[saggio di César Rendueles/Jorge Sola, pubblicato sulla rivista Nueva Sociedad 258, Luglio-Agosto 2015 e tradotto per Essere Sinistra da Serena Corti]
Podemos é una nuova formazione politica che ha approfittato della
finestra di opportunità aperta dalla crisi ed è riuscita a trasformare
la scena politica spagnola con effetti imprevedibili. Per la prima volta
da decenni, una sinistra educata alla sconfitta ha trovato le parole
per intavolare una discussione con la maggioranza sociale. Anche se il
partito di Pablo Iglesias incontra oggi ostacoli alla crescita sfrenata
dei suoi primi mesi, i risultati storici conseguiti dai candidati
sostenuti dai cittadini appoggiati da Podemos in città come Barcellona e
Madrid mostrano che la fessura aperta dalla crisi nella politica
spagnola non si è chiusa.
Un’iniziativa dei cittadini per lanciare una nuova candidatura per le
elezioni del Parlamento europeo è stata presentata il 17 Gennaio 2014,
in un piccolo teatro del centro di Madrid. Il suo capo visibile era
Pablo Iglesias, un professore di scienze politiche di 36 anni, noto tra i
locali movimenti sociali, che nei mesi precedenti aveva raggiunto una
certa notorietà per le sue apparizioni in programmi televisivi con
grande audience. Iglesias non ha presentato un partito o una coalizione
tradizionale, ma quello che lui chiamava “un metodo partecipativo aperto
a tutti i cittadini”. Cinque mesi più tardi e dopo un’ascesa
folgorante, Podemos diventava la grande sorpresa delle elezioni europee
ottenendo l’8% dei voti e cinque deputati. Eppure, Iglesias dichiarò che
non riteneva soddisfacenti i risultati: “Abbiamo percorso una lunga
strada e abbiamo sorpreso la casta, ma il compito che cisi presenta da
domani è enorme (…). Podemos non è nato per avere il ruolo di un cameo,
siamo nati per raggiungere tutti e raggiungeremo tutti. ” Non era
spavalderia. Pochi mesi dopo, Podemos diventava il primo partito nelle
intenzioni di voto nei sondaggi.
Nel suo anno e mezzo di vita, questa formazione ha rivoluzionato la
vita politica spagnola. Il suo merito principale è stato superare
l’impasse che sembravano aver raggiunto le mobilitazioni popolari nate
all’ombra del 15-m [Movimento 15-m noto anche come movimento de los
Indignados ndr] e, più in generale, di superare i limiti tradizionali
della sinistra, offrendo un’espressione elettorale di successo utile
all’onda del cambiamento. Il movimento degli Indignados è riuscito ad
articolare il malessere diffuso causato dalla crisi politica ed
economica con un discorso democratico che ha sfidato il consenso su cui
l’egemonia delle élites economiche e sociali spagnole si era stabilita
negli ultimi decenni. Ma non è stata in grado di sviluppare forme
organizzative durature e non è riuscita a fermare i tagli imposti dall’
“austericidio”.
Né i partiti, i sindacati e i movimenti sociali sembravano in grado
di trasformare questa rabbia, questa indignazione in uno strumento per
il cambiamento istituzionale. Il pericolo che si intuiva alla fine del
2013 era che l’impasse avrebbe portato ad una gestione della crisi
“dall’alto” che avrebbe mantenuto lo status quo.
L’emergere di Podemos ha cambiato completamente questo scenario
spingendo la finestra di opportunità socchiusa e costringendo tutti gli
attori a posizionarsi di fronte all’emergenza in atto.
Ma Podemos non solo ha trasformato il panorama politico spagnolo, ma
ha anche portato alla luce opportunità, dilemmi e rischi che incidono
sull’intera sinistra europea. Nel migliore dei casi, potrebbe
annunciare, con Syriza, la costruzione di un polo di antagonismo alla
neoliberale Unione Europea da parte dei paesi dell’Europa meridionale.
La crisi del “regime del ’78” e la fine del miracolo spagnolo
Il labirinto politico spagnolo può essere compreso solo alla luce
della profonda crisi economica che attraversa il paese dal 2008.
Lo scoppio della crisi dei mutui subprime ha avuto un violento
impatto sull’economia spagnola, che aveva vissuto in un enorme bolla
immobiliare in tutto il decennio precedente. L’illusione che questo
fosse un intoppo temporaneo, dopo del quale sarebbe tornata la
neoliberista belle époque, è presto svanita. Negli ultimi quattro anni
il tasso medio di disoccupazione è stato quasi del 25%, più della metà
dei disoccupati sono disoccupati di lunga durata e quasi un milione di
persone vive in famiglie in cui tutti i membri sono disoccupati. La
disuguaglianza è cresciuta in maggior misura più che in qualsiasi paese
europeo, il tasso di povertà era intorno al 20% e ci sono stati quasi
100.000 sfratti annuali. Se il boom immobiliare ha rovinato il paesaggio
naturale, la crisi ha spazzato il paesaggio sociale.
