domenica 30 maggio 2010
LE CHIAMANO "MORTI BIANCHE"
sabato 29 maggio 2010
Chi e come sta saccheggiando il Paese
Una parte del Paese ha in effetti vissuto ben al di sopra delle risorse disponibili, drenandole appunto dal lavoro, saccheggiando lo stato sociale, buggerando il fisco e sequestrando vitali sostanze pubbliche, per poi presentare il conto, salatissimo, all’altra faccia del Paese, quella già derubata di lavoro, di reddito, di diritti e di futuro.
Non serve un grande sforzo di immaginazione per documentare queste affermazioni.Il governo sta per fare cassa mettendo un cappio al collo dei lavoratori pubblici i quali - in ragione del blocco contrattuale - lasceranno nelle mani del governo, mediamente, 1600 euro cadauno in tre anni. Contribuiranno alla salvezza nazionale anche i pensionati che andranno a riposo sei mesi più tardi, nonché tutti coloro i quali, una volta maturatone il diritto, percepiranno più tardi e a rate l’indennità di fine rapporto. Il resto del lavoro sporco viene poi subappaltato, per interposta istituzione, agli enti locali, che compenseranno con un taglio secco dei servizi e delle prestazioni sociali il mancato trasferimento di sei miliardi da parte dello Stato. Ebbene, queste misure vengono spacciate, urbi et orbi come necessità oggettive, soluzioni senza alternative per salvare la barca che fa acqua. Anche qui, la menzogna è marchiana. Nei provvedimenti non c’è neppure l’ombra di un prelievo sui grandi patrimoni, mentre l’annunciata lotta all’evasione fiscale si presenta come la “bufala” del secolo. Le migliaia di (potenziali?) evasori che figurano nella lista Falciani (in gran parte imprenditori, signora Marcegaglia, e in gran parte lombardi, ministro Bossi), titolari di conti per 7 miliardi di dollari, custoditi nei forzieri svizzeri, potranno dormire tranquilli se avranno a suo tempo utilizzato lo scudo fiscale ideato dal ministro Tremonti. E che dire dei Grand Commis di Stato, cui non viene chiesto di rinunciare ad un soldo (ne parliamo a pagina 4) delle laute, opache prebende che remunerano le loro molteplici “attività”?
In questi giorni, alcune inchieste del giornalismo televisivo hanno rivelato che le “autoblu” in dotazione alla politica superano abbondantemente le seicentomila, quasi dieci volte quante ve ne sono negli Stati Uniti, per una spesa complessiva di circa 20 miliardi, un importo quasi equivalente a quello dell’intera manovra correttiva. Non se n’era accorto il sedicente moralizzatore della vita pubblica, quel ministro Brunetta che va millantando inesistenti crediti nella efficientizzazione dell’amministrazione dello Stato e che soltanto oggi ha annunciato un censimento per accertare lo stato delle cose?
Ieri si è svolta anche l’assemblea annuale di Confindustria, quella del centenario, occasione di una esibizione muscolare della presidentessa della maggiore organizzazione imprenditoriale del Paese. Emma Marcegaglia e i suoi hanno incassato volentieri un pacchetto di provvedimenti che ai padroni non chiede assolutamente nulla, tanto meno sul fronte della difesa dell’occupazione. L’idea di un blocco salariale e di una ennesima sforbiciata sul welfare è, da sempre, musica per le orecchie di lor signori. E se di qualcosa costoro si lamentano è che quelle misure siano prevalentemente transitorie, piuttosto che strutturali. Essi vorrebbero che la competitività delle imprese si alimentasse essenzialmente di un regime di ancor più bassi salari, trascurando persino il fatto che, così facendo, la domanda, non più trainata dal mercato interno, è condannata a ristagnare, deprimendo la produzione stessa e affossando qualsiasi prospettiva di ripresa. Su tutto prevale, nel padronato nostrano, l’istinto corporativo, anzi: bottegaio. Altro che classe dirigente nazionale.Di fronte a questa spettacolare esibizione di ingiustizia, protervia, inettitudine, spreco è condizione irrinunciabile dispiegare la più estesa, durevole mobilitazione sociale. Che per riscuotere il necessario consenso deve poggiare su una credibile piattaforma alternativa, non su qualche estemporaneo palliativo. Ci sono tutte le condizioni per costruire questa proposta, che emerge quasi da sé dal bilancio dello Stato, dai rapporti dell’Istat sulla distribuzione della ricchezza, o dai dati che la Corte dei Conti e l’Agenzia delle Entrate mettono periodicamente a nostra disposizione. Ecco un cimento nel quale la Federazione della Sinistra può trovare contributi importanti, stringere legami di solidarietà, tessere alleanze che prefigurano un campo di forze impegnate a praticare nella crisi il cambiamento, anziché soltanto auspicarlo.
su Liberazione del 28/05/2010
Pensioni Inpdap: ecco dove trovare gli euro per il contratto statali
A spulciare tra le schede dell’Inpdap ce ne è per tutti i gusti. Publio Fiori, per esempio, che gode di una pensione mensile di 14.590,26 anche grazie alla “rango” di vittima del terrorismo; Giorgio Guazzaloca, che alla pensione di 9.704,64 euro somma un incarico nell’Antitrust. Andrea Monorchio, con 10.853,07 euro. L’upper class è piuttosto variegata, onesti e furbetti in un unico calderone. E così a fianco di Umberto Veronesi (2.820,78 euro), sulla cui vitalità professionale nessuno osa dire nulla, troviamo un Renato Squillante, con una pensione di 5.919. Quella di Squillante ha un primato riservato a pochi eletti: è attiva dal 1996, quando ancora il magistrato portava ancora i pantaloni corti, professionalmente parlando.
