Centinaia di persone riempiono il teatro Ambra
Jovinelli di Roma per lanciare la campagna “Noi il debito non lo
paghiamo”. Indicato il programma politico e di lavoro. Il 15 ottobre in
piazza. A dicembre una nuova assemblea nazionale per verificare come si è
lavorato. Sta nascendo qualcosa di interessante.
Un “veterano” del movimento a cui chiedo di esprimere un giudizio
sull’assemblea che si è appena conclusa al Teatro Ambra Jovinelli di
Roma mi spiazza con una valutazione piuttosto originale: “questo è un
evento che segna una rottura e un inizio”. Perché rottura e quale
inizio? “La rottura è quella di un tabù sul fatto che le imposizioni
dell’Unione Europea, come quelle della Banca d’Italia, nel nostro paese
non vengono mai messe in discussione, neanche nella sinistra; l’inizio
sta nel fatto che soggetti piuttosto differenti si sono riuniti e,
miracolo, si sono dati cinque punti di un programma su cui proseguire”.
Il mio interlocutore di assemblee così ne ha visto e fatte decine ma,
confessa, raramente sono andate oltre la loro conclusione o la prima
riunione di bilancio. “E’ la maledizione della frantumazione che ci
perseguita”. Adesso, forse, i diktat della Banca Centrale Europea e una
crisi economica e sociale che morde senza pietà lavoratori, disoccupati,
giovani, donne, pensionati, immigrati stanno costringendo quelli che
intendono “rompere” la normalizzazione del quadro politico e rimettere
al centro il conflitto sociale, a guardarsi in faccia e a vedere come
possono agire insieme per resistere e magari spostare un po’ in avanti
la resistenza agli effetti antipopolari della crisi.
Il clima davanti all’Ambra Jovinelli è quello dei grandi eventi
politici. Lo si intuisce dalla miriade di fogli, volantini, giornali,
banchetti che assediano la sala dell’assemblea all’esterno e
all’interno. Qualcuno sbuffa un po’ disperato, altri me lo danno come un
indicatore positivo. Il teatro si riempie nella sala di sotto e poi
nella galleria. I dipendenti del teatro faticano parecchio a convincere
la gente a stare seduta, a non stare in piedi, ma la gente che è venuta
qui dal Nord e dal Sud non è venuta per lo spettacolo, è venuta per
capire se la proposta lanciata dall’appello “Dobbiamo Fermarli” può
aprire effettivamente come annunciato “uno spazio politico pubblico” su
cui far convergere le forze che intendono opporsi frontalmente a quella
che Giorgio Cremaschi definisce più volte la schiavitù del debito.
L’introduzione di Cremaschi è sorprendentemente calma e ponderata. Si
sente tranquillo del fatto che la relazione introduttiva è stata
distribuita in sala ed è il risultato di un lavoro comune dei promotori e
quindi va a braccio. Ma il tono non è quello del dirigente sindacale
che deve infiammare la platea, piuttosto è quello di un “leader
politico” che snocciola i problemi e indica delle proposte su cui
costruire un percorso con forze che sa diverse da lui e tra loro per
esperienza, storie e posizionamento.
Un piccolo miracolo c’è, in platea e
sul palco si mischiano interventi (Tomaselli, Como) e presenza di
attivisti della Rete 28 aprile-Cgil, della Fiom e della Usb. In realtà
il “miracolo” c’era già stato ai cancelli di Pomigliano e Mirafiori dove
erano stati gli unici a schierarsi apertamente per il No al diktat di
Marchionne. Ma quella dell’Ambra Jovinelli non è una assemblea sindacale
e lo si capisce subito. Ci sono infatti soggetti politici e movimenti
sociali. Parla un attivista del movimento No Tav, ma subito dopo c’è
Mauro Casadio della Rete dei Comunisti. La prima racconta della lotta in
corso e della necessità di tenere duro intorno alla Val di Susa e alla
“libera Repubblica della Maddalena”. Il secondo pone il problema di come
organizzare concretamente il conflitto e il blocco sociale per ridargli
la rappresentanza politica che da anni gli viene negata. In apparenza
linguaggi diversi ma il nesso tra le due esigenze appare ormai evidente.
