Che non si dica che scriviamo certe cose per "motivi
ideologici". Vi presentiamo perciò integralmente l'articolo con cui il
quotidiano di Confindustria dà conto della deflazione salariale. Che non
ci mette affatto "al passo con l'Europa", come dicono beffardamente da
Palazzo Chgi, ma decisamente sotto.
Sottolineiamo la risposta del prof. Sdogati all'intervistatore, che
annienta la consueta teoria per cui ssalari più bassi uguale aumento
della produttività:
«Non è vero che le aziende beneficiano della deflazione salariale
perché la produttività è determinata dagli investimenti e dalle
innovazioni. La Germania ha un costo del lavoro pari a 31,4 euro l'ora,
l'Italia del 28, Cipro di 15. Chi sta meglio? La produttività permette
di pagare bene».
Ma se la produttività dipende dagli investimenti, non dal costo del
lavoro, allora gli unici colpevoli sono gli imprenditori: avari,
furbetti, inetti.
*****
Italia, salari in deflazione. Perché siamo (quasi) gli unici in Europa a tagliare gli stipendi
di Alberto Magnani
Cipro, Grecia, Italia. Cosa accomuna i tre Paesi? Sono gli unici
dell'Europa a 28 ad aver registrato una diminuzione di salari e stipendi
per ora lavorata nel secondo trimestre 2015: -0,2% in Italia e -1,2% a
Cipro, mentre Atene (in assenza di numeri precisi sulle retribuzioni) si
aggiudica il più brusco calo del costo del lavoro su scala continentale
(-2,9%). Una “deflazione salariale” che contrasta con i rialzi
registrati per l'Euro-zona (+1,9%) e l'Unione Europea (+2,1%), dal Regno
Unito (+2,6%) alla Germania (+3,4%). La fotografia è emersa dalle
ultime statistiche del Labour Cost Index, l'indice dei costi del lavoro
dell'Eurostat.
Un calo a tutta linea
L'indicatore, calibrato sul breve termine, cerca di inquadrare le spese sostenute dalle aziende con il calcolo del rapporto tra costo del lavoro e totale di ore lavorate. La dinamica da trimestre a trimestre è poi individuata da due fattori principali, cioè stipendi e salari (wage and salary costs, o Wag) e “costi non salariali” (non wage cost, come le tasse a carico delle aziende). Gli elementi concorrono al risultato finale, ma non si muovono su livelli identici. Nell'ultimo trimestre, ad esempio, salari e stipendi sono cresciuti dell'1,9% contro lo 0,4% dei costi non salariali nell'Euro-zona, mentre nel resto dell'Unione Europea il rapporto si è fissato su un +2,1% nelle retribuzioni contro l'1,1% di spese «diverse dalle retribuzioni».
L'Italia ha registrato una flessione generale dello 0,4% nei costi del lavoro che si riflette in un calo dell'1,1% nei fattori diversi dalla retribuzione e, appunto, un taglio dello 0,2% in busta paga. Il trend è omogeneo, tra i settori sotto la lente dell'Eurostat: nel secondo trimestre dell'anno, stipendi e salari sono scivolati a -0,1% nell'industria (Euro-zona a +2,4%, Unione Europa a +2,3%) e -0,5% nelle costruzioni (1,5% nei paesi dell'area euro, 2,3% nel resto d'Europa), restando pressoché invariati solo nei servizi: 0,2% contro il +2% dell'Euro-zona e il +2,3% dell'Unione Europa.
L'indicatore, calibrato sul breve termine, cerca di inquadrare le spese sostenute dalle aziende con il calcolo del rapporto tra costo del lavoro e totale di ore lavorate. La dinamica da trimestre a trimestre è poi individuata da due fattori principali, cioè stipendi e salari (wage and salary costs, o Wag) e “costi non salariali” (non wage cost, come le tasse a carico delle aziende). Gli elementi concorrono al risultato finale, ma non si muovono su livelli identici. Nell'ultimo trimestre, ad esempio, salari e stipendi sono cresciuti dell'1,9% contro lo 0,4% dei costi non salariali nell'Euro-zona, mentre nel resto dell'Unione Europea il rapporto si è fissato su un +2,1% nelle retribuzioni contro l'1,1% di spese «diverse dalle retribuzioni».
L'Italia ha registrato una flessione generale dello 0,4% nei costi del lavoro che si riflette in un calo dell'1,1% nei fattori diversi dalla retribuzione e, appunto, un taglio dello 0,2% in busta paga. Il trend è omogeneo, tra i settori sotto la lente dell'Eurostat: nel secondo trimestre dell'anno, stipendi e salari sono scivolati a -0,1% nell'industria (Euro-zona a +2,4%, Unione Europa a +2,3%) e -0,5% nelle costruzioni (1,5% nei paesi dell'area euro, 2,3% nel resto d'Europa), restando pressoché invariati solo nei servizi: 0,2% contro il +2% dell'Euro-zona e il +2,3% dell'Unione Europa.
