La
prima notizia è che a Roma sono scese in piazza 500.000 persone, di cui
tantissimi giovani. E’ un numero enorme, che rappresenta la realtà di
un Paese che ha da molto superato il livello di sopportazione rispetto
al suo governo e – quel che è forse ancora più importante – rispetto
alle politiche neoliberiste che oggi sta attuando Berlusconi ma che
domani potrebbe mettere in pratica qualsiasi altro governo. Esiste cioè
una insofferenza nei confronti di questo sistema, delle sue crisi e
delle sue ingiustizie, della sua violenza (che è la vera violenza, non
dimentichiamocelo mai, quella che uccide e rende difficile se non
impossibile vivere, giorno dopo giorno) che è grande e che va
valorizzata in tutta la sua eccezionalità.
La seconda notizia è che, ovviamente, di
questo non si parla. Non se ne parla nelle televisioni, non se ne parla
nelle radio e se ne parla in parte solo sulla rete dove, per fortuna,
l’informazione è più libera e le menzogne hanno le gambe più corte. Non
si parla delle nostre ragioni, della forza numerica con la quale le
abbiamo sostenute. E si parla di altro: delle violenze, delle auto
bruciate, dei bancomat assaltati, della camionetta dei carabinieri data
alle fiamme.Voglio dire con estrema chiarezza
che tutto quello che è successo mi ripugna perché penso sia distante
anni luce dall’idea di società che abbiamo in mente e anche dall’idea di
rivolta e di rivoluzione che vogliamo costruire. Non ha alcun senso
agire in questa maniera, con i volti coperti e le bombe carta (una delle
quali ha colpito alla mano un manifestante in via Cavour, provocandogli
la perdita di due dita della mano).
Vorrei capire chi si nasconde dietro
questi passamontagna e che, con i propri gesti vigliacchi, sta
occultando le nostre ragioni, fornendo tutti i pretesti possibili e
immaginabili alle destre, alla stampa e anche al ventre molle di questo
Paese per tentare di cacciarci sempre più nell’angolo. E tanta più
indignazione mi provocano queste persone quanto più vedo che provano ad
associare alle loro violenze il nome di Carlo Giuliani, e cioè il nome
di un ragazzo la cui vita e il cui sacrificio ci consegnano tutt’altri
insegnamenti.
Ma voglio dire con altrettanta nettezza
che quello che abbiamo visto in piazza questo 15 ottobre è inaccettabile
sotto un altro punto di vista. La gestione dell’ordine pubblico è
stata, da metà pomeriggio in poi, semplicemente vergognosa, indegna di
un Paese civile.
Mi si deve spiegare con quale diritto i
blindati della polizia possono sfrecciare a 80-100 km all’ora in piazza
San Giovanni rincorrendo gruppi di ragazzi inermi. Con quale diritto in
una di queste operazioni la polizia ha deciso di investire un ragazzo
che, in queste ore, è al pronto soccorso in codice rosso. Mi si deve
spiegare con quale diritto la polizia può entrare negli ospedali di Roma
e identificare i feriti, manifestanti pacifici, scavalcando con la
forza e l’arroganza i medici che provano ad opporsi.
Mi si deve spiegare come è possibile che
le forze di polizia, che insieme ai servizi sicuramente erano al
corrente da settimane di tutto quello che era in preparazione in tutta
Italia, abbiano lasciato partecipare e scorrazzare liberamente nel
corteo 500, 1000 persone incappucciate, tutte vestite nella stessa
identica maniera, con le stesse spranghe e le stesse mazze.
Mi si deve spiegare come è possibile che
– come hanno testimoniato numerosi compagni in queste ore – decine di
squadristi di estrema destra, per esempio a via dei Serpenti,
stazionassero a fianco delle forze di polizia mentre a pochi metri gli
stessi incappucciati mettevano a ferro e fuoco, indisturbati, la città.
Mi si deve spiegare come sia possibile che il compito di allontanare
questi soggetti dal corteo sia stato totalmente demandato ai
manifestanti stessi, a rischio della propria incolumità. Ma nel nostro
Paese a cosa servono allora le forze dell’ordine se non a tutelare il
diritto di manifestare pacificamente e liberamente come è garantito
dalla nostra Costituzione? Penso che questo sia un problema di primo
ordine, che andrebbe finalmente posto con forza nel dibatto pubblico del
Paese, perché non ci meritiamo corpi e apparati di polizia e di
sicurezza così lontani da uno Stato di diritto e da un regime
democratico. Noi lo facciamo chiedendo immediatamente le dimissioni del
ministro dell’Interno, primo responsabile di quello che è accaduto in
piazza.
Detto questo dobbiamo guardare a noi
stessi e pensare anche ai nostri limiti. Perché se un movimento così
imponente si fa schiacciare e annullare, nelle sue ragioni e nella sua
visibilità, da questa tenaglia mortifera di repressione e violenza, vuol
dire che il movimento è fragile. Non ha una testa in grado di guidare
una fase così delicata come quella nella quale ci stiamo avventurando ed
evidentemente non ha un corpo in grado di espellere da sé le tossine
che questa fase sta generando.
E ciò è ancora più drammatico se
riteniamo, come io penso, che questo movimento debba giocare nei
prossimi anni un ruolo importante nella rigenerazione e nel rinnovamento
della sinistra italiana e mondiale. Perché, per sedimentare istituzioni
permanenti di movimento, testa e corpo servono eccome. Interroghiamoci,
facciamolo tutti insieme, creiamo nei prossimi giorni e nelle prossime
settimane in ogni territorio momenti di incontro, di confronto e di
riflessione collettiva, provando a mettere in fila quei punti fermi da
cui vogliamo provare a ripartire.
Simone Oggionni, www.reblab.it
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