Quando qualche giorno fa il "Corriere" pubblicò la lettera
“confidenziale” della Banca centrale europea al governo italiano, un
passaggio, più di altri, ci colpì particolarmente. Quello in cui
l’illustre coppia Trichet-Draghi, scartando dal tema del pareggio di
bilancio e delle misure necessarie per ottenerlo, “piegava” il proprio
argomentare, la propria disinteressata profusione di saggezza sulla
questione della produttività del sistema-Italia. Sul quale, a loro dire,
graverebbero, come palle al piede, il «modello di contrattazione
collettiva vigente» e «le norme che in Italia regolano l’assunzione e il
licenziamento dei dipendenti».
I due saggi della Bce non hanno usato perifrasi. Hanno detto, pari pari, che il contratto nazionale di lavoro è un arnese consunto, da abbandonare in favore di più duttili contratti di impresa, così da tagliare (letteralmente, “ritagliare”, come un abito confezionato su misura, ndr) i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende». E poiché non vi è nulla di più aderente ai desiderata di ogni singolo padrone che potersi liberare, senza tante discussioni, dei dipendenti sgraditi, ecco servita l’altra soluzione: via l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abolizione della “giusta causa” e ripristino del licenziamento, ovvero “al cenno”, retaggio medioevale eretto a simbolo della assoluta discrezionalità del signore nei confronti del suo servo, esito salvifico che rinvigorirebbe, secondo la Bce, le opportunità competitive della nostra sfibrata economia.
Corroborati da queste soavi parole - giunte come musica agli orecchi di molti imprenditori che hanno sino ad ora subito come un’insopportabile prepotenza quella loro inflitta dagli esiti (peraltro modesti) della contrattazione collettiva e dai vincoli (pure essi ormai laschi) imposti al loro potere dal giuslavorismo moderno - i campioni della nostra borghesia industriale sono andati all’arrembaggio. Non Marchionne, che la propria linea costituente di nuovi rapporti sociali l’aveva già praticata sul campo, senza attendere imboccate, facendo tabula rasa, nelle proprie aziende, di tutti gli accordi sindacali stipulati dal ’45 sino ad oggi. Ma tutta la marmaglia pseudoimprenditoriale che crede di poter guadagnare punti nella competizione internazionale, o semplicemente di tirare a campare, sostituendo ricerca, investimenti e rischio industriale e stringendo il cappio al collo dei propri dipendenti. La fuga da Confindustria (proprio mentre questa sottoscrive con tutti i sindacati intese che proceduralizzano deroghe ai contratti nazionali di lavoro) racconta della tentazione di molte imprese di affrancarsi da un intero dispositivo di regole, negoziali e di legge, in modo da eludere del tutto le responsabilità proprie e quelle del personale politico che in nome loro ha sin qui gestito il potere politico.
Quando Guidalberto Guidi, presidente di Ducati Energia ed ex direttore del Sole 24 Ore, afferma solennemente che «lo Statuto dei lavoratori ha introdotto nel sistema-Italia un virus che ha minato la possibilità di fare impresa» e che ora occorre «prendere quella legge e buttarla nel cestino», vuol dire che le cose sono andate molto avanti. Vuol dire che le classi dominanti del nostro Paese, con il placet della massima autorità monetaria europea e della Ue, stanno imboccando la strada di una violenta sterzata reazionaria, fatalmente destinata ad unire al drammatico impoverimento sociale un colpo letale alla democrazia e ad archiviare, insieme al sistema di protezione sociale, l’intero impianto della Costituzione.
Farebbe tenerezza - se non prevalesse la rabbia - la stupefacente ingenuità che spinge Vincenzo Scudiere (Cgil) a fare spallucce e a liquidare il problema perché - così sostiene - «Marchionne è un caso a sé». Ebbene, c’è un intero blocco finanziario, industriale e politico che sta smontando, pezzo dopo pezzo, le conquiste sociali e civili maturate nella parte migliore della storia repubblicana. Al punto che persino il vincolo associativo imprenditoriale pare un limite insopportabile per chi insegue la totale libertà d’impresa. La Bce appone il proprio suggello a questa carica demolitrice e ancora, a sinistra, si incontra chi non capisce. O peggio. Poi, sono personalmente convinto che gli avventurieri che si ingaggiano in questa definitiva resa dei conti si sbaglino.