Ma la crisi economica è diventata una crisi politica. Negli ultimi cinque anni, la cittadinanza ha cominciato a mettere in discussione non più solo uno o l’altro dei due partiti principali (Partito Popolare [PP] e Partito Socialista dei Lavoratori Spagnoli [PSOE]), ma tutti gli attori e le istituzioni del sistema politico i cui deficit democratici sono stati evidenziati dalla crisi e dai continui scandali di corruzione. Allo stesso modo, si è esteso un diffuso sentimento anti-politico, ideologicamente trasversale, migliore esempio del quale è stata l’ampia diffusione che nei social network aveva una notizia completamente falsa: che i politici in Spagna fossero 445.568.
Ma la crisi economica è diventata una crisi politica. Negli ultimi cinque anni, la cittadinanza ha cominciato a mettere in discussione non più solo uno o l’altro dei due partiti principali (Partito Popolare [PP] e Partito Socialista dei Lavoratori Spagnoli [PSOE]), ma tutti gli attori e le istituzioni del sistema politico i cui deficit democratici sono stati evidenziati dalla crisi e dai continui scandali di corruzione. Allo stesso modo, si è esteso un diffuso sentimento anti-politico, ideologicamente trasversale, migliore esempio del quale è stata l’ampia diffusione che nei social network aveva una notizia completamente falsa: che i politici in Spagna fossero 445.568.
Ciò che era in crisi è il cosiddetto “regime del ’78” (così chiamato
per l’anno in cui la Costituzione spagnola è stata approvata): un
insieme di consensi politici, economici e culturali nati con la
transizione alla democrazia in Spagna e che per tre decenni hanno
permesso alle élites economiche e politiche di gestire con relativo
successo i conflitti lavorativi, territoriali. Tra il 1975, con la morte
del dittatore Francisco Franco, e il 1982, quando si è verificata la
prima vittoria elettorale del PSOE, si è consolidata una struttura di
potere che ha tracciato il confine di ciò che si considerava
politicamente fattibile, che ha limitato la democratizzazione delle
istituzioni politiche spagnole e ha impedito uno sviluppo più
egualitario. Questa struttura di potere è stato perpetuata per decenni
sotto i governi del PSOE e il PP.
I governi del PSOE (1982-1996) consolidarono il modello di
transizione. E’ stata una lunga egemonia politica che finì per plasmare
il paese e che può essere considerata un esempio pionieristico della via
socialdemocratica al neoliberismo. Quasi dal primo giorno, il governo
di Felipe González tenne in un cassetto il suo programma keynesiano e
mise la politica economica nelle mani di due ministri legati alle élites
bancarie – Miguel Boyer e Carlos Solchaga-. Il risultato è stata
l’applicazione di ricette ortodosse di aggiustamento e riduzione dell’
inflazione in forma e in modo molto più deciso che in altre esperienze
europee meridionali. Con una disoccupazione superiore al 20%, la Spagna è
diventata un laboratorio neoliberista e benchè sia vero che i progressi
sono stati fatti nello sviluppo di un incipiente Stato Sociale, questi
sono risultati notevolmente timidi.
L’aspetto più negativo della politica economica socialista è stata
senza dubbio la deregolamentazione del mercato del lavoro, che ha
innescato il lavoro interinale al 30%, indebolito i sindacati e
consolidato il modello ereditato di “bassa produttività, bassi salari”.
Allo stesso tempo, la liberalizzazione degli affitti delle case ha posto
le basi della futura bolla speculativa. Le dichiarazioni che resero
famoso il ministro Solchaga – “La Spagna è il paese al mondo dove è più
facile arricchirsi rapidamente” o “la migliore politica industriale è
quella che non esiste” – riassumono lo spirito di celebrazione della
ricchezza e di sfiducia nei confronti dello Stato di quello che più
tardi divenne noto come la “terza via” che i leader socialisti hanno
sostenuto con orgoglio.
Quando il PP è salito al potere nel 1996, aiutato dagli scandali di
corruzione che hanno afflitto il PSOE e dal suo confrontarsi con i
sindacati, si è ritrovato in una congiuntura internazionale favorevole
che gli ha permesso di mantenere, con piccoli cambiamenti nella politica
economica, un modello produttivo basato sul turismo e sulle
costruzioni. Il risultato è stato un enorme bolla immobiliare che ha
alimentato l’idea di un miracolo economico spagnolo. Ma per quanto lo
slogan di quegli anni fosse “La Spagna sta andando bene,” il fatto è che
tra il 1995 e il 2007 i salari reali ristagnavano e diminuiva
drasticamente la partecipazione dei lavoratori al reddito nazionale. La
chiave per l’effetto ricchezza vissuto dalla popolazione sta in quello
che venne chiamato “keynesismo del prezzo degli asset immobiliari”. La
sopravvalutazione degli immobili in un paese dove l’85% della
popolazione possiede la propria casa e la possibilità di ottenere un
prestito grazie al credito a buon mercato ha creato l’illusione
collettiva di un capitalismo popolare in cui la scarsità aveva lasciato
il passo alla ricchezza .