Il riscontro al “doppio incarico” a beneficio della casta, viene da una denuncia fatta dal sindacato proprio pochi giorni fa, e passata tra le maglie di una informazione troppo occupata a narrare l’ira divina contro chi non si fosse adeguato ai comandamenti di Bruxelles.
Le consulenze commissionate all’esterno da oltre diecimila enti pubblici pesano sul bilancio dello Stato per un valore di oltre 2 miliardi e mezzo all’anno. Nella cifra, però, sono compresi gli stipendi per tutto il personale precario. Ai consulenti veri e propri, una “ristretta cerchia”, quindi, vanno un miliardo e trecento milioni, come ha specificato la Cgil, su questo punto d’accordo con lo stesso ministro Brunetta. Renato Brunetta? Sì, c’è anche lui nella lista dei pensionati senza divieto di cumulo, con una rendita mensile di 3.044,34 euro.
Questo per quanto riguarda il settore pubblico, ovviamente. C’è da giurare che nel cosiddetto privato la musica non cambia. Sarà un caso se l’ex fondo pensionistico pubblico dei manager, Inpdai, è stato assorbito dall’Inps? Il fondo attualmente perde 2 miliardi l’anno. Con il paradossale effetto che sono i lavoratori a reddito fisso a pagare le ricche pensioni dei loro dirigenti. Perché Confindustria non dice quante sono, tra le sole aziende aderenti, quelle che pagano consulenze di dirigenti in pensione? Avete chiesto i sacrifici. Bene, cominciate voi che a stringere la cinta non vi dà alcuna noia.
Il "buon governo" siciliano e la LEGA NORD
ex consiglieri.
Chi va in Parlamento conserva
il vitalizio della Regione
IL PROVINCIALE
Massimo Gramellini, La Stampa, 28.05.2010
giovedì 27 maggio 2010
La manovra contro il lavoro si sconfigge nel Paese
Sbaglieremmo però se ci limitassimo a denunciare il carattere antisociale della manovra. La nostra critica deve partire dalla motivazione che la ispira. Il governo infatti dice: dobbiamo fare così per non finire come la Grecia, cioè per non essere soggetti agli attacchi della speculazione. Il punto è che questa motivazione è falsa. Bloccare gli speculatori – cioè le banche e i grandi investitori, tutti commensali dei governatori europei – non sarebbe molto difficile. Basterebbe decidere a livello europeo di fermare la vendita allo scoperto dei titoli pubblici, di obbligare la Banca Centrale Europea ad acquistare automaticamente i titoli di stato europei messi sul mercato, di tassare le transazioni finanziarie speculative (denaro in cambio di denaro). Con queste misure il meccanismo speculativo sarebbe messo in discussione all’origine e non avrebbe alcuna efficacia. Il punto è che i governi europei hanno deciso di utilizzare lo spauracchio della speculazione per ottenere il vero obiettivo, che è quello di demolire il welfare e ridurre ulteriormente il costo del lavoro in Europa. I governi non sono impegnati in una titanica lotta contro la speculazione,. ma semplicemente la utilizzano per giustificare il massacro sociale. Come negli anni ’90 l’ingresso nell’Euro è stato usato per un generalizzato attacco contro i lavoratori, oggi viene usata la speculazione. Un fantomatico nemico esterno viene evocato per sconfiggere il nemico interno, i lavoratori. Il fatto che questa elementare verità non emerga è dovuto alla circostanza che tutti i governi europei, di centrodestra come di centrosinistra, l’hanno condivisa. Centrodestra e centrosinistra concordano infatti nel proposito di non uscire dalle politiche neoliberiste che sono all’origine della crisi. Il punto è che le classi dirigenti europee non sanno che fare e quindi proseguono con la scorciatoia di sempre: rendere più stretti i vincoli di Maastricht e ridurre il costo del lavoro. Proprio le ricette che hanno portato l’Europa ad essere il continente che più di tutti paga la crisi economica.
