorni. La questione di fondo posta dall’appello è
l’effetto del combinato disposto tra questo disegno di riforma del
Senato e il progetto di riforma della legge elettorale per la Camera, il
cosiddetto Italicum: che prevede listini bloccati, premio di
maggioranza, candidature plurime con il meccanismo dell’opzione,
eliminazione dei partiti che prendono meno dell’8 per cento.
Non si capisce quindi il senso dell’appello se non si tiene conto che
si riferisce all’impianto complessivo che uscirebbe dalle due riforme,
una ordinaria e una costituzionale, che messe insieme conferiscono un
grande potere, con scarsissimi contrappesi, al capo del partito che
vince le elezioni.
Ma almeno così si elimina il famoso bicameralismo perfetto
Anche ammesso che il bicameralismo perfetto comporti più danni che
benefici, dove sta scritto che per superarlo sia obbligatorio creare un
Senato al 72 per cento di nominati e una Camera eletta con le liste
bloccate?
Altri effetti collaterali della riforma del Senato?
Uno, abbastanza curioso: gli amministratori regionali che diventano
anche senatori, ma soprattutto i sindaci che diventano anche senatori,
non dovrebbero fare prima di tutto e a tempo pieno ciò per cui sono
stati eletti, cioè gli amministratori regionali e i sindaci? Ha un senso
pratico che i primi cittadini di Milano, Napoli, Torino, Genova, Bari,
Palermo etc debbano mollare 3-4 volte al mese le loro città per andare a
fare i senatori, occupandosi di cose che con le loro città il più delle
volte c’entrano pochissimo o niente?
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