L’avvento al potere di José Luis Rodríguez Zapatero nel 2004, causata
principalmente dall’arrogante guerrafondaio PP in Iraq e dalla sua
gestione manipolativa degli attentati islamisti dell’ 11 Marzo
[attentati del’11 marzo 2004 a Madrid. Ndr], è stato il culmine di
questa belle époque. I successi di Zapatero in materia di diritti civili
come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, devono essere
riconosciuti, ma in politica economica sociale e del lavoro i
cambiamenti furono superficiali. La bolla scoppiò bruscamente nel 2008 e
finirono le illusioni. Ma si dovettero aspettare tre anni, fino al 15
maggio 2011, perché una scintilla accendesse la prateria del malessere
sociale e il “regime del ’78” cominciasse a mostrare le prime crepe.
Dagli Indignados a Podemos
La comparsa di Podemos è indissolubilmente legata a 15-m, il
movimento degli Indignados del maggio 2011. Non c’è alcun collegamento
organico tra i due fenomeni, ma il 15-m aprì opportunità politiche che
il partito guidato da Pablo Iglesias ha saputo interpretare e cavalcare,
considerando anche che molti dei suoi membri parteciparono attivamente a
queste manifestazioni.
Domenica 15 Maggio 2011, una settimana prima delle elezioni comunali e
regionali vennero organizzate una serie di manifestazioni in oltre 50
città in tutta la Spagna, con lo slogan “Noi non siamo merce nelle mani di politici e banchieri“.
L’iniziativa è partita da Democracia Real Ya, una piccola associazione
con pochi mesi di vita molto critica con la politica istituzionale, ma
anche lontana dalla militanza di sinistra. La manifestazione a Madrid è
stata la più importante, riunendo decine di migliaia di persone. Quando
finì, 40 persone decisero di accamparsi a Puerta del Sol, la piazza
principale del centro storico di Madrid, e passare la notte lì.
L’occupazione ha avuto uno spettacolare effetto valanga. Poco dopo,
migliaia di persone si stabilirono a Puerta del Sol e le occupazioni
vennero replicate in decine di città in tutta la Spagna. Si costituirono
assemblee di cittadini e si crearono numerose commissioni e gruppi di
lavoro.
L’ideologia comune si fondava sul più profondo rifiuto del
bipartitismo, sulla rivendicazione di partecipazione politica diretta,
sulla condanna delle misure di austerità e sulla critica alla
speculazione finanziaria. Organizzativamente, il movimento fu
caratterizzato dalla orizzontalità assembleare e, di fatto, nonostante
l’intensa presenza dei media, non generò leaders o capi visibili. Per
quanto riguarda la composizione sociale, metteva in evidenza il ruolo
degli studenti universitari della classe media con aspettative non
realizzate, ma il movimento ha scatenato una intensa simpatia tra la
maggioranza dei cittadini.
Una parte della sinistra tradizionale ha osservato con scetticismo il 15-m.
Il movimento sottolineava la democrazia prima che l’antagonismo di
classe, la partecipazione diretta e il consenso contro la partigianeria,
la centralità di una nozione arricchita del concetto di cittadinanza
contro le linee politiche convenzionali di destra e di sinistra.
Tuttavia, il 15-m ha consentito anche a molti ex attivisti disincantati
il ritorno alla politica attiva.
A sua volta, la presenza di questi attivisti ha dato stabilità al
15-m e ha permesso ai discorsi enunciati dalla sinistra alternativa nel
corso degli ultimi decenni, di venire fatti propri da una moltitudine di
persone refrattaria agli stessi fino a quel momento.
Il successo di Podemos è sicuramente legato al modo in cui il 15-m
produsse un profondo cambiamento nel comune senso politico, uno
spostamento di quello che la maggioranza sociale considerava necessario,
desiderabile, o almeno possibile. Tuttavia, il successo del movimento,
la sua capacità di mettere in discussione il consenso del “regime del
’78” contrasta con il suo fallimento organizzativo: non riuscì a
cristallizzarsi in forme capaci di produrre cambiamenti istituzionali
efficaci.
