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Gli elementi per la
formalizzazione della crisi di governo ci sono tutti: il potente
ministro economico ribelle, la maggioranza che si sfalda proprio
dall’interno del suo più grande partito, quello peraltro del presidente
del Consiglio, e la tematica su cui il governo è stato battuto alla
Camera 290 a 290 voti: il primo articolo del bilancio dello Stato.
Siamo, quindi, quasi alla formalizzazione istituzionale della crisi di
un governo che continua a devastare il Paese con misure antipopolari,
liberiste e prive di qualunque scrupolo per le persone maggiormente
colpite dalla violenta turbinazione dei capitali e dalle bolle
speculative di mezzo mondo.
Ciò che preoccupa ora, nel momento di transizione e di agonia di queste ultime (speriamo…) ore dell’esecutivo berlusconiano, è ciò che succederà quando la crisi sarà decretata o dalla mancata fiducia delle Camere o da una spontanea ammissione dell’impotenza del governo e quindi dalla rassegnazione delle dimissioni da parte del suo capo e di tutti i ministri.
Gli scenari si ripetono, come a teatro si ripete un’opera: si alza il sipario del Quirinale e, secondo Costituzione, il presidente Napolitano deciderà se affidarsi ad un nuovo tentativo di fiducia delle Camere, ad un nuovo incarico a Berlusconi stesso o ad un governo guidato da una figura, si dice in questi casi, “tecnica”, quindi una sorta di amministrazione straordinaria degli affari della Repubblica, della sua ormai dimenticata stabilità sociale.
Proprio il governo tecnico è e deve essere, per chi ha a cuore le sorti del Paese e dei ceti meno fortunati, prima di tutto i lavoratori e le lavoratrici, uno spauracchio da evitare. Confindustria, del resto, preme per un governo lontano dall’impostazione tremontiana, ma fedelissimo ai princìpi del mercato e ad una rivalutazione dell’aziendalismo italiano nei confronti della deflazione economica, della crisi dei bassi salari e della più generale crisi mondiale che si sta abbattendo anche sull’Italia senza che le movimentazioni speculative dei padroni riescano a fermarla.
La disperazione sociale si fa sempre più sentire, i tagli del governo attuale anche. Gli enti locali non hanno di che governare i loro territori e devono tagliare, tagliare e tagliare ancora. Magari i servizi sociali indispensabili; magari proprio a cominciare da quello che è un servizio non decurtabile: la sanità.
Il padronato italiano sente non l’esigenza, bensì il dovere di classe di compattarsi attorno ad una figura come il già amministratore di Unicredit Alessandro Profumo, del resto gradito anche al centrosinistra democratico. Chi meglio di un uomo di affari può fare nuovi affari per le tasche di lor signori? Chi può provare a calmare il conflitto sociale con qualche riforma di struttura e dare alle aziende capitanate da Emma Marcegaglia una protezione dalla crisi economica causata proprio dai capitali?
Berlusconi è una pietosa candela al suo termine, con una fiammella di protezione dei propri esclusivi gruppi commerciali che si sta consumando al mancare dell’ossigeno dei voti parlamentari. La borghesia ha cambiato cavallo e persino Scajola ha capito che se la vuole scampare e rimanere nell’agone dell’affarismo, deve abbandonare la nave che affonda. Lo hanno capito anche i cosiddetti “Responsabili”, che tutto sono tranne che questo, tanto che il loro guru Domenico Scilipoti non ha votato e ha contribuito allo stallo creatosi alla Camera dei Deputati sulla legge di bilancio.
Insomma, lo stanno capendo in molti: Beppe Pisanu, Gianfranco Miccichè e via dicendo. Potrà essere che il governo si riprenda e si ricompatti. Iddio solo sa di cosa è capace un Berlusconi ferito politicamente così in modo grave da esprimere tutte le sue energie (e i suoi denari) nel salvataggio disperato di un esecutivo che somiglia molto ad un “dead man walking”, un uomo morto che cammina.
Da questo inverno della demorazia dobbiamo uscire. Ma senza una alternativa di sinistra che si concretizzi con un centro democratico e antifascista in una alleanza di salute pubblica per battere le destre, non ci può essere miglioramento delle condizioni individuali e sociali della popolazione più indigente, povera e che, di giorno in giorno, rientra in sempre maggior numero nelle condizioni standard per essere definita tale.
La strada del governo tecnico è insostenibile, ma è evidente che la minoranza del Partito Democratico punta senza alcun tentennamento a questa soluzione, mentre Bersani si trova alle prese con un nodo gordiano che rischia di mettere in difficoltà l’asse portante dei democratici basato sulla pacificazione sociale, sulla condivisione della crisi in egual modo da parte di padroni e lavoratori.
Un interclassismo di pessimo cabotaggio che resta nel solco dell’indistinguibilità di linea del PD in merito alla politica economica: o anzi al fin troppo distinguibile avvicinamento al Terzo Polo per esprimere una maggioranza tutta nuova, scevra da condizionamenti berlusconiani, leghisti o scilipotisti, per relegare ancora una volta i diritti sociali nell’angolo sacrificandoli alle esigenze del mercato.