La nostra iniziativa non può quindi limitarsi a contestare la manovra nel merito. Sarebbe un’azione destinata alla sconfitta perché permetterebbe al governo di motivare il tutto in nome dell’interesse generale. La nostra campagna deve partire dalla denuncia che governi e speculatori stanno dalla stessa parte della barricata e sono uniti contro i lavoratori. Deve persuadere che questa manovra non ci fa uscire dalla crisi ma la aggrava, ponendo le condizioni per subire domani altre stangate.Dobbiamo quindi dire con chiarezza che la difesa del welfare, dei diritti e dei salari dei lavoratori, dell’occupazione contro ogni licenziamento, costituisce l’unico modo per difendere gli interessi generali della società e l’unica via di uscita dalla crisi.Se quanto sopra affermato è vero, è evidente che il luogo dove si può cambiare la manovra non è il parlamento, ma il Paese. In parlamento potremo avere aggiustatine, tentativi di coinvolgere l’opposizione, ma nessun cambiamento di sostanza. Il solo modo per impedire questa stangata consiste nel costruire un movimento di massa nel Paese che si opponga a queste misure.Per questo sabato saremo nelle piazze di tutte le città a denunciare l’operazione antisociale in corso. Per questo sabato 5 saremo in piazza con il sindacalismo di base a manifestare a Roma e a Milano. Per questo proponiamo a tutte le forze dell’opposizione - parlamentare e non - di unirsi per mettere il governo in minoranza nel Paese. Denunciamo la subalternità di Cisl e Uil, complici del governo nel narcotizzare il Paese e chiediamo alla Cgil di assumere immediatamente iniziative di lotta, sciopero generale compreso. Questa manovra è contro la società. Occorre organizzare la risposta sociale per impedirla. Se è vero, come dice Gramsci, che la storia dei partiti la si deve scrivere a partire dal ruolo che i partiti hanno nella storia del Paese, oggi è il tempo di dimostrare che esiste in questo Paese la sinistra di alternativa. La capacità di costruire relazioni sociali e alleanze politiche la si deve misurare nel concreto, perché la speranza non può essere ricostruita nella delega, ma nello sviluppo consapevole della lotta.
L'Italia è malata, bastoniamola
Le cifre dell'Istat. La quantità di informazioni è sterminata, e ciascuno se ne può fare un'idea direttamente (prima che il Gasparri di turno dica che a lui risultano altri numeri, o che si decida di chiudere anche l'Istat dopo l'Isae e l'Isfol). Semplificando al massimo, l'Istat quest'anno ci dice due cose:
1) che la crisi economica in Italia è peggiore che in altri paesi europei: nel biennio 2008-2009 la flessione del Pil è stata del 6,3%;
2) che l'hanno pagata, finora, soprattutto i giovani, protagonisti della fascia del mercato del lavoro sterminata dal taglio dei contratti atipici, e le donne, che vanno ad aumentare la fascia degli inattivi per “scoraggiamento”.
Di tutto il capitolo 3 (Gli effetti della crisi su individui e famiglie) andrebbe data pubblica lettura nelle sedi in cui si discuterà e voterà la manovra; basti citare due dati: nel 2009 il reddito disponibile delle famiglie è sceso del 2,9% e il potere d'acquisto procapite è sceso sotto il livello del 2000.
Ma, restando ai conti pubblici, concentriamoci sulla prima parte della storia: l'avvitamento tra crisi, deficit e debito. I governi dei paesi europei hanno speso di più, mentre le entrate rallentavano e il Pil scendeva. Così per l'insieme dall'area dell'euro il rapporto tra debito e Pil è passato da 69,4 a 78,7%, mentre l'indebitamento netto (il deficit annuale) è salito dal 2 al 6,3%. In questo quadro, l'Italia occupa una posizione particolare: mentre gli altri hanno speso molto di più per sostenere le banche, la nostra spesa pubblica è cresciuta di meno e soprattutto in relazione all'aumento della cassa integrazione; inoltre, anche la riduzione delle entrate è stata meno forte di quella degli altri (per effetto dello scudo fiscale). Però, “in ragione della forte caduta del Pil e del livello elevato del debito”, i conti alla fine sono peggiori di quelli degli altri: il rapporto debito/Pil sale da 106,1 a 115,8 e l'indebitamento da -2,7 a -5,3. Siamo partiti da un debito più alto (numeratore), siamo scesi con una caduta più rapida del Pil (denominatore).
Emergenza pubblica. Di fronte a queste cifre, chi vuole può continuare a pensare che l'emergenza sia nei numeri del debito pubblico – che è troppo alto sì, ma da qualche decennio – e non in quelli della disoccupazione, inoccupazione, spreco di risorse. Può dimenticarsi l'opportunistica riscoperta keynesiana di qualche mese fa, buona per tamponare le falle finanziarie, e tornare a una visione smemorina dell'economia e della politica economica, quella che dice che affamando lo stato (e i suoi impiegati, nel caso specifico) si risolleva l'umanità. Deve comunque poi spiegare come fa a togliere risorse all'economia senza deprimere l'economia; a tagliare gli stipendi agli insegnanti convincendoli però ad andare a fare shopping e vacanze nel tempo libero; a bloccare le assunzioni e i nuovi contratti chiedendo nel contempo ai ragazzi di uscire di casa e magari comprarsela anche, una casa; a continuare a dare cassa integrazione in deroga senza far niente perché le deroghe cessino di essere la norma. E' vero che in questa trappola – il rigore in recessione, bastonate sul malato – è caduta tutta l'Europa, ma è anche vero che ci sono malati e malati, bastonate e bastonate (nonché medici e medici: la lotta all'evasione fiscale fatta subito dopo il regalo ai capitali evasi all'estero e in contemporanea col condono edilizio è uno spettacolo inedito persino per il paese che costruisce ad Agrigento nella Valle dei Templi).Si può fare qualcosa di diverso, per raddrizzare i conti e re-indirizzarli? Qualcuno pensa di sì, e ci prova. Il documento della campagna Sbilanciamoci!, che si può leggere nell'allegato, mostra in successione una serie di mosse possibili. Sulla base delle quali vorremmo far partire su questo sito una riflessione: criticatele, smontatele, integratele, proponetene altre. Discutiamone.
mercoledì 26 maggio 2010
Ferrero torna in ufficio: ”Sono un leader part-time”
Segretario, come sono andate le cose?