Nonostante questo, ha prodotto grandi manifestazioni popolari (maree
in difesa dell’istruzione e della sanità pubblica, la Piattaforma delle
Vittime del Mutuo o la Marcia della Dignità), che tuttavia, spesso si
scontravano con il muro istituzionale di un sistema politico poco
ricettivo. In questo contesto di impasse, l’ascesa elettorale di Syriza
in Grecia – una forza con aspirazioni maggioritarie che esplicitamente
difendeva il mancato pagamento del debito illegittimo – è diventato un
punto di riferimento per l’uso del ciclo elettorale 2014-2015 (elezioni
europee di maggio 2014, comunali e regionali maggio 2015 e generali di
autunno 2015) per tradurre la mobilitazione in voti. Izquierda Unida era
l’organizzazione più adatta per guidare una Syriza spagnola, ma la sua
ala conservatrice ha chiuso la porta a questa possibilità, preferendo
assicurarsi una moderata crescita elettorale in vista dei futuri patti
con il PSOE invece di imbarcarsi nella propria rifondazione difesa dal
settore più vicino allo spirito del 15-m, guidato da Alberto Garzón.
Queste erano le circostanze in cui un giovane insegnante, assiduo
partecipante a talk show televisivi, ha deciso di fare un passo avanti.
Dalla televisione al populismo di sinistra.
Il progetto di Podemos ha cominciato a prendere forma nell’autunno
del 2013 tra Izquierda Anticapitalista e un piccolo gruppo di professori
di scienze politiche presso l’Università Complutense di Madrid.
Izquierda Anticapitalista era un piccolo partito trotskista che aveva
lasciato Izquierda Unida nel 2008. Ha fornito il muscolo organizzativo
che ha permesso a Podemos di muovere i suoi primi passi, ma ben presto è
stata messa spalle al muro a favore del gruppo di insegnanti. Molti di
loro – come Pablo Iglesias – erano ex militanti o collaboratori di IU,
un gruppo che guardava a Podemos con un misto di indifferenza e
disprezzo. Negli ultimi dieci anni, questi insegnanti avevano
consigliato i governi latino-americani del Venezuela, Bolivia ed
Ecuador.
Le lezioni apprese da quell’esperienza rappresentarono la principale
fonte di ispirazione politica. Si trattava, come ha scritto il suo
ideologo capo, il giovane Iñigo Errejón (31 anni), di trasferire le
rotture populiste latinoamericane nel contesto spagnolo ed europeo.
Podemos iniziò con un patrimonio fondamentale. In tutto il 2013,
Pablo Iglesias era diventato un personaggio televisivo popolare.
Dall’inizio della crisi, la televisione spagnola aveva prodotto un boom
di tribune politiche.
Iglesias riuscì ad aprirsi un varco con le sue incursioni in quelle
trasmissioni in modo molto efficace, al punto che l’audience saliva
quando vi partecipava. Il suo segreto era una critica non troppo
originale, ma diretta, empatica e genuina, perfetta per intervenire in
ambiti semplici e lontano da argomenti accademici.
Non c’era nulla di improvvisato in questa strategia. Si tratta di un
progetto a lungo termine che il circolo intorno a Iglesias ha elaborato
per anni per contrastare il pregiudizio secondo il quale la televisione è
inaccessibile o superata da internet e dai social network.
La verità è che, almeno in Spagna, la costruzione del consenso
politico passa ancora in gran parte dai media tradizionali: il 60% della
popolazione preferisce la televisione come fonte di informazione
politica. Così, nel 2010 Iglesias ha creato un progetto televisivo
controegemonico e d’ispirazione esplicitamente gramsciana: la tuerka. E’
stato uno show televisivo da cui ha cercato di diffondere le idee della
sinistra in un linguaggio adatto al senso comune della maggioranza
sociale. Benché trasmessa in un piccolo canale, è stata la scuola dove
Iglesias ha imparato alcune delle chiavi di comunicazione che lo hanno
reso una figura mediatica.
Tanto lo studio del “populismo” latinoamericano quanto la sovra
esposizione mediatica hanno ingabbiato parecchio Podemos. La centralità
di Iglesias nel progetto è stata controversa e difficile da gestire. Ad
esempio, in occasione delle elezioni europee, Podemos scelse di stampare
il volto di Iglesias sulla scheda elettorale in cui appare normalmente
il logo del partito. Il motivo era semplice: secondo gli studi in mano
al movimento, solo il 5% degli elettori conosceva il nome della
formazione, mentre oltre il 50% sapeva chi fosse Iglesias (che ha lo
stesso nome di chi ha fondato, nel 1879, il Partito Socialista). La
decisione si dimostrò corretta, ma venne ridicolizzata da molti
interpretandolo come un segno di narcisismo.