Se ne potrebbe fare un discorso filosofico-scientifico, dicendo che la ricchezza la producono i lavoratori e non i padroni, ma risulterei certamente desueto, anacronistico e poco pragmatico. Soprattutto ad un guro bolscevico e di sinistra come Pietro Ichino che, prontamente, nella riunione dei MoDem di questi giorni è stato definito da Veltroni: “Colui che esprime le parole più di sinistra” in questa fase. Buona notte!
Ciò che preoccupa ora, nel momento di transizione e di agonia di queste ultime (speriamo…) ore dell’esecutivo berlusconiano, è ciò che succederà quando la crisi sarà decretata o dalla mancata fiducia delle Camere o da una spontanea ammissione dell’impotenza del governo e quindi dalla rassegnazione delle dimissioni da parte del suo capo e di tutti i ministri.
Gli scenari si ripetono, come a teatro si ripete un’opera: si alza il sipario del Quirinale e, secondo Costituzione, il presidente Napolitano deciderà se affidarsi ad un nuovo tentativo di fiducia delle Camere, ad un nuovo incarico a Berlusconi stesso o ad un governo guidato da una figura, si dice in questi casi, “tecnica”, quindi una sorta di amministrazione straordinaria degli affari della Repubblica, della sua ormai dimenticata stabilità sociale.
Proprio il governo tecnico è e deve essere, per chi ha a cuore le sorti del Paese e dei ceti meno fortunati, prima di tutto i lavoratori e le lavoratrici, uno spauracchio da evitare. Confindustria, del resto, preme per un governo lontano dall’impostazione tremontiana, ma fedelissimo ai princìpi del mercato e ad una rivalutazione dell’aziendalismo italiano nei confronti della deflazione economica, della crisi dei bassi salari e della più generale crisi mondiale che si sta abbattendo anche sull’Italia senza che le movimentazioni speculative dei padroni riescano a fermarla.
La disperazione sociale si fa sempre più sentire, i tagli del governo attuale anche. Gli enti locali non hanno di che governare i loro territori e devono tagliare, tagliare e tagliare ancora. Magari i servizi sociali indispensabili; magari proprio a cominciare da quello che è un servizio non decurtabile: la sanità.
Il padronato italiano sente non l’esigenza, bensì il dovere di classe di compattarsi attorno ad una figura come il già amministratore di Unicredit Alessandro Profumo, del resto gradito anche al centrosinistra democratico. Chi meglio di un uomo di affari può fare nuovi affari per le tasche di lor signori? Chi può provare a calmare il conflitto sociale con qualche riforma di struttura e dare alle aziende capitanate da Emma Marcegaglia una protezione dalla crisi economica causata proprio dai capitali?
Berlusconi è una pietosa candela al suo termine, con una fiammella di protezione dei propri esclusivi gruppi commerciali che si sta consumando al mancare dell’ossigeno dei voti parlamentari. La borghesia ha cambiato cavallo e persino Scajola ha capito che se la vuole scampare e rimanere nell’agone dell’affarismo, deve abbandonare la nave che affonda. Lo hanno capito anche i cosiddetti “Responsabili”, che tutto sono tranne che questo, tanto che il loro guru Domenico Scilipoti non ha votato e ha contribuito allo stallo creatosi alla Camera dei Deputati sulla legge di bilancio.
Insomma, lo stanno capendo in molti: Beppe Pisanu, Gianfranco Miccichè e via dicendo. Potrà essere che il governo si riprenda e si ricompatti. Iddio solo sa di cosa è capace un Berlusconi ferito politicamente così in modo grave da esprimere tutte le sue energie (e i suoi denari) nel salvataggio disperato di un esecutivo che somiglia molto ad un “dead man walking”, un uomo morto che cammina.
Da questo inverno della demorazia dobbiamo uscire. Ma senza una alternativa di sinistra che si concretizzi con un centro democratico e antifascista in una alleanza di salute pubblica per battere le destre, non ci può essere miglioramento delle condizioni individuali e sociali della popolazione più indigente, povera e che, di giorno in giorno, rientra in sempre maggior numero nelle condizioni standard per essere definita tale.
La strada del governo tecnico è insostenibile, ma è evidente che la minoranza del Partito Democratico punta senza alcun tentennamento a questa soluzione, mentre Bersani si trova alle prese con un nodo gordiano che rischia di mettere in difficoltà l’asse portante dei democratici basato sulla pacificazione sociale, sulla condivisione della crisi in egual modo da parte di padroni e lavoratori.
Un interclassismo di pessimo cabotaggio che resta nel solco dell’indistinguibilità di linea del PD in merito alla politica economica: o anzi al fin troppo distinguibile avvicinamento al Terzo Polo per esprimere una maggioranza tutta nuova, scevra da condizionamenti berlusconiani, leghisti o scilipotisti, per relegare ancora una volta i diritti sociali nell’angolo sacrificandoli alle esigenze del mercato.
Se ne potrebbe fare un discorso filosofico-scientifico, dicendo che la ricchezza la producono i lavoratori e non i padroni, ma risulterei certamente desueto, anacronistico e poco pragmatico. Soprattutto ad un guro bolscevico e di sinistra come Pietro Ichino che, prontamente, nella riunione dei MoDem di questi giorni è stato definito da Veltroni: “Colui che esprime le parole più di sinistra” in questa fase. Buona notte!
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