Semplice. Sono stato in aspettativa come consigliere comunale. Poi come deputato, quindi come ministro...
E poi?
Dopo il mancato quorum di Rifondazione ho chiesto un anno di aspettativa per motivi personali e un altro che mi era consentito. Dopodiché potevo scegliere di lasciare.Ha preferito di no. Ho sempre preferito l’aspettativa, ci tengo – non retribuita – anche quando ero al governo. È una questione di principio.
Come fa a dividersi fra i due lavori?
Semplice, ho optato per un part time. I miei dirigenti mi permettono di concentrare tutto il lavoro su tre giorni.
La sua compagna, Angela Scarparo si è rassegnata a non vederla più?
Al contrario. Mi ha incoraggiato a tornare in ufficio: spesso viene anche lei a Torino.
Ma quanto guadagna?
Bella domanda! Lo stipendio pieno sarebbe 1.300 euro. Dovrei prendere poco più della metà.
Ancora non lo sa?
(Ride) Attendo trepidante. La prima busta paga arriva il 27. Faccio parte dell’Italia che aspetta quella data.
Come segretario di Rifondazione quanto prende?
3.000 euro. Bertinotti ne guadagnava 4.000, io ho ridotto la cifra.
Perché proprio 3.000?
Non volevo che fosse più del doppio dello stipendio medio di un lavoratore normale.
Brunetta le dirà che è un doppiolavorista...
Sarebbe un’altra schiocchezza. Il part time è civiltà. A parte il fatto che ridurrò lo stipendio da segretario perché la somma sia tremila.....
A parte quello, cosa?
L’odio del nostro ministro per i dipendenti pubblici è un fenomeno di cattiveria politica.
Se venisse in ufficio con lei, cambierebbe idea?
Penso proprio di no. Non deriva dalla non conoscenza, ma da un furore ideologico. Posso dirle una cosa?
Prego.
Il sentimento di opinione più diffuso che ho trovato, trasversale a tutte le idee politiche dei miei colleghi, è stato quello di antipatia per il ministro.
Non si sentono fannulloni...
Al contrario. Anzi, se posso dire. Sono rimasto stupito dal sentimento di servizio nei confronti del bene comune che c’è tra loro. Grande dedizione.
Lei chiacchiera davanti alla macchinetta del caffè?
(Sorride). Non è ancora un reato.
E se la chiamano per una bega politica di Rifondazione quando è in ufficio?
Dico di richiamare dopo.
E se è un’emergenza?
Sacrifico parte, o tutta la pausa pranzo.
Dove andate a mangiare?
In un bellissimo locale di prodotti tipici torinesi che è vicino all’ufficio.
Il classico “baretto”...
Mangiamo benissimo e raramente si spendono più di dieci euro.
Ma al lavoro la accompagna l’auto del partito?
Scherza? Ci vado come qualsiasi altro cristiano, con il bus o il tram.
Non usa più l’auto “rossa”?
Se devo andare a fare un comizio a Perugia, certo. Se devo lavorare non vedo perché.
Timbra il cartellino?
Quasi. Firmo tutti i giorni un foglio di presenza.
In che settore è stato collocato?
Nello staff della dirigente responsabile del settore personale e patrimonio.
Di cosa si occupa in ufficio specificamente?
In questi giorni della valorizzazione del patrimonio dell’Ordine Mauriziano nella reggia di Stupinigi. Ora è della Regione.
Dica la verità, è uno choc fare il leader tre giorni, e poi essere a disposizione di qualcuno?
Affatto. Un esercizio salutare che consiglierei a tutti i miei colleghi.
Da il Fatto Quotidiano del 26 maggio
La risposta è la Patrimoniale
Esiste un'alternativa a questo massacro? Si può evitare di andare a colpire ancora una volta quelli che il loro dovere col fisco lo hanno sempre fatto? Sì, si può. L’alternativa esiste. Ed è il contributo di solidarietà. Un contributo da richiedere ai più ricchi (e spesso più furbi) che nel giro di poche settimane permetterebbe all'erario di raccogliere 15 miliardi, senza modificare significativamente il tenore di vita di chi si ritroverà a pagare.