Interviene il Forum Ambientalista (Pisacane), il Forum Diritti-Lavoro
(Russo), i quali, mi dicono, sono in qualche modo l’onda lunga dei
social forum degli anni passati. Ma poi c’è la nota abilità oratoria di
Ferrando del Pcl e la verve polemica di Flavia D’Angeli (sinistra
Critica) che adombra il rischio che i soggetti politici organizzati
sovradeterminino i movimenti sociali. Un rischio che appare però
piuttosto fuori tempo visto che oggi i partiti e le organizzazioni
politiche della sinistra sembrano dimostrare una scarsa o scarsissima
influenza sui movimenti sociali. Cinque anni fa poteva essere così ma
oggi è un rischio piuttosto difficile da percepire ed anche un po’
curioso che venga sottolineato da chi, almeno da quanto risulta, è
ancora un soggetto politico organizzato come gli altri.
Nella discussione interviene anche Paolo Ferrero di Rifondazione
Comunista, è un intervento sobrio che sembra annunciare un interesse per
il programma annunciato all’Ambra Jovinelli, il rischio dice Ferrero è
quello però che poi “quando arrivano le elezioni si smonti tutto quello
si è costruito”. Un consiglio che non si capisce se è diretto a chi è in
sala o allo stesso Prc per il quale le elezioni sono diventate una vera
e propria dannazione. Sinistra Popolare, affida ad un giovane
(Mustillo) il compito di riaffermare che con il Pd non c’è alcuna
possibilità di alleanza. Grassi (mi dicono che non si tratta del
dirigente del Prc ma della corrente Falcemartello dentro il Prc) si
sofferma sulla questione operaia e soprattutto sulla vertenza
dell’Irisbus da cui trarre lezione. Francesco dei precari della scuola
insista sulla territorializzazione del movimento e sulla convergenza dei
vari settori impegnate nelle lotte.
A rendere più chiaro dove ci si unisce e dove ci si divide è la
famosa lettera della Bce al governo italiano. Lo afferma Cremaschi lo
ribadiscono molti interventi: chi intende respingere al mittente quella
lettera è un nostro alleato, chi intende sostituire Berlusconi per
attuare le indicazioni di quella lettera è nostro nemico. Il riferimento
al Pd è chiaro. Enrico Letta lo aveva detto giovedì: “Un futuro governo
non può che partire da quando indicato nella lettera della Bce”. Le
chiacchiere e le illusioni stanno a zero.
In sala, prima che iniziasse l’introduzione era stata diffusa la voce
profonda di Andrea Camilleri che è tra i firmatari dell’appello. Anche
lui non esita ad affermare che il debito che arricchisce solo le banche
non deve essere pagato. E dopo Camilleri sarà il turno di Giulietto
Chiesa o del messaggio di padre Zanotelli che invita a dare battaglia
per tagliare le spese militari. Jacopo Venier, direttore di Libera Tv
che ha trasmesso indiretta streaming tutta l’assemblea insiste invece
sul tasto della libertà di informazione e della rete di fronte alle
misure restrittive del governo. Evoca i Pirati che si sono imposti nelle
recenti elezioni a Berlino. C’è spazio anche per il Popolo Viola che si
dice interessato alla campagna contro il pagamento del debito e alla
questione democratica sollevata nell’appello Dobbiamo Fermarli.
L’assemblea si conclude con la lettura di un breve documento che
riassume i cinque punti del programma e le idee sul come procedere nelle
prossime settimane: assemblee e comitati locali per approfondire i
cinque punti, partenza della campagna “Noi il debito non lo paghiamo”
con una petizione e una azione capillare, nuova assemblea nazionale a
dicembre per resocontare e dare protagonismo ai comitati locali. Infine
un appuntamento che mette d’accordo tutti: il 15 ottobre tutti in piazza
insieme con uno striscione e uno spezzone di quelli che il 1 Ottobre si
sono riuniti all’Ambra Jovinelli, quelli che “intendono rimandare al
mittente la lettera della Bce e mandare a quel paese coloro che
intendono attuarla”
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