di Roberta Fantozzi
su Liberazione del 13/10/2011
Il Forum di Liberazione
contribuisce a chiarire i nodi che ci troviamo davanti. Che riguardano,
in primis, l'analisi della crisi e il ruolo della politica in questo
contesto.
E' un tema che chiede di indagare fino in fondo sia le scelte che si sono determinate nella crisi, sia il modo in cui le diverse soggettività politiche, sindacali, di movimento, si rapportano a quelle scelte.
La domanda sul potere, ovvero sulla possibilità di incidere sui processi in atto, deve innanzitutto dare conto del contesto in cui operiamo. Uno sforzo necessario per evitare un duplice rischio: quello del soggettivismo o, all'opposto, dell'impotenza.
L'analisi del quadro ci dice che, in Occidente, la risposta alla crisi non ha comportato nessuna rimessa in discussione delle politiche che l'hanno prodotta, che anzi in Europa vengono riproposte con un inaudito salto di qualità. L'Euro Plus Pact non rappresenta la semplice continuazione dell'erosione del welfare e dei diritti del lavoro dei decenni alle nostre spalle, ma rappresenta la distruzione tout court del modello sociale europeo. La lettera della Bce è la diretta conseguenza di quella risposta: per l'Italia vent'anni di finanziarie per quarantacinque miliardi l'anno, mentre il vangelo neomercantilista chiede ai paesi indebitati il «rafforzamento della propria competitività» a colpi di distruzione della contrattazione collettiva e dei diritti del lavoro. Questo esito non è scritto in una sorta di oggettività dell'economico, è l'approdo a cui è giunta la costruzione liberista dell'Europa. E' un quadro ad altissima instabilità di cui sono evidenti le contraddizioni: il carattere recessivo di queste scelte, l'avvitarsi della crisi su di sé, l'"esempio"greco davanti a noi. Il punto è tuttavia se è ipotizzabile, in questo contesto, la riedizione della proposta politica del 2006. E' curioso che Cesare Salvi riduca la discussione tra Nuovo Ulivo e Fronte democratico ad una disputa nominalistica, che in sè sarebbe davvero risibile. Il punto riguarda invece quel che ha significato il ciclo dei governi dell'Ulivo nel nostro paese e su scala europea. E' stato il ciclo del social liberismo, che ha costruito l'Europa "bipartisan" nel pieno dispiegarsi dell'egemonia neoliberista, puntando a temperare quelle politiche sul versante redistributivo. Nella situazione attuale, con i caratteri di drammatizzazione che ha, occorrerebbe oggi più di ieri la capacità di rimettere in discussione l'impianto di quelle politiche. Invece, come segnala Bertinotti, gli approdi in Francia e Germania delle socialdemocrazie sono nella direzione della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. In Italia il Pd è attraversato da un dibattito reale sulle politiche europee con cui occorre interagire, ma il fatto stesso che almeno metà del partito sia a favore di un governo di "responsabilità" la dice lunga sulla possibilità che, anche battuta quell'ipotesi regressiva, vi siano le condizioni per comuni approdi di governo. Anche perché il prezzo che la sinistra ha pagato per quei tentativi, è stato salatissimo. Lo scompaginamento del proprio blocco sociale di riferimento e la perdita di consensi fino all'estromissione dal parlamento non sono un'altra storia. La "nostra politica", quella della sinistra di alternativa, deve dunque porsi il problema dell'efficacia in questo contesto. Se da un lato il Fronte democratico risponde all'esigenza di cacciare Berlusconi, dall'altro è evidente che si tratta di conquistare obiettivi socialmente qualificanti per il dopo Berlusconi. E' la domanda più che legittima posta da Landini. La risposta è tutt'altro che semplice, né si può affidare alla riedizione di scenari già vissuti, ma alla capacità di cogliere le novità positive che esistono. E' l'impegno per sviluppare e radicare un nuovo movimento antiliberista a partire dal 15 ottobre. E' la scelta consapevole di lavorare per la connessione permanente tra i movimenti, perché si costruisca nella società una nuova capacità di conflitto e di progetto. E' il tema della costruzione di un polo politico della sinistra di alternativa. E' la proposta di un diverso modo di concepire la stessa discussione su nodi programmatici decisivi, in cui è centrale quel richiamo alla democrazia, vero e proprio filo rosso del dibattito del Forum. Le sconfitte che le destre hanno subito in questi mesi sono avvenute sempre sull'onda di nuove forme di protagonismo e partecipazione. Questo protagonismo deve poter pesare sempre perché è il solo modo per conquistare punti reali di avanzamento. E' questo il centro della proposta delle "primarie di programma": la rivendicazione che su nodi qualificanti, dalla patrimoniale al contrasto alla precarietà, ci possano essere pronunciamenti popolari che rompano la delega. Come lo è la messa in campo del referendum sull'articolo 8. Non servono i consueti tavoli con al massimo un meccanismo di consultazione, quelli fatti a decine per il programma dell'Unione. Come non serve la delega al leader salvifico. Serve il vincolo che rompe la delega.
