La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la tessera
della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente estraneo
a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado
minimamente di fare sì che essa cambi.
La mia è quindi la presa
d'atto di una sconfitta personale: ci ho provato per tanto tempo e credo
con rigore e coerenza personale, non ci sono riuscito. Anzi la Cgil è
sempre più distante da come avrei voluto che fosse. Non parlo tanto dei
proclami e delle dichiarazioni ufficiali, ma della pratica reale, della
vita quotidiana che per ogni organizzazione, in particolare per un
sindacato, è l'essenza. Non è questo il sindacato che vorrei e di cui
credo ci sia bisogno, e soprattutto non vedo in esso la volontà di
diventarlo.
Naturalmente mi si può giustamente rispondere: chi ti
credi di essere? Certo la mia è la storia di un militante come ce ne
sono stati tanti, che ha speso tanto nell'organizzazione ma che non può
pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la
mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della
più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come
tale possa essere collocata e spiegata.
Nei primissimi anni 70 del
secolo scorso a Bologna come lavoratore studente ho preso con orgoglio
la mia prima tessera Cgil. Poi sono stato chiamato a Brescia per
cominciare a lavorare a tempo pieno nella Fiom. Nella quale sono rimasto
fino al 2012. Ho visto cambiare il mondo, ma se tornassi indietro con
la consapevolezza di oggi rifarei tutte le scelte di fondo. Scherzando
penso che io ed il mondo siamo pari, io non sono riuscito a cambiarlo
come volevo, ma pure lui non ce l'ha fatta con me.
Quando ho
cominciato a fare il "sindacalista" a tempo pieno questa parola
suscitava rispetto. Io la maneggiavo con un po' di timore. Il
sindacalista era una persona giusta e disinteressata che raddrizzava i
torti, era il difensore del popolo. Oggi se dici che sei un sindacalista
ti vedi una strana espressione intorno, molto simile a quella che viene
rivolta ai politici di professione. Sindacalista eh? Allora sai farti
gli affari tuoi...
Questo discredito del sindacato è sicuramente
alimentato da una disegno del potere economico e delle sue propaggini
politiche ed intellettuali. Ma è anche frutto della burocratizzazione e
istituzionalizzazione delle grandi organizzazioni sindacali.
Paradossalmente oggi è proprio il sindacalismo moderato della
concertazione, che ho contrastato per quanto ho potuto, ad essere messo
sotto accusa. Negli anni 80 e 90 è stata la mutazione genetica del
sindacato più forte d'Europa, la sua scelta di accettare tutti i vincoli
e le compatibilità del mercato e del profitto, che ha permesso al
potere economico di riorganizzarsi e riprendere a comandare. In cambio
le grandi organizzazioni sindacali hanno chiesto compensazioni per se
stesse.
Questo è stato il grande scambio politico che ha
accompagnato trent'anni di politiche liberiste contro il lavoro. I
grandi sindacati accettavano la riduzione dei diritti e del salario dei
propri rappresentati e in cambio venivano riconosciuti ed
istituzionalizzati. Partecipavano ai fondi pensione, a quelli sanitari,
agli enti bilaterali, firmavano contratti che costruivano relazioni
burocratiche con le imprese, stavano ai tavoli dei governi che
tagliavano lo stato sociale, insomma crescevano mentre I lavoratori
tornavano indietro su tutto.
Quando il mondo del lavoro è
precipitato nella precarietà e nella disoccupazione, quando si è
indebolito a sufficienza, il potere economico reso più famelico dalla
crisi, ha deciso che poteva fare a meno dello scambio della
concertazione. Ha dato il via Marchionne e tutti gli altri lo hanno
seguito. Quelle concessioni sul ruolo e sul potere della burocrazia, che
le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio
della "responsabilità" sindacale, son state messe sotto accusa. Coloro
che più si sono avvantaggiati dei "privilegi" sindacali ora sono i primi
a lanciare lo scandalo su di essi. I vecchi compagni da cui ho imparato
l'abc del sindacalista mi dicevano: se al padrone dai una mano poi si
prende il braccio e tutto il resto.
Ma nel mondo moderno certe
massime sono considerate anticaglie, e quindi i gruppi dirigenti dei
grandi sindacati son rimasti sconvolti e travolti dalla irriconoscenza
di un potere a cui avevano fatto così ampie concessioni. Hanno così
finito per fare propria la più grande delle falsificazioni sul loro
operare. I sindacati hanno difeso troppo gli occupati e abbandonato i
giovani ed i precari, questo è passato nei mass media. Mentre al
contrario non si sono trasmessi diritti alle nuove generazioni proprio
perché si è rinunciato a difendere coloro che quei diritti tutelavano
ancora. I grandi sindacati han subito la catastrofe del precariato non
perché troppo rigidi, ma perché troppo subalterni e disponibili verso le
controparti. Questa è la realtà rovesciata rispetto all'immagine
politica ufficiale, realtà che qualsiasi lavoratrice o lavoratore
conosce perfettamente sulla base della proprie amare esperienze.
