Dopo il voto. La vittoria di Syriza, ancora contro i diktat dell’austerity. L'impossibile paragone con il Pd
Con la netta vittoria elettorale di domenica, Syriza e Alexis
Tsipras si affermano saldamente alla guida della Grecia e al
centro della politica europea. E’ un risultato straordinario per
tutti noi, in primo luogo perché dimostra che il piano degli
oligarchi, greci ed europei, perseguito con ottusa arroganza fin
dal 25 di gennaio, è fallito. Volevano liberarsi dell’anomalia
greca. Dell’unico governo di sinistra che si opponeva al loro modello
fallimentare. E se lo ritrovano più vivo che mai nelle urne,
legittimato da un nuovo, testardo, indiscutibile consenso
elettorale.
Dopo una via crucis che avrebbe logorato qualunque altro governo
nel mondo e che qui, invece, l’ha rafforzato. Volevano
sterilizzare i loro lindi tavoli europei dalla presenza fastidiosa
di un capo di governo non allineato ai loro voleri, e se lo ritrovano
ora davanti, in questi stessi giorni, a quegli stessi tavoli,
sopravvissuto al fuoco, a lottare per quello che ha sempre chiesto
e che a luglio gli è stato negato: ristrutturazione del debito,
abbandono delle folli politiche d’austerità, radicale riscrittura
dei trattati, politiche redistributive, continuando a battersi
lì per cambiare i termini del diktat «insostenibile» impostogli
col ricatto e la minaccia a luglio. E insieme offrendo un punto di
riferimento a tutte le forze che nello spazio europeo si battono
per quegli obbiettivi.
Ed è questa la seconda ragione per gioire del risultato di Atene.
Perché lì è nata, non più in embrione, ma ormai allo stato visibile,
una sinistra europea, transnazionale e post-nazionale,
dichiaratamente determinata a battersi nello spazio
continentale della politica che viene, tendenzialmente
maggioritaria perché impegnata a rappresentare l’enorme
disagio che le politiche di questa Europa producono e a sfidare
la «pratica del disumano» che le istituzioni europee
contrappongono alla moltitudine sofferente che preme ai propri
confini blindati. Sinistra nuova, diversa dai residui logori della
vecchie social-democrazie, miseramente naufragate nella battaglia
di luglio, fisicamente visibile sul palco di Piazza Syntagma dove
si sono schierati i leader e le leader di Podemos e della Linke, dei
Verdi tedeschi e del Partito della sinistra europea, stretti
intorno a Tsipras in un patto che va al di là della tradizionale
solidarietà internazionale, e che segna in potenza un «nuovo
inizio».
Preoccupa, certo, nel quadro altrimenti confortante delle
elezioni greche, l’alto livello dell’astensione. È, potremmo dire, il
lato oscuro della forza, che i commentatori maligni di casa nostra
non hanno mancato di sottolineare per tentare di ridimensionare
il valore del risultato, pur essendo gli stessi che in ogni altra
occasione ci avevano spiegato (ricordiamo l’Emilia Romagna, o le
ultime regionali?) che è cosa normale, che le democrazie moderne
funzionano bene così. Noi continuiamo a considerarlo,
a differenza di loro, un grave problema, ovunque si manifesti,
sapendo bene che, in particolare in questo caso, esso è sintomo di
un fallimento, non certo dei greci (per i quali la notizia è tutt’al
più l’altra, che abbiano continuato a votare a milioni e a crederci),
ma dell’Europa. Della gabbia di ferro in cui ha chiuso i popoli,
facendo di tutto per convincerli che la loro volontà (la «volontà
popolare», appunto), non conta nulla. Che le regole che nessuno ha
votato sono dogmi immodificabili. E funzionando così come una
gigantesca macchina che erode e riduce ai minimi termini la
democrazia, svuotandola di significato.
Indigna, d’altra parte, lo spettacolo, davvero indecente, della
nostra stampa quotidiana. I commenti a caldo degli editorialisti
embedded, impegnati in acrobazie spericolate per sostenere –
sulla scia delle veline renziane — che la vittoria di Syriza e la
sconfitta secca dei fuoriusciti di Unità popolare dimostrerebbe
nientemeno che «non c’è spazio alla sinistra del Pd», come se
Tsipras fosse Renzi (si sa benissimo che quel 12 luglio feroce Renzi
era tra i ricattatori e Tsipras il ricattato, e nessuno può
permettersi di nascondere la distanza abissale tra le politiche
dei due, si tratti dei diritti del lavoro o dei rapporti con la
Merkel). E come se, che ne so, Bersani e Cuperlo fossero Varoufakis
(!). O Civati, Fratoianni e Ferrero Lafazanis. Sono, quei
commenti senza pudore, la misura di quanto sgangherato sia il nostro
sistema dell’informazione. Quanto servile, piegato ai voleri dei suoi
tanti padroni, politici o economici. Ma soprattutto sono il frutto
di una grande paura. Del timore che l’esempio greco possa diffondersi
per contagio, e che cresca in Europa un’alternativa al sistema di
privilegio di cui anche quel démi monde è parte.
Da quella «grande paura» dovremmo trarre uno stimolo. E una
conferma della nostra possibile forza. Ad Atene, su quel palco
europeo, la sinistra italiana non era rappresentata. Per il fatto
che non c’è. O meglio: «non c’è ancora». Resta la grande attesa, sempre
in costruzione, mai nella realtà. Non la si faccia prolungare
troppo quell’attesa. C’è un grande lavorio, dal basso e non solo. Si
discute di date, di eventi, di processi costituenti. Non facciamone
un eterno Godot. Facciamo subito quello che dobbiamo fare: una
sinistra capace di andare oltre i propri frammenti e di prendere in
Italia e in Europa il posto vuoto che in tanti si aspettano che
occupi. Chiunque rallentasse o ostacolasse questo processo, tanto
più ora, si assumerebbe una responsabilità tremenda.
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