La piega che ha preso in Italia il confronto politico sulle decisioni da prendere per la salvaguardia dei conti pubblici è oziosa e demagogica: con la scusa della crisi e degli sprechi della politica e sotto dettatura dei poteri economici e finanziari si procede, a colpi di consenso di un’opinione pubblica disinformata ad arte, alla soppressione dei luoghi più vitali della democrazia, ben lungi dal toccare i privilegi più odiosi ed indecenti della politica e delle altre caste.
L’abolizione delle Province rientra in questa fattispecie. A seguito del presunto accordo sancito nel vertice tra PDL e Lega, il governo si appresta infatti alla loro soppressione, seppur per via costituzionale, ma senza quell’orizzonte riformatore che richiederebbe il riordino del sistema istituzionale dello Stato. Prosegue così l’attentato ai presidi della democrazia e della rappresentanza e così si procederà ad un ulteriore taglio ai servizi più prossimi ai cittadini. Dietro l’angolo c’è la privatizzazione definitiva dei servizi di trasporto pubblico locale e dei servizi per il mercato del lavoro come i Centri per l’impiego, c’è il benservito ai servizi e alle infrastrutture per la tutela ambientale, c’è la deregulation di un settore delicato e ad alto rischio truffe e sprechi come la formazione professionale, c’è l’ulteriore marginalizzazione dell’edilizia scolastica con gravi conseguenze alla sicurezza degli studenti, c’è l’uccisione delle politiche di promozione della coesione sociale, della cultura, del turismo e dello sport, c’è la decadenza delle infrastrutture con la fine delle funzioni amministrative per la gestione del trasporto pubblico extra urbano e per la gestione dei 125 mila chilometri di strade nazionali extraurbane, con gravi conseguenze sulla sicurezza sociale e su quegli investimenti pubblici necessari al rilancio dell’economia.
La storia anche recente ci racconta infatti che alla devoluzione di competenze e di funzioni ad altri Enti non corrisponde mai la parità e la congruità dei trasferimenti necessari al loro assolvimento, tanto meno quando, come in questo caso, scomparirà la cornice istituzionale e politica di riferimento. Ancora una volta saranno i cittadini a pagare il conto di scelte che si pretendono a contrasto dell’emergenza economica, ma che si ribalteranno nel loro esatto contrario.
E ciò avverrà senza che si produrranno risparmi significativi. La scelta del governo è solo un atto di pura propaganda. Serve a gettare fumo negli occhi degli italiani per non toccare i veri privilegi, le disuguaglianze sociali e di trattamento fiscale e per non operare l’unica forma di giustizia sociale possibile nei tempi duri che stiamo vivendo anche secondo la più eminente tradizione del pensiero liberale: grandi rendite e grandi patrimoni.
La misura del governo costerà cara alla democrazia e ai cittadini. Per che cosa? Per tagliare solo quel misero 5,5% dei cosiddetti costi della politica. Tale è infatti l’incidenza delle spese per gli eletti e per gli Organi istituzionali della Province italiane sul totale delle spese per il mantenimento delle Istituzioni nel nostro Paese: 113 milioni di euro per tutte le giunte e i consigli provinciali d’Italia rispetto ai 416 milioni di euro del solo Parlamento e su un totale di 2 miliardi e 54 milioni di euro di spesa pubblica (Fonte Siope/Istat). Non si tagliano le indennità indecenti dei manager pubblici, dei parlamentari, dei consiglieri regionali e dei consiglieri di amministrazione delle tante agenzie inventate, ma si taglia sulla carne viva della democrazia e dei servizi ai cittadini.
In Europa, in 23 Paesi su 25 ci sono le Province come enti amministrativi intermedi tra Regioni e Comuni, ma nessuno ha osato proporre la loro soppressione. Dopo che per tutti questi anni si è negata la crisi e si è continuato ad assaltare la diligenza della spesa pubblica da parte della politica di palazzo, il fatto che oggi, nel nostro Paese, per salvaguardare presuntivamente i conti pubblici e per sottostare alle imposizioni della BCE, si pensi ad una misura così drastica di soppressione dell’assetto istituzionale formatosi storicamente e previsto come agente per l’assolvimento dei compiti fondamentali della Repubblica, la dice lunga sulla qualità della nostra democrazia e sulla qualità della classe dirigente e di governo.
E la dice lunga sul carattere profondo del berlusconismo e dei populismi nati per suo effetto: quello che si vuole veramente non è tagliare la spesa pubblica, ma la democrazia italiana. La storia ci insegna che dalla crisi non si esce migliori e più forti con la riduzione degli spazi e dei tempi della democrazia. Ma con un di più di democrazia e con un di più di politica: quella buona che rappresenta l’interesse generale e si volge al bene comune dei cittadini. Proprio vero, però: la storia insegna, ma non ha scolari.
Luciano Della Vecchia, Assessore PRC provincia Perugia
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