I conti sono presto fatti. L'ultimo scudo fiscale ha permesso a migliaia di evasori di regolarizzare anonimamente le loro posizioni versando allo Stato il 5 per cento dei patrimoni nascosti all'estero (100 miliardi). Così nel 2009 in cassa sono entrati circa 5 miliardi di euro. Visto che le cose vanno male e che tutti, dice Gianni Letta, sono chiamati a fare sacrifici perché, dunque, non rivolgersi a chi ha scudato i propri capitali chiedendo loro di versare un altro cinque per cento? Conosciamo le obiezioni. Ma come? La legge lo impedisce: lo Stato si è impegnato in un condono tombale, come può dopo soli pochi mesi rimangiarsi la parola? Semplice, lo fa. Esattamente come lo farà con gli insegnanti, i dipendenti pubblici, gli enti locali e tutti coloro i quali fino a ieri pensavano di aver maturato dei diritti che invece oggi, per far fronte alla crisi, verranno loro negati. Benché segreti gli elenchi nominativi degli evasori infatti esistono.
Per ricostruirli, spiega al Fatto Quotidiano una fonte qualificata di Banca d'Italia, basta rivolgersi agli istituti di credito utilizzati per scudare i patrimoni. In questo modo il contributo di solidarietà porterà a recuperare 5 miliardi. E gli altri 10? Anche qui la soluzione (se solo la si volesse adottare) c'è. E si chiama contributo di solidarietà sui grandi patrimoni familiari. A lanciare l'idea (con nessuna fortuna) era stato più di un anno fa, Giulio Santagata, l'ex ministro per l'Attuazione del programma del governo Prodi. Adesso però quella proposta va riesaminata con attenzione, visto che questa sorta di tassa patrimoniale una tantum non vuol dire prelevare denaro dalle tasche di tutti i cittadini, o colpire i semplici proprietari di un appartamento o di un pezzo di terra. Ma solo chiedere, come già accade in altri Paesi, a chi è più ricco di dare una piccola mano a chi sta peggio.
Vediamo come: in Italia la ricchezza delle famiglie ammonta, secondo Banca d'Italia, a 8000 miliardi di euro. Il 10 per cento di esse ha però in mano il 50 per cento del tesoro (oltre 4000 miliardi). È lì che bisogna andare a trovare i soldi. Ovviamente non dovranno essere tassati i beni produttivi, non si pagheranno cioè imposte sulla proprietà delle imprese. A essere tassato sarà invece il resto. E, visto che solo l'8 per cento di quei 4000 miliardi è ricollegabile all'attività d'impresa, la base imponibile (cioè il pezzo di tesoro sul quale il fisco può intervenire) toccherebbe i 3500 miliardi. Non tutti i proprietari comunque dovrebbero mettere mano al portafogli. L'idea è che il prelievo scatti solo a carico di chi possiede immobili, terreni, liquidi e titoli per più di 5 milioni di euro. Fatti due conti si scopre così che basterebbe un intervento del 3 per mille per far incamerare allo Stato 10 miliardi. Sarebbe impopolare un contributo di solidarietà del genere? No, perché riguarderebbe solo un parte minima della popolazione. Che, oltretutto, non verrebbe particolarmente vessata.
Il 3 per mille di 5 milioni (pari a quattro grandi appartamenti nel centro di Milano o Roma) equivale infatti a 15 mila euro. Per questo alle opposizioni spetta ora il compito di spiegare che un’alternativa alla macelleria sociale esiste. Mentre il centro-destra dovrebbe cominciare a riflettere su un punto: la sua base elettorale è ormai vastissima. Non comprende solo i super-ricchi e gli evasori. La stragrande maggioranza dei supporter del Cavaliere (e della Lega) è formata da persone comuni, con redditi e stili di vita normali. Tutta gente che adesso si sta risvegliando dal sogno. Per ritrovarsi in un incubo in cui, prima o poi, finirà per trascinare anche il governo.
(da Il Fatto quotidiano)
I profughi dello yacht
Ma ecco sopraggiungere i finanzieri a sirene spiegate, con l’accusa di contrabbando e frode fiscale. I profughi dello yacht devono scendere a terra e riparare in un attico di Londra, dove il clima è meno mite e il pavimento neanche ondeggia.Siamo sicuri che milioni di donne si immedesimeranno nell’incubo della signora Briatore. È tale il terrore che i loro figli possano soffrire il trauma della perdita dello yacht che hanno preferito abituarli fin da subito a condizioni di vita meno precarie: una culla ricavata nella stanzetta della nonna. Da parte nostra - oltre a offrire al piccolo Falco Nathan la più incondizionata solidarietà per i decenni a venire - ci domandiamo se la sua mamma abbia una minima percezione della realtà che la circonda. Ma forse sullo yacht si captava soltanto il Tg1.