Sdogati (Politecnico): ridurre i salari ha un effetto catastrofico
Fabio Sdogati, ordinario di economia internazionale al Politecnico di Milano, guarda «con preoccupazione» al calo dei salari. L'equazione tra tagli ai costi e produttività non lo convince, soprattutto quando passa per una scure più netta sulle retribuzioni: «Mi sembra la stessa interpretazione di quanti hanno chiesto deflazione salariale in Grecia perché il costo del lavoro avrebbe fatto aumentare le esportazioni e la produzione. Salvo dimenticare che in Grecia non esiste la manifattura – dice al Sole 24 Ore -. In una situazione in cui la domanda interna non tira e il reddito pro capite è molto minore dei livelli pre-crisi, ridurre i salari ha un effetto catastrofico». Ma l'alleggerimento nei costi del lavoro, in generale, non può essere inteso come un segnale incoraggiante? «Non è vero che le aziende beneficiano della deflazione salariale perché la produttività è determinata dagli investimenti e dalle innovazioni. La Germania ha un costo del lavoro pari a 31,4 euro l'ora, l'Italia del 28, Cipro di 15. Chi sta meglio? La produttività permette di pagare bene».
Fabio Sdogati, ordinario di economia internazionale al Politecnico di Milano, guarda «con preoccupazione» al calo dei salari. L'equazione tra tagli ai costi e produttività non lo convince, soprattutto quando passa per una scure più netta sulle retribuzioni: «Mi sembra la stessa interpretazione di quanti hanno chiesto deflazione salariale in Grecia perché il costo del lavoro avrebbe fatto aumentare le esportazioni e la produzione. Salvo dimenticare che in Grecia non esiste la manifattura – dice al Sole 24 Ore -. In una situazione in cui la domanda interna non tira e il reddito pro capite è molto minore dei livelli pre-crisi, ridurre i salari ha un effetto catastrofico». Ma l'alleggerimento nei costi del lavoro, in generale, non può essere inteso come un segnale incoraggiante? «Non è vero che le aziende beneficiano della deflazione salariale perché la produttività è determinata dagli investimenti e dalle innovazioni. La Germania ha un costo del lavoro pari a 31,4 euro l'ora, l'Italia del 28, Cipro di 15. Chi sta meglio? La produttività permette di pagare bene».
Non perdiamo l'occasione dei talenti internazionali
Sdogati fa l'esempio dei talenti in fuga, i giovani professionisti italiani che si trapiantano all'estero in cerca di stipendi all'altezza del curriculum. La spinta al ribasso delle retribuzione ha, di fatto, ristretto le differenze retributive tra lavoratori più e meno qualificati. Una «occasione da non perdere» arriva dall'afflusso di capitale umano internazionale: «Quando guardiamo alla differenza tra ingegneri e qualificati vediamo differenze risibili, ma il problema è proprio che si sono voluti appiattire gli stipendi. Con i risultati che vediamo. Ora l'afflusso di professionisti stranieri può darci un'occasione importante, se le barriere non lo impediranno». Alcuni parlano di mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta del mercato del lavoro. E c'è chi ha messo in dubbio la legittimità di corsi di studio estranei a quelli più “redditizi”, almeno sul breve periodo. «Dire che ci sono corsi di laurea inutili è un'interpretazione becera – dice Sdogati - È la domanda che è inadeguata, non l'offerta».
Sdogati fa l'esempio dei talenti in fuga, i giovani professionisti italiani che si trapiantano all'estero in cerca di stipendi all'altezza del curriculum. La spinta al ribasso delle retribuzione ha, di fatto, ristretto le differenze retributive tra lavoratori più e meno qualificati. Una «occasione da non perdere» arriva dall'afflusso di capitale umano internazionale: «Quando guardiamo alla differenza tra ingegneri e qualificati vediamo differenze risibili, ma il problema è proprio che si sono voluti appiattire gli stipendi. Con i risultati che vediamo. Ora l'afflusso di professionisti stranieri può darci un'occasione importante, se le barriere non lo impediranno». Alcuni parlano di mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta del mercato del lavoro. E c'è chi ha messo in dubbio la legittimità di corsi di studio estranei a quelli più “redditizi”, almeno sul breve periodo. «Dire che ci sono corsi di laurea inutili è un'interpretazione becera – dice Sdogati - È la domanda che è inadeguata, non l'offerta».
da IlSole24Ore
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