"Noi
non la paghiamo la vostra crisi", è stato lo slogan urlato con
determinazione e sfida durante le prime proteste di sinistra contro la
politica di crisi, in Germania e nell'Unione Europea. L'idea, di cosa e
di quanto dev'essere "pagato per la crisi" - come se si trattasse di un
acquisto costoso, ma pur sempre necessario - ha potuto nascere in
seguito alle misure governative il cui obiettivo era quello di evitare
il collasso del sistema bancario e monetario. La pressione della
svalorizzazione è stata in questo modo trasferita, provvisoriamente, per
mezzo di garanzie ed appoggi da parte del sistema politico, dal sistema
finanziario al debito pubblico, ed è avvenuto in ordini di grandezza
difficilmente immaginabili, che si aggirano sulle decine di miliardi. Lo
Stato - così lo hanno criticato i partiti della sinistra, e non solo -
ha usato i "nostri soldi" per garantire profitti privati; denaro che, si
suppone, avrebbe dovuto essere risparmiato, considerato che secondo
l'Agenda 2010 i benefici sociali sono stati ridotti e le spese per
l'istruzione e la cultura sono state tagliate.
Il
crollo finanziario non è stato percepito come manifestazione di una
crisi sociale generale dell'accumulazione capitalista, ma soltanto come
problema di una piccola élite di speculatori, in qualche maniera
moralmente depravati, che hanno usato la loro iniqua influenza politica
per nazionalizzare le perdite, dopo che avevano privatamente intascato i
profitti dei "redditi senza lavorare" delle loro azioni nocive per il
bene comune. Le implicazioni, strutturalmente antisemite, di una simile
interpretazione del processo di crisi, saltano agli occhi. Anche oggi,
le risposte alla crisi propagandate dalla sinistra non sono esenti da
tali implicazioni, né appaiono impregnate di un'analisi sociale che sia
critica dell'ideologia ed all'altezza degli avvenimenti.
I tentativi, tutt'altro che sistematicamente pianificati , di dominare politicamente i sempre nuovi focolai della svalorizzazione, in Europa, sono visti dalle sinistre vicine a partiti come un'ovvia azione statale sovrana, cui deve esser conferito soltanto un contenuto differente, più sociale: "Ma la questione di chi paga la crisi avrebbe potuto essere risolta in maniera diversa. Invece di salvare le banche e proteggere le grandi fortune, avrebbero dovuto essere proprio queste a dover essere chiamate a pagare". Così scrive, ad esempio, l'associazione studentesca "DIE LINKE.SDS" in un volantino per la campagna "Blockupy" del 2013. L'obiettivo di "Blockcupy" era quello di bloccare (di nuovo) alla fine di Maggio, a Francoforte, la BCE (Banca Centrale Europea) e le sedi delle grandi banche commerciali tedesche, insieme con il SDS "profittatori della crisi", dando così un segnale contro la politica europea e tedesca rispetto alla crisi ed ai suoi effetti catastrofici sulle condizioni di vita, in particolare per le popolazioni del Sud dell'Europa.
I tentativi, tutt'altro che sistematicamente pianificati , di dominare politicamente i sempre nuovi focolai della svalorizzazione, in Europa, sono visti dalle sinistre vicine a partiti come un'ovvia azione statale sovrana, cui deve esser conferito soltanto un contenuto differente, più sociale: "Ma la questione di chi paga la crisi avrebbe potuto essere risolta in maniera diversa. Invece di salvare le banche e proteggere le grandi fortune, avrebbero dovuto essere proprio queste a dover essere chiamate a pagare". Così scrive, ad esempio, l'associazione studentesca "DIE LINKE.SDS" in un volantino per la campagna "Blockupy" del 2013. L'obiettivo di "Blockcupy" era quello di bloccare (di nuovo) alla fine di Maggio, a Francoforte, la BCE (Banca Centrale Europea) e le sedi delle grandi banche commerciali tedesche, insieme con il SDS "profittatori della crisi", dando così un segnale contro la politica europea e tedesca rispetto alla crisi ed ai suoi effetti catastrofici sulle condizioni di vita, in particolare per le popolazioni del Sud dell'Europa.