martedì 25 maggio 2010
No. Non saranno i ricchi a piangere
di Dino Greco
su Liberazione del 25/05/2010
Lotta agli evasori? Non succede
di Galapagos
su il manifesto del 25/05/2010
L'acqua e il diritto a decidere
di Fabrizio Valli e Fabio Ruggiero, Attac Italia
Flamini (Prc): "Contro l’attacco al sistema d’istruzione pubblico è necessaria una grande mobilitazione regionale"
Enrico Flamini, Segretario Provinciale Prc Perugia
domenica 23 maggio 2010
La rapina del condono edilizio
Come Berdini ricordava, il berlusconismo non è nuovo a queste imprese. Dopo il condono di Craxi nel 1985 i governi di destra ne hanno approvati un secondo (1996) e un terzo (2003). L’anno scorso, plagiando i presidenti regionali Berlusconi, col suo “piano casa” ha promosso quello che si è definito “condono preventivo”. E meno di un mese fa, con un decreto legge che è passato sotto silenzio (solo eddyburg.it ha proposto una denuncia e un appello), il Consiglio dei ministri ha approvato un provvedimento che condona gli abusi “per fronteggiare la grave situazione abitativa della Campania”. Una grande campagna d’opinione per difendere i beni comuni dell’autorità collettiva e del territorio bene comune dovrebbe intrecciarsi con quelle in corso per la difesa del’acqua pubblica e per la libertà dell’informazione. Solo quando queste battaglie, insieme a quelle per la scuola e per il lavoro, troveranno un denominatore e una voce comune si potrà sperare in un coronamento politico dell’azione che si svolge nelle piazze: queste sono il primo luogo della democrazia, non possono essere l’unico. Il denominatore comune emerge dalla violenza dei fatti: è la difesa dei beni comuni. La voce ancora non si è levata.
Il gioco si fa duro: è in palio lo Stato sociale
Una volta tanto dicono la verità, rendendo inevitabili imbarazzate smentite. Maurizio Ferrera, sempre sul Corriere, ha dovuto sbracciarsi a dire che «standard sociali e diritti di cittadinanza» non saranno travolti. Ma Tremonti taglierà stipendi e pensioni pubbliche, praticherà nuove riduzioni alla spesa sociale, aumenterà la pressione fiscale sul lavoro dipendente: siccome questo non accade dopo decenni di politiche espansive e redistributive ma dopo trent’anni di macelleria sociale, all’ordine del giorno è proprio l’eutanasia dello Stato sociale (a cominciare dal Mezzogiorno). Non è affatto questione di «esagerazioni».
Viene così in chiaro il senso del processo storico svoltosi in questi tre decenni. Si è trattato della feroce vendetta del capitale privato contro il lavoro salariato per la sua inaudita pretesa di giocare da protagonista la partita della riproduzione. Si tratta ancora oggi di punire le scandalose lotte operaie degli anni Sessanta. La nuova fase che si apre con la liquidazione del welfare corona una storia cominciata negli anni Settanta (con la fine di Bretton Woods) ed entrata nel vivo con lo scontro di Reagan con i controllori di volo, della Thatcher con i minatori e di Agnelli e Romiti nei 35 giorni di Mirafiori.
Trent’anni di guerra senza quartiere contro il lavoro dipendente che aveva osato ribellarsi al sovrano, di questo si è trattato. La delocalizzazione, la libera circolazione dei capitali e la guerra infinita per il gas e il petrolio sono stati i cardini dell’offensiva, ma anche Maastricht è stata una pietra miliare, poiché ha imposto lo sfondamento su costi e diritti del lavoro e la distruzione dei contratti collettivi. Panebianco parla oggi di «fallimento del socialismo della spesa». Propaganda a parte, il solo socialismo che abbiamo conosciuto se lo è goduto il capitale privato, al quale gli Stati (prima dei miliardi pubblici gettati nei bilanci disastrati di banche e finanziarie) hanno procurato un mercato del lavoro modellato sulle sue esigenze e concesso di evadere il fisco, di speculare senza vincoli e di accumulare profitti con le privatizzazioni. L’esplosione del debito pubblico (che sarebbe più serio chiamare credito privato) è figlia della ferma volontà di tradurre in profitto la produzione sociale della ricchezza.
È la prima volta che il capitale si vendica brutalmente per la rivolta del lavoro? Naturalmente no. È la storia del Termidoro e della Restaurazione (dopo il Terrore giacobino); del colpo di Stato di Luigi Bonaparte, dell’imperialismo e della Prima guerra mondiale (dopo il 1848, la Comune di Parigi e i primi scioperi generali); del fascismo, del nazismo e della Seconda guerra mondiale (dopo il 1917, Weimar e il biennio rosso). È un classico, quindi si sarebbe potuto intuire da tempo dove si andava a parare. Tanto più che qualcuno (Gramsci, Polanyi, Keynes, lo stesso Marx) aveva chiarito come funziona il meccanismo. Ma dov’è stata e dov’è la controparte in questa vicenda?
La Terza via di Tony Blair (rimpianto dal Corriere) è stata la sciagurata illusione che ha dato il la a tutta la sinistra «responsabile» in Europa. Ma forse adesso si reagisce all’altezza del pericolo? Qualcuno lancia l’allarme? Non pare. Alla «gente» si trasmette l’illusione che la «democrazia» sia una conquista irreversibile e un valore in sé, nonostante lo svuotamento dei diritti. Il governo può dire che taglierà, ridurrà, rimanderà senza che alcuno accenni a una reazione: è difficile in tale situazione prevedere che si andrà a un massacro? Sì, ce n’est qu’un début. Ma in senso opposto a quanto sperammo quarant’anni fa.
