A un paio d’ore dalla chiusura l’indice Dow Jones perde il 4,73%, ma peggio ancora fa l’S&P500, più rappresentativo perché – come dice la sigla – composto da 500 società quotate, che scende di oltre il 6%. Se non siamo al “panic selling”, vendite da panico, ci manca poco. Un disastro targato Standard & Poor’s? Niente affatto. C’è un preciso segnale che gli investitori o se ne infischiano di quello che pensa l’agenzia di rating, o l’avevano già dato per scontato. Mentre infatti le azioni scendono a capofitto, i prezzi del titoli del Tesoro Usa sono in rally, e segnano il massimo dall’ottobre scorso. I rendimenti di conseguenza sono ancora scesi e il decennale offre circa il 2,3%, mentre il bond a due anni è crollato allo 0,23%, addirittura sotto il massimo del range a cui la Fed finanzia il sistema, che come si ricorderà è tra zero e 0,25%. A cosa è dovuto dunque il crollo di Wall Street? Non è difficile trovare una risposta: all’economia che non si riprende, anzi, mostra segni preoccupanti di rallentamento, e stavolta non può certo ricevere stimoli dal bilancio pubblico, dove al contrario sono in corso tagli. Considerando poi che fino a pochi giorni fa gli indici erano ancora vicini ai massimi dal 2008, è facile concludere che molti investitori hanno guadagni da realizzare e si sono convinti che è qrrivato il momento di farlo, prima che sia troppo tardi. La grande paura adesso è che gli States cadano nella tanto temuta “double dip”, cioè di nuovo in recessione: e per giunta senza più munizioni per contrastarla. E con la disoccupazione già oggi oltre il 9%, non ci sarà di sicuro da stare allegri.
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