Che le banche e le "grandi fortune"
siano state finora protette (da Cipro in poi) - non perché la politica
serva intenzionalmente gli interessi delle persone sbagliate, ma perché
soltanto mantenere a tutti i costi la circolazione e la
(pseudo)valorizzazione del capitale finanziario può impedire il collasso
immediato della riproduzione sociale nella forma della
dissociazione-valore - è un'idea che a quanto pare non salta proprio in
mente alla nuova generazione studentesca di sinistra, nonostante tutti i
circoli di lettura del Capitale di Marx. Così come non viene loro
l'idea della necessità per cui i programmi pubblici per salvare le
banche o, come in Eurolandia, interi bilanci statali, devono essere
finanziati a scapito dei lavoratori, dei disoccupati e dei pensionati.
La ricchezza capitalista non è una "fortuna" di cui si possa disporre, o
della quale lo Stato possa disporre liberamente mediante un atto
sovrano di dispotismo al fine di metterla al servizio di buone finalità.
Al contrario, è la contraddizione in processo di un aumento permanente
del denaro come fine in sé stesso, che simultaneamente mina le sue
stesse condizioni storiche. Dal momento che la sua sostanza feticista è
quella che Marx ha chiamato "lavoro astratto", essa esiste e si mantiene
solamente in quanto rende possibile generare uso produttivo del valore.
La coscienza reificata della sinistra, che solleva esigenze politiche
come quelle citate, ricade perfino dietro quella che è la limitata
comprensione del senso comune di coloro che vorrebbe espropriare. La
maggioranza dei proprietari di azioni almeno sa che la sua "fortuna"
conserva un valore solamente se viene investita con successo, per quanto
siano sprovvisti di qualsiasi conoscenza delle categorie di Marx, e dei
complessi processi di mediazione da queste determinate.
Anche
ai manifestanti di sinistra, contro la crisi, dell'attuale alleanza
"Blockcupy" manca una valutazione adeguata degli avvenimenti europei che
sia critica dell'economia e della politica. Da un lato, sembra che sia
stato dimenticato, in accordo con la percezione generale, almeno da
parte di alcuni gruppi dell'alleanza, quali l'SDS, che i focolai di
svalorizzazione - i quali da molti mesi vengono dibattuti e trattati
come se fossero una "crisi del debito sovrano" accompagnati da rigorosi
programmi di austerità - sono innanzitutto il risultato delle prime
misure politiche anti-crisi, e proprio per questo non possono essere
affrontati per mezzo dell'espropriazione o della liquidazione delle
banche private precedentemente "salvate". La base della crescita
economica, come quella del finanziamento pubblico basato sul debito, è
stata una valorizzazione capitalista apparente a livello finanziario,
nel corso di decenni, a partire dagli anni 1980. Perciò, questa crescita
viene mantenuta attraversi misure quali tagli dei tassi di interesse e,
allo stesso tempo, ai suoi attori di tutte le posizioni politiche
vengono fatte accuse morali e si esige da loro una rigorosa
"regolamentazione" del settore bancario - nella speranza di riuscire
così ad evitare una nuova crisi finanziaria, senza dover rimuovere le
sue cause profonde.
In secondo luogo, gli
attivisti di "Blockcupy" sono caduti d'un tratto nel politicismo di
sinistra. Nel loro appello, probabilmente riferendosi al concetto di
accumulazione della teoria della regolamentazione, parlano continuamente
di "regime europeo di crisi" che pretendono di affrontare nel suo
"cuore" (Francoforte sul Meno). Le differenze fra crisi ed accumulazione
del capitale vengono in tal modo cancellate, nella misura in cui
entrambe le situazioni sono presentate come suscettibili di moderazione
politica e, di conseguenza, come una questione di calcolo razionale di
interessi. Inoltre, non è chiaro se sia la crisi a governare, o se essa
sia gestita o amministrata, o se costituisca il mezzo per governare.
Forse perfino tutte queste cose insieme ed allo stesso tempo. In ogni
caso, il discorso sul regime di crisi è stato impostato, in quanto la
crisi nell'Unione Europea - a causa della moneta comune instabile e
degli squilibri nella sua area economica integrata - assume forme di
sviluppo politicamente mediate in misura maggiore di quanto avvenga
altrove. La pressione della svalorizzazione, nella zona euro si fa
sentire immediatamente a livello economico, ma non si può affrontarla,
come negli altri paesi, attraverso la svalutazione della moneta
nazionale. Invece di far questo, la Troika, giustamente odiata in
Europa, e dominata dalla Germania, impone ai paesi - il cui
finanziamento, attraverso l'emissione di debito pubblico, va a sbattere
contro i limiti imposti dalla crisi - programmi di impoverimento, che
ovviamente rovinano anche l'ultima crescita economica, e con essa i
presupposti del boom dell'esportazione tedesca. In queste
contraddizioni, si rende manifesta l'insufficienza di analisi sulla
quale si basano campagne come quella di "Blockcupy". La Germania e le
sue banche non "beneficiano" della crisi, al contrario essi sono stati i
beneficiari di una situazione che è entrata in crisi a causa del crollo
finanziario. Essi sono riusciti finora tutt'al più a limitare i danni e
a continuare ad esportare verso la periferia dello spazio europeo, come
facevano prima, i beni industriali sovvenzionati dalle misure di Agenda
2010. Ma, nella misura in cui il potere d'acquisto dei compratori
abituali precedenti si è ridotto a causa del risparmio forzato e
dell'impoverimento, anche il modello di esportazione tedesco affonderà.
