Il governo taglia tutto, ma non le spese militari

Tali spese sono solo la punta
dell’iceberg di un colossale esborso di denaro pubblico, pagato dai
cittadini dei paesi dell’Alleanza. Vi è anzitutto la spesa iscritta
nei bilanci della difesa dei 28 stati membri che, secondo i dati Nato
del febbraio 2014, supera complessivamente i 1000 miliardi di
dollari annui (circa 750 miliardi di euro), per oltre il 70% spesi
dagli Stati uniti. La spesa militare Nato, equivalente a circa il 60%
di quella mondiale, è aumentata in termini reali (al netto
dell’inflazione) di oltre il 40% dal 2000 ad oggi.
Sotto pressione degli Stati uniti, il
cui budget della difesa (735 miliardi di dollari) è pari al 4,5% del
prodotto interno lordo, gli alleati si sono impegnati nel 2006
a destinare al bilancio della difesa come minimo il 2% del loro pil.
Finora, oltre agli Usa, lo hanno fatto solo Gran Bretagna, Grecia ed
Estonia. L’impegno dell’Italia a portare la spesa militare al 2% del
pil è stato sottoscritto nel 2006 dal governo Prodi. Secondo i dati
Nato, essa ammonta oggi a 20,6 miliardi di euro annui, equivalenti
a oltre 56 milioni di euro al giorno. Tale cifra, si precisa nel
budget, non comprende però diverse altre voci. In realtà, calcola il
Sipri, la spesa militare italiana (al decimo posto su scala mondiale)
ammonta a circa 26 miliardi di euro annui, pari a 70 milioni al giorno.
Adottando il principio del 2%, questi salirebbero a oltre 100
milioni al giorno.
Agli oltre 1000 miliardi di dollari
annui iscritti nei 28 bilanci della difesa, si aggiungono i
«contributi» che gli alleati versano per il «funzionamento della
Nato e lo sviluppo delle sue attività». Si tratta per la maggior
parte di «contributi indiretti», tipo le spese per «le operazioni
e missioni a guida Nato». Quindi i molti milioni di euro spesi per far
partecipare le forze armate italiane alle guerre Nato nei Balcani,
in Afghanistan e in Libia costituiscono un «contributo indiretto»
al budget dell’Alleanza.
Vi sono poi i «contributi diretti»,
distribuiti in tre distinti bilanci. Quello «civile», che con fondi
forniti dai ministeri degli esteri copre le spese per lo staff dei
quartieri generali (4000 funzionari solo a Bruxelles). Quello
«militare», composto da oltre 50 budget separati, che copre i costi
operativi e di mantenimento della struttura militare
internazionale. Quello di «investimento per la sicurezza», che
serve a finanziare la costruzione dei quartieri generali, i sistemi
satellitari di comunicazione e intelligence, la creazione di
piste e approdi e la fornitura di carburante per le forze impegnate
in operazioni belliche. Circa il 22% dei «contributi diretti»
viene fornito dagli Stati uniti, il 14% dalla Germania, l’11% da Gran
Bretagna e Francia. L’Italia vi contribuisce per circa l’8,7%:
quota non trascurabile, nell’ordine di centinaia di milioni di euro
annui. Vi sono diverse altre voci nascoste nelle pieghe dei bilanci.
Ad esempio l’Italia ha partecipato alla spesa per il nuovo quartier
generale di Lago Patria sia con la quota parte del costo di
costruzione, sia con il «fondo per le aree sottoutilizzate» e con
uno erogato dalla Provincia, per un ammontare di circa 25 milioni di
euro (mentre mancano i soldi per ricostruire L’Aquila). Top secret
resta l’attuale contributo italiano al mantenimento delle basi Usa
in Italia, quantificato l’ultima volta nel 2002 nell’ordine del 41%
per l’ammontare di 366 milioni di dollari annui. Sicuramente oggi
tale cifra è di gran lunga superiore.
Si continua così a gettare in un
pozzo senza fondo enormi quantità di denaro pubblico, che sarebbero
essenziali per interventi a favore di occupazione, servizi sociali,
dissesto idrogeologico e zone terremotate. E i tagli di 6,6
miliardi, previsti per il 2014, potrebbero essere evitati tagliando
quanto si spende nel militare in tre mesi.
MANLIO DINUCCIda il manifesto
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