Allo stesso modo, sebbene il populismo sia un elemento centrale della
sua strategia, ha evitato questa l’etichetta a causa delle sue
connotazioni peggiorative (non a caso è stata l’accusa che con la quale
lo hanno più attaccato). Podemos applica la logica discorsiva populista
nel dividere lo spazio in due schieramenti politici contrapposti: il
popolo contro l’elite che si è appropriata delle istituzioni. La sfida
generale all’establishment apre la possibilità di articolare una unità
popolare ampia e inclusiva che superi le lealtà preesistenti. Ma questo
può essere fatto da prospettive molto diverse, a seconda del contenuto
con cui la forma discorsiva è riempita.
Quello di Podemos è senza dubbio una “populismo di sinistra.”
Le sue proposte, dalla revisione e ristrutturazione del debito estero
alla riforma fiscale o l’intervento progressivo dello Stato
nell’economia, formano parte del patrimonio di questa tradizione
politica.
Tuttavia, la strategia populista di Podemos è consistita proprio nel
non presentarsi come “di sinistra”. Il suo obiettivo non era quello di
occupare la parte sinistra della scacchiera politica, ma pulire la
scacchiera stessa e giocare con nuove regole: non parlare di sinistra e
di destra, ma di sotto e sopra o di nuova e vecchia politica. Nel
contesto spagnolo, l’immagine pubblica della “sinistra” è stata spesso
associata con l’ establishment del vecchio regime (il PSOE, la
leadership dell’Unione generale dei lavoratori dei sindacati [UGT e
CCOO] [CCOO], e anche una parte di IU) e, in ogni caso, non aveva grande
potere di mobilitazione.
Seguendo da vicino la tesi di Ernesto Laclau, i promotori di Podemos
hanno cercato di articolare un soggetto il più ampio possibile a partire
dal malessere sociale amorfo e, a tal fine, si sono rivolti ai
cosiddetti “significantes vacìos” poco connotati, che mettevano
in palio lealtà divisorie pre-esistenti e consentivano di mobilitare
una “maggioranza sociale” grazie a loro.
I nuovi soggetti politici: “la gente” e “la casta”
Nonostante l’enorme malcontento e la mancanza di legittimità causato
dalla crisi, non è stato facile forgiare un “noi” in un contesto
multinazionale, come quello spagnolo, in cui concetti come “patria”
mantengono ancora un certo gusto conservatore. In queste circostanze, i
significanti scelti da Podemos furono la “gente” contro “la casta”.
Il secondo concetto, precedentemente impiegato da Beppe Grillo in
Italia, ha avuto un successo innegabile ed è stato incorporato nel
linguaggio quotidiano.
E’ servito per dare un nome al nemico al quale si contrappone il
progetto di Podemos. La “casta” è un amalgama di politici, grandi
imprese, i media, gli speculatori e gli altri gruppi privilegiati. Si
tratta di una categoria diffusa – un significante galleggiante – a cui
tutti, da quelli con una certa coscienza di classe a coloro che
abbracciano antipolitica, possono rivolgersi per esprimere la loro
indignazione contro l’ establishment.
Allo stesso tempo, Podemos ha fatto uno sforzo sistematico per
contenere o eludere i riferimenti di sinistra che, spontaneamente,
avrebbero potuto apparire nel suo discorso, senza esprimersi troppo nei
conflitti molto marcati ideologicamente come la questione
monarchia-repubblica, come la regolamentazione dell’ aborto o come il
problema catalano. L’obiettivo era quello di superare gli elementi di
divisione sociale destinati a formare il malcontento diffuso.
Ma per quanto l’obiettivo di Podemos sia conquistare la “centralità”
della scacchiera politica rompendo i confini dell’asse destra-sinistra,
la verità è che il suo elettorato è sostanzialmente di sinistra.
Cioè, Podemos non ha ricevuto l’ eterogeneo sostegno elettorale che ha ottenuto un partito come il Movimento 5 stelle in Italia.
Il suo modello di crescita elettorale riproduce il profilo del PSOE
negli ultimi tre decenni: lungo l’asse della auto-identificazione
ideologica (da 1 a 10, dove 1 è molto di sinistra e 9 molto di destra),
il 25% si situa nel 1- 2, 48% nel 3-4 e il 18% 5-6.
Comunque, anche se i suoi sostenitori non sono così “trasversali”,
come suggerisce il suo discorso, Podemos è riuscita a mettersi al centro
della sinistra e a graffiare voti dai settori non ideologicizzati.
Questa quadratura del cerchio è stata possibile grazie ad un intervento
molto misurato che, da un lato, rifiuta di trovarsi a sinistra, ma
dall’altra, evita di cadere nel “non siamo né di destra né di sinistra” o
nell’antipolitica.
Un ottimo modo di esprimere questo concetto sta nella frase che spesso viene ripetuta da Iglesias: “Il potere non teme la sinistra, ma il popolo“.