Ticket, pensioni, TFR….: cosa cambia
Il governo risparmia sugli invalidi
“Le notizie sono ancora fumose, ma se si verificheranno sarà una catastrofe”, spiega Mauro Pichezzi, presidente dell’associazione “Viva la Vita Onlus”, che si occupa dei malati di sclerosi laterale amiotrofica. “Le famiglie dei malati di Sla finiranno sul lastrico, perché la situazione è già disperata. Non escludiamo un atto forte come un nuovo sciopero della fame dei nostri malati e una manifestazione di piazza per far sentire la voce di chi davvero vive in condizioni di indigenza”.
Secondo uno studio commissionato dall’associazione, infatti, le famiglie sopportano un carico di circa 2 mila euro al mese a malato, principalmente per una badante e per i mancati guadagni di familiari impiegati nell’assistenza, con punte di 5 mila euro al mese a causa della carenza delle strutture pubbliche sanitarie e sociali. La situazione dei disabili è critica anche senza il ricorso a provvedimenti restrittivi.
Luca Faccio è affetto da tetraparesi spastica, vive in Veneto , è invalido al 100 per cento e percepisce come pensione d’invalidità 256,97 euro. A queste somma 480,47 euro di accompagnamento, per l’assistenza e le cure. “In queste condizioni è impossibile vivere – spiega Faccio – io sono laureato in Scienze dell’educazione, risiedo nella culla dell’industrializzazione, ma non trovo lavoro. Hanno anche sospeso gli incentivi per l’assunzione dei disabili. L’unica cosa che mi hanno proposto è un tirocinio a due euro l’ora per quattro ore al giorno. Mi costa di più farmi accompagnare e riportare dal luogo di lavoro rispetto a quello che guadagno. E quando ho provato a chiedere a cosa mi serviva quel tipo di lavoro mi è stato risposto: a socializzare. Io sono sposato, ho amicizie, il lavoro mi serve per vivere, non per socializzare. Pensate che in questo momento anche mia moglie è disoccupata. Come si fa a sopravvivere con 737,44 euro, comprese le cure?”. Una domanda che Luca Faccio ha posto al ministero dell’Economia e alla presidenza della Repubblica, anche tramite il suo blog http://antefatto.ilcannocchiale.it/www.lucafaccio.it. “Aspettiamo ancora la firma dei livelli essenziali di assistenza, in cui si elevano gli standard minimi – spiega ancora Pichezzi – altro che tagli. Abbiamo bisogno di maggiori risorse per i disabili, specialmente in questo periodo di crisi, per evitare catastrofi”.
Meno tasse? Contrordine: servono 28 miliardi di nuove entrate per riportare sotto controllo i conti pubblici.
TAGLI AI DIRIGENTI. Il populismo si osserva nelle riduzioni degli stipendi degli alti dirigenti della Pubblica amministrazione dei manager pubblici. C’è anche un dato politico che non dispiacerà all’opposizione: la Protezione civile viene di fatto commissariata. I grandi eventi tornano ad essere soltanto le catastrofi e quelli non prevedibili, a comandare sulla gestione sarà adesso il Tesoro e non più Palazzo Chigi, cioè Tremonti invece di Berlusconi e Gianni Letta. Sparisce anche la Difesa spa (che doveva snellire i rapporti del ministero in appalti e uso delle risorse), si rinuncia a rifinanziare le regioni commissariate per la spesa sanitaria e si tagliano i trasferimenti agli enti locali che sforeranno il Patto di stabilità nel 2010 (saranno moltissimi). Ricompare una misura ad alto rischio di incostituzionalità: si rendono nulli i decreti ingiuntivi e i pignoramenti verso le Asl delle regioni commissariate reintroducendo una norma che lo stesso governo, nella persona del ministro della Giustizia Angelino Alfano, aveva bocciato nel 2007 alla Regione Campania che aveva provveduto con propria legge regionale. E questo sarà un problema per le imprese che non riescono a farsi pagare dalla sanità regionale. Si finisce con un taglio lineare (cioè non mirato a una riduzione delle risorse complessive) dell’8 per cento di alcune spese dei ministeri.
I CONTI. Più che una manovra all’altezza delle aspettative della Commissione europea e dei mercati finanziari sembra lo specchio della disperazione di una classe dirigente che non vuole ancora prendere del tutto atto della realtà e dei sacrifici necessari, quindi della necessità di un nuovo patto sociale. Per la prima volta nella storia delle manovre finanziarie non si conoscono i risparmi associati ad ogni misura, probabilmente perché il conto finale non è ancora stato fatto davvero e, sommando quello che già si conosce, si arriverà a stento a 20 miliardi di euro. Ne mancano quindi ancora almeno altri otto per arrivare vicino a quella che sarebbe la vera necessità per il solo 2011. Mentre infatti il governo continua a mantenere le sue previsioni di crescita per il 2011 all’1,4 per cento, le maggiori banche e istituzioni internazionali hanno abbassato le stime all’1,1 per cento per il prossimo biennio, riportando la lancetta dell’ammanco a 40 miliardi per due anni.