L'unico
aspetto simpatico di "Blockcupy", al di là dell'impegno esplicitamente
previsto contro la disumana politica tedesco-europea nei confronti dei
rifugiati, è il tentativo di far vedere in Germania un segno della
solidarietà verso le persone vittime della politica di austerità, e la
contrapposizione alla spudorata arroganza tedesca, della quale è tanto
impregnata sia la politica del governo federale che la coscienza
domestica di gran parte della popolazione, la quale non vuole
riconoscere come propria la "miseria greca", in quanto tutto quello che
la minaccia per essa proviene sempre da fuori (si pensi, a tal
proposito, anche ai terribili discorsi sulla "immigrazione della
povertà" e sullo "abuso di asilo"). Le prese di posizione che si possono
trovare nell'appello di "Blockcupy", "contro qualsiasi interpretazione
reazionaria o razzista della crisi - sia che vengano 'dal basso o
dall'alto' - che siano in forma antisemita, antimusulmana o
antiziganista", al contrario, lasciano il tempo che trovano. In fin dei
conti, si continua ad usare ancora, come riferimento positivo, il nome
del movimento "Occupy", strutturalmente, e forse perfino
manifestatamente, antisemita. Si continua anche ad intendere il
nazionalismo, principalmente come una tattica "per mettere gli uni
contro gli altri" in vari paesi "i lavoratori, i disoccupati ed i
precari" e "per dividerci". Anche il riferimento al peggioramento della
disuguaglianza fra i sessi, nell'appello, viene fatta solo di passaggio e
senza mediazione con le altre prese di posizione ed esigenze.
La
mancanza di profondità dell'analisi, in termini di teoria della crisi
sulla base di una critica categoriale della socializzazione patriarcale
capitalista, nella sinistra che supporta il "Blockcupy", corrisponde,
alla flagrante ed indubbiamente devastante mancanza di comprensione per
quel che riguarda il legame interno con le ideologie generalizzate del
quotidiano e della crisi. Sia alla crisi che alle forme regressive da
digerire, la sinistra del partito e del movimento non ha più
nient'altro da opporre che formule vuote in termini di pseudo-critica
dell'ideologia e la noiosa domanda di "democratizzazione di tutti i
settori della vita". In queste condizioni, difficilmente ci si può
aspettare da essa niente di meglio che l'auto-amministrazione
(chiaramente "solidale") della miseria capitalista di crisi, anche se i
"rapporti di forza" politici le dovessero essere più favorevoli. Al
contrario, c'è da temere che le lotte difensive che continuano
disordinate ed immanenti, così come l'agitazione sociale in Europa ed in
tutto il mondo, con cui l'alleanza "Blockcupy" solidarizza, soccombano
alle ideologie attualmente in espansione, come in Ungheria, dove
attacchi assassini contro gli zingari e campagne antisemite si integrano
in forma perversa, completando così l'orientamento nazionalista
autoritario al vertice con "l'impegno" popolare alla base.
Tutto
questo dimostra ancora una volta quanto sia importante non lasciar
degenerare nell'anticapitalismo di moda, la critica del patriarcato
feticista produttore di merci, ora nella sua crisi fondamentale. La
prospettiva di trasformazione della situazione che diventa sempre più
insostenibile, al di là delle benintenzionate pseudo-alternative e delle
ricette autoritarie, si apre solo sulla base di una teoria critica di
questa società. Allo stesso modo, si può far fronte alle molteplici
varianti della degradazione ideologica solo se la connessione interna
fra le diverse forme di falsa coscienza è stata compresa e se le loro
mutazioni storiche, e dei cicli economici, sono state mediate con i
processi di crisi della totalità sociale spezzata.
Editoriale di EXIT! n° 11 del Luglio 2013
fonte: EXIT!
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