La
condizione del lavoro in Italia oggi è intollerabile e dev'essere
vissuta come un atto di accusa da ogni sindacalista che creda ancora
nella propria funzione. Non è solo lo perdita di salari e diritti, il
peggioramento delle condizioni di lavoro, lo sfruttamento brutale che
riemerge dal passato di decenni. Sono la paura e la rassegnazione
diffuse, il rancore, la rottura di solidarietà elementari, che mettono
sotto accusa tutto l'operato sindacale di questi anni.
Di Vittorio rivendicò alla Cgil il merito di aver insegnato al
bracciante che non ci si toglie il cappello quando passa il padrone.
Di chi è la colpa se ora chi lavora deve piegarsi e sottomettersi come e
peggio che nell'800? È chiaro che la colpa è del potere economico e di
quello politico ad esso corrivo, oggi ben rappresentato da quella figura
trasformista e reazionaria che è Matteo Renzi. È chiaro che c'è tutto
un sistema culturale e mediatico che educa il lavoro alla rassegnazione e
alla subordinazione all'impresa. Ma poi ci son le responsabilità da
questo lato del campo, quelle di chi non organizza la contestazione e la
resistenza.
Lascio la Cgil perché non vedo nei gruppi dirigenti
alcuna volontà di cogliere il disastro in cui è precipitato il mondo del
lavoro e le responsabilità sindacali in esso. Vedo una polemica di
facciata contro le politiche di austerità e del grande padronato, a cui
corrispondono la speranza e l'offerta del ritorno alla vecchia
concertazione. E se le dichiarazioni ufficiali, come sempre accade,
fanno fuoco e fiamme sui mass media, la pratica reale è di aggiustamento
e piccolo cabotaggio, nell'infinita ricerca del minor danno.
Il
corpo burocratico della Cgil è più rassegnato dei lavoratori posti di
fronte ai ricatti del mercato e delle imprese, come può comunicare
coraggio se non ne possiede? Certo ci sono tante compagne e compagni che
non si arrendono , che fanno il loro dovere, che rischiano, ma la
struttura portante dell'organizzazione va da un'altra parte, è dominata
dalla paura di perdere il residuo ruolo istituzionale e quando ci sono
occasioni di rovesciare i giochi, volge lo sguardo da un'altra parte.
Quando la FIOM nel 2011 si è opposta a Marchionne, quando Monti ha
portato la pensione alla soglia dei 70 anni, quando si è tardivamente
ripristinato lo sciopero generale contro il governo, in tutti quei
momenti si è vista una forza disposta a non arrendersi. Quei momenti non
sono lontani, eppure sembrano distare già decenni perché subito dopo di
essi i gruppi dirigenti son tornati al tran tran quotidiano. E temo che
lo stesso accada ora nel mondo della scuola ove un grande movimento di
lotta non sta ricevendo un adeguato sostegno a continuare.
Non si
può ripartire se l'obiettivo è sempre solo quello di trovare un accordo
che permetta all'organizzazione di sopravvivere. Così alla fine si
firma sempre lo stesso accordo in condizioni sempre peggiori. In fondo è
una resa continua. Il 10 gennaio 2014 CGiL CISL UIL hanno firmato con
la Confindustria un'intesa che scambia il riconoscimento del sindacato
con la rinuncia alla lotta quotidiana nei luoghi di lavoro. Una volta
che la maggioranza dei sindacati firma un contratto la minoranza deve
obbedire e non può neppure scioperare. Se non accetti questa regola non
puoi presentarti alle elezioni dei delegati. Se negli anni 50 del
secolo scorso la Cgil, in minoranza nelle grandi fabbriche, avesse
accettato un sistema simile non avremmo avuto l'autunno caldo e lo
Statuto dei Lavoratori. Che non a caso oggi il governo cancella sicuro
che le grida sindacali non siano vera opposizione.
Il movimento
operaio nella sua storia ha incontrato spesso dure sconfitte, ma le ha
superate solo quando le ha riconosciute come tali e quando ha cambiato
la linea politica, la pratica e, a volte, i gruppi dirigenti. Invece
nulla oggi viene davvero rimesso in discussione.