NUOVI CONDONI. Si capisce quindi perché in questi giorni si moltiplicano le voci di nuove misure straordinarie per aumentare il gettito che nel 2009 aveva retto solo grazie allo scudo fiscale. Le idee sono le solite: condoni edilizi, condoni fiscali per le imprese e via dicendo. Nessuna misura strutturale, nessun intervento per ridurre in modo permanente le spese nei prossimi anni. Si brancola nel buio con le mani in avanti sperando di non essere investiti da una crisi finanziaria che si avvicina a tutta forza. Chi sembra più consapevole del pericolo è proprio Tremonti che con i suoi scarni comunicati e le ripetute minacce di dimissioni, sapientemente fatte filtrare ai giornali, sembra oramai l’unico in grado di cambiare la rotta politica della manovra e del governo. Dopo le anticipazioni della manovra, Berlusconi ha subito smentito non il documento, ma i suoi effetti: “Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, ma cercheremo con ogni mezzo di combattere le spese eccessive e naturalmente l’evasione fiscale”. Ma il ministro del Tesoro è consapevole che i mercati concederanno una tregua di sei-dieci mesi ai titoli del debito pubblico italiano per poi verificare l’efficacia della manovra e la consistenza della ripresa economica. Tremonti sa anche che entrambi questi dati rischiano di essere negativi e che a quel punto sarà in evitabile una resa dei conti nel governo e nel paese. Il calcolo di sostenibilità ci dice che servono 60 miliardi in tre anni di minori spese (strutturali) o di maggiori entrate (anche queste strutturali), che il nostro tenore di vita dovrà abbassarsi del 20 per cento ed assomigliare, anche in termini di prezzi al consumo e degli immobili a quello della Germania. La manovra estiva è solo l’inizio.
sabato 22 maggio 2010
Uniti si. Ambigui e confusi no
Per questo noi insistiamo nel dire, come è scritto nel documento fondativo, che la Federazione della Sinistra deve essere costruita come l’unità della sinistra politica e sociale anticapitalista e che deve essere indipendente dal centrosinistra. Per questo ribadiamo, come ha votato a larghissima maggioranza il Cpn del Prc, che col centrosinistra si deve fare un accordo in difesa della Costituzione, di resistenza democratica al regime delle destre e di superamento del bipolarismo, ma non un accordo di governo. Per questo diciamo, sommessamente ma con fermezza, che parlare della Federazione come se questa avesse già unito il possibile (mentre molto resta da fare per costruirla come vero spazio pubblico aperto ai movimenti e ai protagonisti dei conflitti) proponendo poi l’unità con Sel e glissando sull’internità o meno al centrosinistra, è un grave errore.
Non di manovre trasversali delle correnti dei diversi partiti e non di suggestioni unitarie senza chiarezza abbiamo bisogno. Serve una prospettiva unitaria chiara su progetto e contenuti, a partire dalle cose che già abbiamo insieme deciso. Il corpo militante che in questi anni ha resistito e combattuto contro tutti e tutto per mantenere in vita Rifondazione, e che sarà presto chiamato a decidere nei congressi della Federazione e del partito, merita che il gruppo dirigente sia chiaro e non dilaniato da incomprensibili lotte correntizie.
Vietato parlare con la stampa Bavaglio a presidi e professori.
Si scatena il putiferio quando il coordinamento degli insegnanti modenesi Politeia viene a conoscenza dell’esistenza di questa circolare, non ancora resa pubblica da nessun preside, ma datata 27 aprile. La Cgil insorge: «Ritiro immediato della nota e dimissioni del direttore dell’USR», la richiesta del segretario generale Flc-Cgil Mimmo Pantaleo. Immediata la difesa del ministro Mariastella Gelmini: «Condivido e sostengo pienamente l’operato del direttore Limina che ha invitato tutto il personale della scuola a osservare un comportamento istituzionale - afferma il ministro - È lecito avere qualsiasi opinione ed esprimerla nei luoghi deputati al confronto e al dibattito. Quello che non è consentito è usare il mondo dell’istruzione per fini di propaganda politica: chi desidera fare politica si candidi alle elezioni e non strumentalizzi le istituzioni».
Tutto parte da Modena, dove alcuni insegnanti vengono a conoscenza dell’esistenza della circolare. «Qualche dirigente troppo zelante l’ha messa tra quelle visibili a tutti», riferisce un insegnante. Presa la palla al balzo di una manifestazione contro i tagli della riforma Gelmini che si è svolta a Modena giovedì, i docenti hanno reso pubblica la notizia e firmato una mozione per denunciare il «carattere intimidatorio e lo spirito antidemocratico della circolare che cerca di reprimere le legittime proteste del mondo della scuola». Fatto altrettanto grave, per i “prof” modenesi, quello di «far passare l’idea che i dirigenti, destinatari del documento, siano soggetti superiori di grado, quando in realtà, nel collegio docente, sono figure inter pares. Poi, vuoi per l’avidità di qualcuno, vuoi per il clima autoritario generale, passa l’idea di un ruolo diverso». La scuola, insomma, non è quella che dipingono Limina e il governo anche per Bruno Moretto della cellula bolognese del comitato Scuola e Costituzione: «Gli insegnanti sono autonomi: lo spirito dell’articolo 33 della Costituzione è quello di creare nella scuola un clima di confronto di posizioni». Meglio per il comitato che «Limina si occupi di ciò che gli compete e risponda ad esempio ai 600 bambini che a Bologna e provincia non avranno posto alla scuola materna l’anno prossimo».