Nonostante la crisi, nonostante i ricatti della Bce, nonostante la protervia antipopolare del governo giochino in loro favore. Stiano attenti, lor signori. Se vogliono scatenare il Vietnam, fabbrica per fabbrica, potrebbe loro capitare di andare incontro ad un duro risveglio.
I due saggi della Bce non hanno usato perifrasi. Hanno detto, pari pari, che il contratto nazionale di lavoro è un arnese consunto, da abbandonare in favore di più duttili contratti di impresa, così da tagliare (letteralmente, “ritagliare”, come un abito confezionato su misura, ndr) i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende». E poiché non vi è nulla di più aderente ai desiderata di ogni singolo padrone che potersi liberare, senza tante discussioni, dei dipendenti sgraditi, ecco servita l’altra soluzione: via l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, abolizione della “giusta causa” e ripristino del licenziamento, ovvero “al cenno”, retaggio medioevale eretto a simbolo della assoluta discrezionalità del signore nei confronti del suo servo, esito salvifico che rinvigorirebbe, secondo la Bce, le opportunità competitive della nostra sfibrata economia.
Corroborati da queste soavi parole - giunte come musica agli orecchi di molti imprenditori che hanno sino ad ora subito come un’insopportabile prepotenza quella loro inflitta dagli esiti (peraltro modesti) della contrattazione collettiva e dai vincoli (pure essi ormai laschi) imposti al loro potere dal giuslavorismo moderno - i campioni della nostra borghesia industriale sono andati all’arrembaggio. Non Marchionne, che la propria linea costituente di nuovi rapporti sociali l’aveva già praticata sul campo, senza attendere imboccate, facendo tabula rasa, nelle proprie aziende, di tutti gli accordi sindacali stipulati dal ’45 sino ad oggi. Ma tutta la marmaglia pseudoimprenditoriale che crede di poter guadagnare punti nella competizione internazionale, o semplicemente di tirare a campare, sostituendo ricerca, investimenti e rischio industriale e stringendo il cappio al collo dei propri dipendenti. La fuga da Confindustria (proprio mentre questa sottoscrive con tutti i sindacati intese che proceduralizzano deroghe ai contratti nazionali di lavoro) racconta della tentazione di molte imprese di affrancarsi da un intero dispositivo di regole, negoziali e di legge, in modo da eludere del tutto le responsabilità proprie e quelle del personale politico che in nome loro ha sin qui gestito il potere politico.
Quando Guidalberto Guidi, presidente di Ducati Energia ed ex direttore del Sole 24 Ore, afferma solennemente che «lo Statuto dei lavoratori ha introdotto nel sistema-Italia un virus che ha minato la possibilità di fare impresa» e che ora occorre «prendere quella legge e buttarla nel cestino», vuol dire che le cose sono andate molto avanti. Vuol dire che le classi dominanti del nostro Paese, con il placet della massima autorità monetaria europea e della Ue, stanno imboccando la strada di una violenta sterzata reazionaria, fatalmente destinata ad unire al drammatico impoverimento sociale un colpo letale alla democrazia e ad archiviare, insieme al sistema di protezione sociale, l’intero impianto della Costituzione.
Farebbe tenerezza - se non prevalesse la rabbia - la stupefacente ingenuità che spinge Vincenzo Scudiere (Cgil) a fare spallucce e a liquidare il problema perché - così sostiene - «Marchionne è un caso a sé». Ebbene, c’è un intero blocco finanziario, industriale e politico che sta smontando, pezzo dopo pezzo, le conquiste sociali e civili maturate nella parte migliore della storia repubblicana. Al punto che persino il vincolo associativo imprenditoriale pare un limite insopportabile per chi insegue la totale libertà d’impresa. La Bce appone il proprio suggello a questa carica demolitrice e ancora, a sinistra, si incontra chi non capisce. O peggio. Poi, sono personalmente convinto che gli avventurieri che si ingaggiano in questa definitiva resa dei conti si sbaglino.
Nonostante la crisi, nonostante i ricatti della Bce, nonostante la protervia antipopolare del governo giochino in loro favore. Stiano attenti, lor signori. Se vogliono scatenare il Vietnam, fabbrica per fabbrica, potrebbe loro capitare di andare incontro ad un duro risveglio.
Dino Greco, Liberazione
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