Finora, il risultato è stato straordinariamente efficace. Podemos ha
avuto una crescita spettacolare nei sondaggi elettorali e ha raggiunto
il PP e il PSOE, anche se ha subito un rallentamento negli ultimi mesi
(nelle elezioni regionali di maggio ha raccolto il 15% dei voti, ma si
trattava di una elezione particolare, sfavorevole per una forza con
limitato impianto territoriale e senza noti leader regionali).
In particolare, il suo sostegno elettorale è notevolmente
interclassista, cosa non sorprendente se si considera che il voto di
classe in Spagna è meno rilevante che altrove ed è diminuito negli
ultimi decenni; anche se è vero che nel corso del tempo Podemos ha
guadagnato maggiore sostegno tra i settori più colpiti dalla crisi.
Partito – Movimento o macchina da guerra elettorale
L’uso strategico dei media da parte di Iglesias si adatta ad un altro
aspetto ambiguo della strategia di Podemos. Fin dall’inizio ha portato
avanti un discorso orizzontale e assembleista che faceva appello a
persone con un’aspirazione chiara a promuovere un cambiamento politico
“dall’alto”, a creare una “macchina da guerra elettorale” in grado di
prendere d’assalto le urne.
Uno dei motivi per cui Podemos è riuscito a connettersi con il
malcontento sociale mobilitato dal 15-M era la loro insistenza sulla
partecipazione cittadina come elemento centrale per la ricostruzione
dello spazio politico sequestrato dai mercati e dall’ establishment. Ed è
vero che Podemos ha generato una grande effervescenza sociale: ha
creato più di 900 circoli, vi è stato un intenso controllo pubblico dei
vari programmi e progetti dell’organizzazione, decine di migliaia di
persone hanno partecipato alle votazioni via Internet … Però allo stesso
tempo, il suo successo non può essere compreso se non si nota che,
sotto la retorica di “metodo aperto” e di “partecipazione” c’era un
piccolo e coeso gruppo dirigente con le idee molto chiare.
Senza questo centralismo a tinte leniniste, tali risultati non
sarebbero stati possibili (un “amichevole leninismo” lo ha chiamato Juan
Carlos Monedero, un altro fondatore, oggi lontano dalla direzione della
formazione).
Lo stretto calendario elettorale 2014-2015 ha accelerato questa
contraddizione. Podemos ha dovuto costruire a tutta velocità una
organizzazione e una ideologia in grado di sfruttare la struttura di
opportunità elettorale che si è aperta, vasta ma forse fugace. Questo ha
minato il progetto di creare un contropotere popolare, la costruzione
“dal basso” di un tessuto politico e sociale in grado di
responsabilizzare direttamente la gente. Ed Errejón stesso ha chiarito
in un’intervista che è ingenuo affidare un ruolo di primo piano ai
movimenti sociali e che la priorità ora è “la battaglia
politico-elettorale” e “fare della lotta di Stato.”
Nell’ autunno 2014, Podemos ha organizzato una Assemblea Cittadina
nella quale si sono stabiliti i suoi principi politici e sono stati
scelte le persone che avrebbero guidato l’organizzazione. Le circostanze
per costruire un partito da zero non erano le più idonee: non avevano
quadri con esperienza, la sua struttura territoriale era scarsa e la
base mancava di una cultura politica comune, per non parlare della
persecuzione costante della maggior parte dei media. Il dibattito
organizzativo, che ha coinvolto presenzialmente o digitalmente migliaia
di persone, è stato intenso e trasparente. Ma il modello di partito
approvato era molto convenzionale – un segretario generale, un comitato
esecutivo e uno centrale – e oltretutto utilizzava un sistema
maggioritario di liste aperte per l’elezione di quegli organi, che dava
tutto il potere al vincitore.
Nell’ Assemblea Cittadina le tesi difese da parte del settore di
Iglesias si sono imposte rispetto ad alternative più innovative e
orizzontali che comprendevano l’uso del sorteggio per ricoprire alcune
delle posizioni di responsabilità e che davano maggiore risalto ai
circoli di base. Il processo ha portato a un interessante dibattito su
quale modello era più democratico.
Gli elettori che hanno preso le decisioni in Assemblea non erano solo
militanti coinvolti nei circoli, ma anche qualsiasi simpatizzante che
volesse dedicare qualche minuto per registrarsi via Internet. Lo fecero
circa 100.000 persone, di cui l’81% scelse il modello organizzativo
“ufficiale” e l’88% scelse Pablo Iglesias come segretario generale.
L’asimmetria tra l’ intenso attivismo dei membri dei circoli,
relativamente poco numerosi, e una grande massa di sostenitori poco
impegnati nella vita quotidiana dell’organizzazione ha posto un dilemma
imbarazzante.