La Cgil ha
sempre avuto una dialettica interna. Tra linee politiche, tra
esperienze, tra luoghi di lavoro, territori e centro, tra categorie e
confederazione. Dagli anni 90 il confronto tra maggioranza e minoranze
si è intrecciato con quello tra la FIOM e la confederazione. In questi
confronti e conflitti si aprivano spazi di esperienze ed iniziative
controcorrente.
Oggi tutto questo non c'è più. Una
normalizzazione profonda percorre tutta l'organizzazione e l'ultimo
congresso le ha conferito sanzione formale. Non facciamoci ingannare
dalle polemiche televisive e dalle imboscate di qualche voto segreto.
Fanno parte di scontri di potere tra cordate di gruppi dirigenti, mentre
tutte le decisioni più importanti son state assunte all'unanimità,
salvo il voto contrario della piccola minoranza di cui ho fatto parte e
di cui non si è mai tenuto alcun conto. Una piccola minoranza che al
congresso ha raggiunto successi insperati là dove c'erano le persone in
carne ed ossa, ma che nulla ha potuto contro i tanti risultati bulgari
per partecipazione e consenso verso i vertici, costruiti a tavolino. Con
l'ultimo congresso la struttura dirigente della Cgil ha deciso di
ingannare se stessa. La partecipazione bassissima degli iscritti è stata
innalzata artificialmente per mascherare una buona salute che non c'è.
Ed il resto è venuto di conseguenza. A differenza che nel passato non ci
son più problemi nella vita interna della Cgil, tutto è pacificato a
parte i puri conflitti di potere. Ma forse anche per questo la Cgil non
ha mai contato così poco nella vita sociale e politica del paese.
A
questo punto non bastano rinnovamenti di facciata, sono necessarie
rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi trenta anni.
Bisogna rompere con un sistema Europa che è infame con i migranti mentre si genuflette di fronte all'euro. I diritti del lavoro sono incompatibili con una moneta unica i cui vincoli,come ha ricordato il ministro delle finanze tedesco, sono tutt'uno con le politiche di austerità.
Bisogna rompere con il PD ed il suo sistema di potere se non se ne vuol venire assorbiti e travolti.
Bisogna rompere con le relazioni subalterne con le imprese e ripartire dalla condizione concreta dei lavoratori .
Questo rotture non sono facili, ma sono indispensabili per ripartire e sono impossibili nella Cgil di oggi.
Certo fuori dalla Cgil non c'è una alternativa di massa pronta. Ci sono lotte, movimenti, sindacati conflittuali generosi e onesti, ma spesso distanti se non in contrasto tra loro. Ma questa situazione frantumata per me non giustifica il permanere in un'organizzazione che sento indisponibile anche solo a ragionare su queste rotture.
Bisogna rompere con un sistema Europa che è infame con i migranti mentre si genuflette di fronte all'euro. I diritti del lavoro sono incompatibili con una moneta unica i cui vincoli,come ha ricordato il ministro delle finanze tedesco, sono tutt'uno con le politiche di austerità.
Bisogna rompere con il PD ed il suo sistema di potere se non se ne vuol venire assorbiti e travolti.
Bisogna rompere con le relazioni subalterne con le imprese e ripartire dalla condizione concreta dei lavoratori .
Questo rotture non sono facili, ma sono indispensabili per ripartire e sono impossibili nella Cgil di oggi.
Certo fuori dalla Cgil non c'è una alternativa di massa pronta. Ci sono lotte, movimenti, sindacati conflittuali generosi e onesti, ma spesso distanti se non in contrasto tra loro. Ma questa situazione frantumata per me non giustifica il permanere in un'organizzazione che sento indisponibile anche solo a ragionare su queste rotture.
So bene
che la svolta positiva per il mondo del lavoro ci sarà quando tutte le
organizzazioni sindacali, anche le più moderate, saranno percorse da un
vento nuovo. Ho vissuto da giovane quei momenti. Ma ho anche imparato
che nell'Italia di oggi questo cambiamento sarà possibile solo se
promosso da una spinta organizzata esterna a CGIL CISL UIL. A costruirla
voglio dedicare il mio impegno.
Per questo lascio la Cgil da
militante del movimento operaio così come ci sono entrato. Saluto con
grande affetto le compagne e compagni di tante lotte che non condividono
questo mio giudizio finale. Siccome li conosco e stimo, so che ci
ritroveremo in tanti percorsi comuni. Saluto anche tutte e tutti gli
altri compagni, perché ho fatto mio l'insegnamento di Engels di avere
avversari, ma mai nemici personali.
Grazie soprattutto a tutte le
lavoratrici e a tutti i lavoratori che hanno insegnato a me,
intellettuale piccolo borghese come si diceva una volta, cosa sono le
durezze e le grandezze della classe operaia. Spero di poter apprendere
ancora.
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