di Dino Greco, Liberazione
Se mai vi fosse in giro qualcuno ancora ignaro di cosa bolle nel pentolone miasmatico della politica italiana, gli consiglieremmo di dedicare qualche attenzione all’esternazione con cui, dal lontano Michigan, Sergio Marchionne, il castigamatti della Fiom, il demolitore dei diritti sindacali e del contratto nazionale, infilza il morente e ormai inservibile governo italiano per spezzare una lancia in favore di quell’alternativa liberista in gestazione nelle retrovie del palazzo e dei poteri forti.
Noi ne parliamo da tempo e con solitaria insistenza, ma la convergenza di intenti è ampiamente uscita dallo stato di latenza e ci squaderna uno scenario ormai privo di ambiguità.
Semplicemente, si tratta di questo: l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler pensa, a ragione, che un governo di solidarietà nazionale, del quale faccia parte anche l’attuale opposizione parlamentare, sia non soltanto tollerabile, ma ampiamente desiderabile. Marchionne ha perfettamente capito che dal Pd non ha nulla, ma proprio nulla, da temere. Né a Torino né a Roma, né rispetto allo scontro ingaggiato contro il sindacato metalmeccanico, né con riguardo alle misure di politica economica a senso unico che un’amplissima maggioranza parlamentare è disposta a sostenere.
Il dibattito alla Camera e al Senato deve averlo vieppiù persuaso che il perimetro politico dentro il quale si consuma lo scontro fra governo e opposizione ha i confini di un bicchiere d’acqua. Dunque, via lo squalificato rottame che sgoverna a palazzo Chigi, fonte di insormontabili dissidi, e avanti chi rappresenti direttamente, senza più intermediari, il mondo in ebollizione del capitale industriale e finanziario. Con la benedizione del Capo dello Stato, nelle vesti di levatrice del “nuovo” corso politico, perorato nel nome della coesione nazionale e di un preteso “interesse generale”. Tuttavia, persistono delle difficoltà. Perché l’alternativa liberal-confindustriale a Berlusconi deve fare i conti con la resistenza strenua di quel coacervo di interessi, di vincoli personali, di compromessi innominabili, di ricatti reciproci che hanno ingessato e profondamente vulnerato la democrazia parlamentare.
Il vecchio è morente, ma il nuovo (si fa per dire) non può nascere, per parafrasare Gramsci. Mentre tutto, nella dimensione reale della vita, si deteriora e implode.
Paradossalmente, la renitenza di Berlusconi a varare una manovra-bis che acceleri il rientro dal debito, la sua ostinata rivendicazione della bontà ed efficacia delle misure sin qui adottate, indispettisce banche e Confindustria, consapevoli di trovarsi in una sorta di cul de sac e sempre più determinate a reclamare un approccio ben altrimenti radicale, tale cioè da tagliare con la spada la struttura della spesa sociale, del welfare, piuttosto che disseminare uno stillicidio di balzelli dall’effetto transitorio.
Piuttosto prima che poi, questo scontro interno alla destra precipiterà. Luca Cordero di Montezemolo, è già in corsia di sorpasso, con il Pd (e il sindacato tutto) pronti a donare il sangue. L’ex presidente dei padroni italiani ha recentemente rotto il silenzio per formulare, in partnership col ministro del Tesoro, una “modesta” proposta: costituzionalizzare il pareggio di bilancio, in ossequio ad una logica che più monetarista di così non si può. Non è difficile immaginare a chi sarà poi girato il conto.
Questa l’Italia (l’Europa e il Mondo) che sognano lor signori. Il capitalismo, come fine della storia.
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