sabato 12 settembre 2015

Per la Ri-fondazione comunista, per una sinistra antiliberista ed anticapitalista


Per la Ri-fondazione comunista, per una sinistra antiliberista ed anticapitalista


di Imma Barbarossa – CPN Rifondazione comunista
 
La recente intervista a Nichi Vendola (Repubblica, 6 settembre) chiarisce, a mio avviso, qualora ce ne fosse stato bisogno, il percorso della cosiddetta “Costituente della sinistra”, che dovrebbe essere anche il coronamento/allargamento della “Casa comune della sinistra e dei democratici”, spuntata alcuni mesi fa, a quanto si sa, dal pensiero di Marco Revelli all’interno de “L’Altra Europa”.
Al di là delle interpretazioni più o meno possibiliste, più o meno “speranzose”, a ben guardare vengono espressi due concetti (o due proposte). Il primo: pur all’interno del giudizio negativo sul renzismo come mutazione genetica del PD, Vendola afferma che l’alleanza col PD non è destino ma possibilità, almeno a livello “locale” (domanda: le regioni e i grandi comuni sono un livello locale? E quanto i consiglieri di Sel sarebbero disponibili a una lotta contro il governo a guida PD?)
Ma, a mio avviso, il secondo punto è ancora più grave: chiarisce che cosa Vendola intende per il costituendo soggetto politico della sinistra, in relazione ai soggetti costituenti. Da questi vengono esclusi, forse per “distrazione”, sia l’Altra Europa che Rifondazione Comunista.
Ora, ferma restando la mia profonda avversione a ogni percorso politicistico e ad ogni accozzaglia pattizia (che abbiamo sperimentato sin dalla Federazione della Sinistra), ideata a fini solo disperatamente elettorali, risulta chiaro che da parte di Rifondazione Comunista si configurerebbe una sorta di richiesta di aggregazione posticcia del tipo “Posso venire anch’io”? Così si spiegherebbe anche lo schiacciamento del PRC, acritico, dogmatico, quasi fideistico, sul governo Tsipras, costretto a ingoiare il terzo memorandum; uno schiacciamento quasi a prescindere, in fondo una sorta di viatico verso la Costituente attraverso l’Altra Europa.
Ebbene, tanto “realismo” politico a me sembra irreale da un punto di vista materialmente politico, umiliante da un punto di vista morale.
D’altronde, dopo le elezioni europee del maggio 2014, l’Altra Europa si è persa in una sorta di attesa stagnante, da una parte per l’imbarazzo della scelta di Barbara Spinelli a favore di Eleonora Forenza, dall’altra quasi in attesa che scoppiasse in Big Bang a sinistra.
Oggi c’è bisogno di altro. L’Unione Europea è immersa in una grave crisi economica, sociale, politica e morale, palesatasi drammaticamente sia nell’aggressione alla Grecia e al suo governo di sinistra (fino a sfigurarlo), sia nella difesa delle frontiere per mare e per terra. Ed è proprio il nodo dell’immigrazione che dovrebbe chiamare in causa una sinistra degna di tale nome. Giacché si tratta di una questione politica e di classe: chi paga di meno muore giù nella stiva e non ha diritto al giubbotto salvagente; l’Europa dell’est rifiuta l’accoglienza, l’Europa “cristiana” e illuminista si commuove per la foto del bimbo sulla spiaggia turca, ma intende dividere i migranti tra rifugiati ed “economici”, perché chi fugge dalle guerre (causate, tra l’altro, dal colonialismo cristiano e occidentale) può essere assistito, ma chi ha fame deve tornare a casa, e magari sotto le bombe dell’Occidente liberatore. E in fondo come si permette di aspirare a un tenore di vita occidentale?!
C’è bisogno di altro: c’è bisogno di un sussulto di indignazione, di movimenti di rivolta, della costruzione di una rete di movimenti, di donne e uomini che, a partire dall’analisi e dalla critica dei nuovi, inediti aspetti del nuovo capitalismo (che soffoca anche le nostra vite, le nostre relazioni, i nostri desideri, persino mutandoli di segno), ponga in essere la costruzione di una rete antiliberista, antiausterity, anticapitalista. Antirazzista, antimilitarista, antipatriarcale, io la nominerei anche così. Antispecista, direbbe Annamaria Rivera.
E allora, secondo me, questo è un compito che noi comunisti e comuniste ci dovremmo dare, sia collettivamente che i individualmente. A partire da un’analisi spietatamente critica della nostra storia, che è stata narrata, e sfigurata, da altri e su cui abbiamo spesso steso veli consolatori, quando non coperture giustificazioniste.
Per questo sono contraria a percorsi tipo “unità dei comunisti” o”Costituente comunista”, che, lungi dal far riferimento a un punto di vista e alle soggettività, anche sociali (“Proletari di tutto il mondo unitevi”, non “Comunisti di tutto il mondo aggregatevi”), si arrogano il compito di accostare percorsi e aggregazioni che, anziché alla riflessione critica sulla propria storia, si affidano a una sorta di “marchio” buono per tutte le stagioni, anche per le alleanze più “disinvolte” (tanto ci salva il marchio!).
Nel documento che ho sottoscritto si parla più opportunamente, a questo proposito, di incontro tra “le soggettività comuniste oggi disperse su un profilo, una proposta politico-programmatica ed una forma partito all’altezza della crisi attuale, in grado di interpretare e raggiungere i nuovi soggetti sociali” (ossia si mette l’accento sulla funzione sociale e politica,tutta da ripensare,più che sulla “identità”), in e per una “una coalizione sociale anticapitalista”: questo, a mio avviso, dovrebbe essere il nostro intento. Dentro i conflitti.
Inoltre, secondo me, non dovremmo cadere nella trappola tipo chiedere un congresso per contarci, o tipo semplicemente la sostituzione di segretario e segreteria. Sarebbe un ben misero obiettivo. Non siamo interessati a “cambiare la maggioranza” ma a cambiare il Partito.
Si tratta di iniziare una vera rifondazione teorica, politica, pratica, una vera autoriforma che liberi il Partito dal suo impianto ridicolmente e nevroticamente “autoritario”, di rifondare un gruppo “dirigente” di donne e uomini capaci di mettersi continuamente in discussione, fuori dalla militanza intesa come fedeltà, catena di comando, affidamento opportunistrico, nostalgia per il governo e/o per le istituzioni. Si è persino operato per dividere il forum delle donne in compagne “non responsabili” e “responsabili”, cioè a-conflittuali, quando in una organizzazione storicamente maschile le donne dovrebbero essere tutte impegnate ad agire il conflitto di genere.
Perché il percorso di rifondazione inizi, però, occorre prima di tutto abolire correnti e aree: tutti gli orticelli, che nella vita asfittica del Partito sono serviti alle quote percentuali negli organismi dirigenti, anche e soprattutto a causa della mancata autoriforma del Partito. La quale non deve essere un mero schema organizzativo, deve invece essere un laborioso percorso politico partecipato. Le differenze vanno esplicitate, fatte valere, confrontate. Individualmente e insieme.
In assenza di tutto ciò, si rischia una deriva parolaia, per giunta scandita da una futile e rissosa forma di autoassoluzione, incline ad una paralizzante logica di piccoli e grandi schieramenti.
Infine, i compagni e le compagne di Rifondazione comunista meritano ben altro che essere parcheggiati in attesa di essere ammessi nel salotto delle alleanze di turno.

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