domenica 14 agosto 2011

Ikea, perchè no?

E' vero, i terreni agricoli di San Martino in Campo, pur così vicini al Tevere e alla superstrada, tra Deruta e Ponte San Giovanni, non sono così pregiati come era scritto nel piano regolatore prima della variante urbanistica. Erano pregiati una volta, ma poi qualche capannone ormai chiuso, lottizzazioni edilizie fatte un po' a caso, piccole discariche e soprattutto l'abbandono, l'hanno reso più simile a tanti altri luoghi periferici del comune di Perugia. Nel piano regolatore gli regalarono questa tripla A ambientale solo perché non c'era di meglio e almeno un terreno di pregio si doveva pur indicare e poi, del resto, quelli che meritavano un riconoscimento così gratificante hanno fatto, con il tempo, una brutta fine. San Martino in campo, in ogni caso, e tutto quel territorio tra la vecchia Tiberina e la Marscianese e i suoi piccoli borghi con i cipressi e le ville di campagna, è ancora, insieme alla parte opposta del comune, a nord, verso colle Umberto e ai piedi di monte Tezio, tutto ciò che ci resta di storicamente significativo oltre il centro medievale. Anzi, è proprio questo territorio l'altra faccia della Perugia chiusa nelle sue mura e che ci rimanda l'antico confronto tra città e contado, tra le due storie che hanno definito insieme l'identità perugina. Per questo dovremmo tenerci stretti questi posti e dovremmo tutelarli esattamente come facciamo, o dovremmo fare, per il centro storico. Quindi, prima di chiederci perché dire di no all'arrivo di Ikea dovremmo provare a chiederci perché dovremmo dire di si e perché proprio in questa zona e non in un'altra. Quando l'insediamento della multinazionale svedese sarà completato, con le sue bandiere gialle, i parcheggi e i punti vendita, arriveranno altri supermercati, altri empori e chissà che altro ancora sino a quando avremo cementificato tutta la campagna. San Martino in Campo sarà così il lontano Far West conquistato, finalmente, la nuova frontiera del nostro modo di consumare. E di vivere. Così arriveranno migliaia di visitatori, sicuro, con l'inevitabile carico di traffico sulla superstrada e sulle residue strade di campagna, e gli ingorghi. Avremo Ponte San Giovanni stretto a nord dall'ipermercato coop e a sud da Ikea e tutti coloro che gli si aggrapperanno intorno. Perché non dovremmo dire di no a tutto questo? per i posti di lavoro, dicono, e poi avremmo il più grande emporio del mobile sotto casa. Un affare. I posti di lavoro, duecento, sono importanti, si capisce, tanto che la Cgil ha giudicato incomprensibili le resistenze di una parte, chissà quanto grande, dell'opinione pubblica oltre che degli imprenditori locali del mobile e dell'arredamento. Sui posti di lavoro non si può scherzare, giusto, soprattutto di questi tempi, e così al diavolo l'ambiente, l'identità dei luoghi e, figuriamoci, il paesaggio. Si mangia forse con il paesaggio? Va bene, lasciamo stare il paesaggio, il traffico e gli ingorghi e l'agricoltura e i borghi della piana del Tevere. Del resto, in queste zone non dovrebbe arrivare anche il nodo di Perugia e quindi altro traffico, altro inquinamento e altro cemento? Quanto vale allora, al netto del disastro ambientale, la partita Ikea? Quanti posti di lavoro perderemo in cambio di quelli guadagnati? possiamo rassegnarci a svendere il nostro territorio per continuare ad assumere commesse e magazzinieri? Anche i sindacati dovrebbero porsi almeno una domanda che, una volta, era obbligata, almeno per loro. Per quale modello di sviluppo stiamo lavorando? I tanti supermercati, più di quanti, forse, ne servirebbero, hanno creato ricchezza, migliorato la nostra qualità della vita, attirato turismo e interesse, promosso un circuito virtuoso di sviluppo? E' vero che con i centri commerciali e i tanti capannoni che hanno bruciato tutto il territorio, il comune di Perugia incassa un sacco di soldi con gli oneri urbanistici. Solo che questo fiume di denaro se ne va per risolvere i tanti problemi che si creano in questi posti e cioè viabilità, rotonde, servizi. Questo modello di sviluppo, i sindacati dovrebbero saperlo bene, è arrivato al capolinea ed è per questo che anche le persone meno avvedute finiscono, alla fine, col porsi una domanda semplice semplice: dove stiamo andando? Beh, ce lo dice la crisi di questi giorni. Il vecchio e caro consumismo è roba vecchia. A San Martino in Campo stanno per costruire non la città del futuro ma quella del passato. Il segretario della Cgil si fa una domanda che potrebbe sembrare retorica, ma non lo è affatto. Lui dice: se tutti hanno detto di si a Ikea, perché noi dovremmo dire di no? Intanto, alle ultime richieste di Ikea a Torino e a Pisa hanno detto proprio di no e in nome della tutela del territorio. Dunque, dovremmo almeno pensarci un attimo, fermarci a riflettere, ma non succederà. I tre comuni che confinano con l'affare Ikea, Perugia, Torgiano e Deruta, destra e sinistra, cinguettano insieme e parlano di impegni e interessi comuni. C'è da discutere dei duecento posti di lavoro e di come mettere a rendita altri terreni. Su queste cose non si scherza. Infatti non scherzano.
Renzo Massarelli renzo.massarelli@alice.it

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