Come suggerito da uno dei firmatari del manifesto fondativo di
Podemos, in questo contesto, una maggiore capacità di intervento della
base del partito avrebbe potuto dar luogo a un “elitismo democratico”
che mirava a “trasformare tutti i cittadini in attivisti permanenti e
privilegiava la militanza minoritaria come fonte di decisioni sovrane “.
Così, la maggioranza sociale, priva delle risorse (tempo, capitale
simbolico e militante, interessi, ecc) che hanno gli attivisti
rimarrebbe emarginata dal processo decisionale. Tuttavia, non è chiaro
che il potere di cui vengono privati i militanti più attivi viene
traslato a un livello più ampio di simpatizzanti e che non finisce, di
fatto, nelle mani della direzione del partito. In un certo modo, questa
seconda ipotesi è ciò che suggerisce la letteratura sui partiti
politici, che ha visto un fenomeno simile negli ultimi due decenni: uno
svuotamento della struttura di partito, favorito dall’uso di feedback
aperti che sotto un aspetto democratico, concentrano il potere nelle
mani della direzione.
L’uso intensivo delle nuove tecnologie che ha fatto Podemos (come le
applicazioni Reddit o Appgree ) è un’innovazione promettente, ma non
impedisce questa possibile deriva plebiscitaria; al contrario, c’è il
rischio di nasconderla sotto il cyberfeticismo e di riprodurre
politicamente il divario digitale. Votare dal cellulare o commentare in internet non significa avere un potere reale sul processo decisionale.
Prospettive future
Nemmeno i suoi più grandi critici negano che Pablo Iglesias e Podemos
hanno saputo capire particolarmente bene sia la crisi di legittimità
delle istituzioni spagnole che le nuove forme di intervento politico
venute alla luce durante il 15-m.
In pochissimo tempo, hanno creato uno strumento che ha rotto le
dinamiche tradizionali della sinistra ed è diventato il centro del
dibattito politico, navigando con successo tra le correnti di rabbia e
disaffezione che hanno scosso la società spagnola.
La migliore misura di questo successo possono essere le reazioni che ha provocato.
Podemos è diventato il bersaglio di numerosi attacchi negli ultimi
mesi e ha costretto il resto degli attori a posizionarsi davanti ala
movimento e far proprio il suo linguaggio. Podemos ha anche seminato la
preoccupazione del potere finanziario e costretto soggetti come la
famiglia reale o il Psoe ad accelerare il suo rinnovamento. Ma la
reazione più notevole tra le fila del “regime del 78” è stata
l’incursione improvvisa in politica nazionale di Ciudadanos: una
formazione ideologicamente ambigua, che soddisfa il desiderio delle
grandi potenze economiche e dei media che l’ hanno promossa: creare “una
sorta di Podemos di destra”, per usare l’espressione del presidente del
Banco Sabadell.
In pochi mesi, Ciudadanos, che ha una storia di un decennio nella
politica catalana, ha occupato il vuoto lasciato da Podemos per
diventare la quarta forza, assumendo due delle sue attività (l’ambiguità
ideologica e la bandiera della nuova politica) e distinguendosi dal suo
avversario con moderazione, espressa nel motto di “cambiamento
sensibile e vitale.”
Ma l’effetto più importante di Ciudadanos non è aver fermato la
crescita elettorale di Podemos a favore del centro ideologico ma quello
di aver trasformato la scena politica per la seconda volta in poco
tempo, in un modo sfavorevole alla strategia populista: al posto di un
campo di battaglia polarizzato tra Podemos e la “casta”, il nuovo
scenario è attraversato da due linee di demarcazione (sinistra/destra e
nuova/vecchia politica) che frammentano il sistema dei partiti in
quattro forze disuguali.
In questo scenario, il PP ha perso un sacco di sostegno a favore di
Ciudadanos, il PSOE recupera parte della sua centralità grazie alla sua
disponibilità a concordare con quasi tutti e Podemos non solo vede
contrastato il suo piano iniziale di forzare una grande coalizione tra i
suoi avversari per semplificare la disputa politica, ma deve anche
combattere su più fronti.
Questo nuovo contesto può portare ad un altro turno strategico in
Podemos, una sorta di party-in-progress che sta cambiando sin dalla sua
fondazione.
In questo senso, occorrerà fare i conti con alcune delle debolezze
ereditate dal 15-m, e più in generale, della democrazia spagnola, come
la debolezza della società civile e il declino di classe e asse politico
e affrontare alcuni dilemmi che, per ora grazie alla sua ascesa molto
veloce, hanno avuto un impatto relativamente minore.
In primo luogo, è difficile pensare che l’organizzazione possa
sopravvivere nel medio termine, senza militanza vertebrata
territorialmente e identificata con il progetto, in grado di difendere
il partito dai crescenti attacchi dei media e di mantenere elevati
livelli di mobilitazione. La strategia del cambiare ” da sopra” seguita
finora, così come l’esclusione di settori critici, può essere
insufficiente o controproducente in questo senso.