E' un tema che chiede di indagare fino in fondo sia le scelte che si sono determinate nella crisi, sia il modo in cui le diverse soggettività politiche, sindacali, di movimento, si rapportano a quelle scelte.
La domanda sul potere, ovvero sulla possibilità di incidere sui processi in atto, deve innanzitutto dare conto del contesto in cui operiamo. Uno sforzo necessario per evitare un duplice rischio: quello del soggettivismo o, all'opposto, dell'impotenza.
L'analisi del quadro ci dice che, in Occidente, la risposta alla crisi non ha comportato nessuna rimessa in discussione delle politiche che l'hanno prodotta, che anzi in Europa vengono riproposte con un inaudito salto di qualità. L'Euro Plus Pact non rappresenta la semplice continuazione dell'erosione del welfare e dei diritti del lavoro dei decenni alle nostre spalle, ma rappresenta la distruzione tout court del modello sociale europeo. La lettera della Bce è la diretta conseguenza di quella risposta: per l'Italia vent'anni di finanziarie per quarantacinque miliardi l'anno, mentre il vangelo neomercantilista chiede ai paesi indebitati il «rafforzamento della propria competitività» a colpi di distruzione della contrattazione collettiva e dei diritti del lavoro. Questo esito non è scritto in una sorta di oggettività dell'economico, è l'approdo a cui è giunta la costruzione liberista dell'Europa. E' un quadro ad altissima instabilità di cui sono evidenti le contraddizioni: il carattere recessivo di queste scelte, l'avvitarsi della crisi su di sé, l'"esempio"greco davanti a noi. Il punto è tuttavia se è ipotizzabile, in questo contesto, la riedizione della proposta politica del 2006. E' curioso che Cesare Salvi riduca la discussione tra Nuovo Ulivo e Fronte democratico ad una disputa nominalistica, che in sè sarebbe davvero risibile. Il punto riguarda invece quel che ha significato il ciclo dei governi dell'Ulivo nel nostro paese e su scala europea. E' stato il ciclo del social liberismo, che ha costruito l'Europa "bipartisan" nel pieno dispiegarsi dell'egemonia neoliberista, puntando a temperare quelle politiche sul versante redistributivo. Nella situazione attuale, con i caratteri di drammatizzazione che ha, occorrerebbe oggi più di ieri la capacità di rimettere in discussione l'impianto di quelle politiche. Invece, come segnala Bertinotti, gli approdi in Francia e Germania delle socialdemocrazie sono nella direzione della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. In Italia il Pd è attraversato da un dibattito reale sulle politiche europee con cui occorre interagire, ma il fatto stesso che almeno metà del partito sia a favore di un governo di "responsabilità" la dice lunga sulla possibilità che, anche battuta quell'ipotesi regressiva, vi siano le condizioni per comuni approdi di governo. Anche perché il prezzo che la sinistra ha pagato per quei tentativi, è stato salatissimo. Lo scompaginamento del proprio blocco sociale di riferimento e la perdita di consensi fino all'estromissione dal parlamento non sono un'altra storia. La "nostra politica", quella della sinistra di alternativa, deve dunque porsi il problema dell'efficacia in questo contesto. Se da un lato il Fronte democratico risponde all'esigenza di cacciare Berlusconi, dall'altro è evidente che si tratta di conquistare obiettivi socialmente qualificanti per il dopo Berlusconi. E' la domanda più che legittima posta da Landini. La risposta è tutt'altro che semplice, né si può affidare alla riedizione di scenari già vissuti, ma alla capacità di cogliere le novità positive che esistono. E' l'impegno per sviluppare e radicare un nuovo movimento antiliberista a partire dal 15 ottobre. E' la scelta consapevole di lavorare per la connessione permanente tra i movimenti, perché si costruisca nella società una nuova capacità di conflitto e di progetto. E' il tema della costruzione di un polo politico della sinistra di alternativa. E' la proposta di un diverso modo di concepire la stessa discussione su nodi programmatici decisivi, in cui è centrale quel richiamo alla democrazia, vero e proprio filo rosso del dibattito del Forum. Le sconfitte che le destre hanno subito in questi mesi sono avvenute sempre sull'onda di nuove forme di protagonismo e partecipazione. Questo protagonismo deve poter pesare sempre perché è il solo modo per conquistare punti reali di avanzamento. E' questo il centro della proposta delle "primarie di programma": la rivendicazione che su nodi qualificanti, dalla patrimoniale al contrasto alla precarietà, ci possano essere pronunciamenti popolari che rompano la delega. Come lo è la messa in campo del referendum sull'articolo 8. Non servono i consueti tavoli con al massimo un meccanismo di consultazione, quelli fatti a decine per il programma dell'Unione. Come non serve la delega al leader salvifico. Serve il vincolo che rompe la delega.
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