In secondo luogo, Podemos dovrà ripensare la sua strategia di
alleanze con altre organizzazioni di sinistra – in particolare, un IU in
crisi – e con diverse iniziative civiche, come quelle con cui ha
conquistato i comuni di Madrid e Barcellona nelle recenti elezioni
comunali.
Si tratta di forze meno potenti di Podemos, ma che concentrano un
certo numero di attivisti con esperienza e la cui confluenza in
candidature più inclusive è in grado di attrarre un appoggio sociale
più ampio, soprattutto quando sono guidati da personalità carismatiche,
come nel caso dell’attivista Ada Colau a Barcellona e dell’ex giudice
Manuela Carmena a Madrid.
In terzo luogo, avrà bisogno di combinare la sua sfida al regime in
termini populisti (“la gente” contro “la casta”), con la partecipazione
istituzionale e lo sviluppo programmatico delle loro proposte.
Forse la più grande sfida che Podemos deve affrontare è la debolezza
del movimento operaio e la centralità dei discorsi di classe media nella
politica spagnola. E’ stata resa popolare l’idea che le classi medie
siano le più colpiti dalla crisi, anche se la realtà empirica smentisce
questa credenza (il salario del decili a basso reddito sono scesi tre
volte quelli dei decili di reddito medio).
I movimenti sociali si sono visti spazzati via da questo dinamica
“della classe media”. Né il 15-m e le grandi mobilitazioni successive
sono riuscite nella grande impresa di addentrarsi o di essere ascoltate
nel mondo del lavoro (in aggiunta, nonostante la visibilità di alcuni
scioperi, il numero di ore non lavorate non è aumentato nel corso di
questi anni). Né hanno raggiunto i lavoratori migranti (oltre il 10%
della popolazione spagnola), sicuramente il gruppo più colpito dalla
crisi economica e dai tagli sociali.
Invece, i discorsi critici meglio ricevuti sono stati quelli che
denunciavano la situazione degli studenti universitari della classe
media universitari che hanno visto le loro aspettative frustrate e che
devono migrare verso altri paesi europei.
Al momento, Podemos si è adattato a questa situazione.
I suoi portavoce quasi mai si riferiscono alla classe sociale e,
invece, di solito strizzano l’occhio ai piccoli imprenditori autonomi .
Sicuramente si tratta di una strategia elettorale intelligente, ma è
difficile immaginare che un progetto di trasformazione sociale può
permanentemente evitare conflitti di classe.
La prospettiva di una possibile vittoria elettorale di Podemos in
futuro pone anche domande su come il cambiamento può essere previsto.
Finora Podemos si è alimentata della frustrazione generata sia la crisi
economica che dalla perdita di legittimità del quadro politico
ereditato. La situazione politica ha aiutato.
Negli ultimi mesi sono venuti a galla innumerevoli scandali di
corruzione che coinvolgono i più alti livelli, come la famiglia reale o
il partito al governo. In questo contesto di decomposizione, un discorso
che fa appello alla “decenza” contro l’usurpazione dello spazio
pubblico da una coalizione spuria di interessi politici e finanziari è
una proposta vincente.
Ma è certamente un programma minimo molto modesto.
L’idea di un ‘processo costituzionale’ è promettente, ma, almeno per ora, piuttosto diffusa.
Nel complesso, un orizzonte ragionevole a breve termine è uno
scenario post-neoliberale con le politiche pubbliche incentrate sulla
ridistribuzione della ricchezza e la rigenerazione delle istituzioni.
Non c’è dubbio che un programma del genere non soddisfa le aspirazioni
della sinistra rivoluzionaria, ma fornisce una vera e propria
opportunità per porre fine al saccheggio a cui è stato sottoposto il
paese negli ultimi decenni e ai deficit democratici del “regime del
’78”.
Tutte queste contraddizioni e le sfide non devono oscurare il fatto
che Podemos ha aperto una finestra di opportunità politica con effetti
inaspettati e imprevedibili. Per la prima volta da decenni, una sinistra
istruita alla sconfitta si ritrova in grado di fare appello a una
maggioranza sociale per renderla protagonista di un profondo
cambiamento. Inoltre, come è avvenuto in America Latina agli inizi del
secolo, Podemos e Syriza potrebbero essere il seme di un cambiamento di
egemonia su scala continentale.
Utilizzando il mancato pagamento del debito come leva, i PIIGS
possono diventare un acceleratore di reazione nella democratizzazione
che frammenti il controllo delle élites economiche e politiche dell’UE.
Anche se la deriva greca avverte delle difficoltà di contrastare quelli
che comandano oggi in Europa.