Un
documento del Coordinamento: “No debito”.
Quelli del 1 ottobre
rilanciano e danno appauntamento alle assemblee locali in tutto il paese
e ad una nuova assemblea nazionale il 17 dicembre.
La Bce
in agosto ha mandato una lettera al governo italiano in cui chiede di
distruggere tutto lo stato sociale, tutti i nostri diritti, di mettere
all’asta i nostri beni comuni, per pagare le cambiali del nostro debito
alle banche e alla speculazione finanziaria internazionale. Berlusconi
alla fine ha risposto, accettando tutte le condizioni capestro e
mettendocene anche qualcuna in più.
Non
si tratta più solo dell’annuncio della libertà di licenziamento, sempre
desiderata e sempre più vicina, visto l’articolo 8, visti i ricatti
aziendali, vista la distruzione dei diritti e l’estensione della
precarietà. Oggi un tallone di ferro schiaccia il mondo del lavoro e
ogni misura di flessibilità e di liberalizzazione serve solo a calare i
salari e i diritti, a sfruttare di più. Per questo l’accordo del 28
giugno non è un freno ma è una inutile resa a questa aggressione.
Ma
a tutto questo si aggiungono le misure apparentemente più neutre, a
partire dall’avanzo primario di bilancio, che significa in realtà la
distruzione di ciò che resta dello stato sociale, per finanziare le
banche. E si aggiungono le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Così
si cancella la nostra democrazia, tradendo il referendum di giugno, ove
la grande maggioranza degli italiani aveva detto no alla privatizzazione
dell’acqua e dei beni comuni. Siamo all’opposto di ciò che grida il
movimento occupy wall street: non ci si preoccupa di ciò che
chiede e di ciò di cui ha bisogno il 90% della popolazione, ma si
difendono gli interessi e il potere della parte più ridotta, del 10%.
La
lettera di intenti di Berlusconi è semplicemente una cambiale sulla
nostra democrazia. Bisogna rifiutarla oggi, con le lotte e con la
mobilitazione democratica: ci trattano come la Grecia, dobbiamo reagire
come il popolo greco. Per difendere la nostra democrazia le opposizioni e
i sindacati devono dire prima di tutto che quelle lettere non valgono
nulla e non sono esigibili. Altrimenti la crisi della nostra democrazia
affonderà nella palude delle finzioni. La lettera della Bce, la lettera
di Berlusconi vanno strappate in faccia all’Europa, altrimenti sono
tutte chiacchiere.
La
drammatica evoluzione della crisi italiana, l’aggressione sempre più
estesa ai diritti sociali e civili, danno ragione al percorso che
abbiamo iniziato il 1° ottobre e mostrano tutta la validità e tutto il
potenziale della mobilitazione del 15 ottobre.
Chi
ha manifestato in quel giorno, così come chi lotta in Val Susa, nelle
scuole, nelle università, nelle fabbriche, nei territori e nelle città,
oggi non è solo contro il governo Berlusconi, ormai alla conclusione
della sua parabola, ma anche contro quel potere economico finanziario
che nel nome del debito vuol far pagare alla maggioranza della
popolazione tutti i costi della crisi. La manifestazione del 15 ottobre,
le iniziative che l’hanno preceduta, erano quindi contro due avversari:
il governo e, assieme ad esso, la Bce e la dittatura finanziaria che
sta distruggendo i diritti in tutta Europa.
Gli
scontri del 15 ottobre e la successiva loro gestione mediatica hanno
oscurato per alcuni giorni tutto questo. Si è così prodotta una
regressione del confronto, si è tornati indietro di molti anni e sono
state cancellate le novità vere della mobilitazione. Questa regressione è
un risultato negativo che non può essere ignorato. Il problema non è
riproporre una divisione tra buoni e cattivi nelle lotte e nei
movimenti. La questione di fondo è quella della autodeterminazione dei
movimenti e delle lotte, che le manifestazioni successive al 15, da
quella dei metalmeccanici a quelle della Val Susa, hanno esemplificato.
Una
manifestazione composita, plurale ma unitaria non può essere spinta e
segnata da scelte che la manifestazione del 15 ha subìto, percepito in
gran parte come ostili e, soprattutto, mai discusso. Nessuno può imporre
pratiche e azioni di distruzione durante il corteo, che si sono ritorte
contro la manifestazione stessa. La questione non è quella della rabbia
esistente e del modo di farla valere e vedere. La questione è quella
che nessuno può imporre le proprie modalità a tutto il movimento, né
soprattutto può imporre scelte che la grande maggioranza non condivide.
Allo stesso modo affermiamo che la gestione della polizia a piazza San
Giovanni è stata evidentemente irresponsabile e ha prodotto la
radicalizzazione e la generalizzazione degli scontri.
Riteniamo
però a questo punto che non si possa andare avanti all’infinito in
questa discussione. Occorre prendere atto che la manifestazione del 15
ha determinato questo risultato negativo e trovare le modalità per cui
il proseguimento delle iniziative, reso indispensabile dall’aggravarsi
della crisi, non ripresenti gli stessi problemi. Questa è la ragione per
cui riteniamo necessaria una discussione di merito politico tra tutte
le forze che hanno in comune la lotta contro la globalizzazione e la
politica della Bce e dell’Unione europea. L’ultimatum consegnato al
governo pochi giorni fa, a cui Berlusconi ha risposto con la sua
vergognosa lettera, conferma che abbiamo due avversari. Oltre al governo
Berlusconi, dobbiamo essere contro l’Unione europea così come è oggi,
con la dittatura delle banche e della finanza che impone le sue scelte a
tutti i governi.
La
manifestazione del 15 conteneva un vuoto politico e una debolezza, che
si è cercato di affrontare anche con proposte come quella
dell’accampata, che avevano lo scopo di affermare una radicalità
necessaria e diversa da quella delle manifestazioni tradizionali. Questa
debolezza politica era accentuata dal fatto che la manifestazione del
15 appariva di più come una scadenza importata, nel quadro di un
appuntamento internazionale di grandissimo valore, piuttosto che un
obietto di lotta nostro. Occorre una piattaforma precisa, oggi, contro
gli avversari italiani ed europei dei diritti sociali e civili; per
questo pensiamo che non sia riproducibile nel nostro paese l’esperienza
dei social forum. Esauritasi l’esperienza del social forum italiano e in
profonda crisi quella europea, è necessario pensare a nuove modalità di
costruzione e a una precisa piattaforma da collocare in spazi politici
pubblici italiani ed europei.
Abbiamo
quindi lanciato il 1° ottobre un movimento contro il pagamento del
debito, contro la dittatura delle banche, con 5 punti sul piano sociale e
politico che per noi rappresentano una reale alternativa. Abbiamo anche
sottolineato che oggi come oggi non solo il centrodestra, ma anche il
centrosinistra non assumono questi temi e anzi, in molti casi, ne sono
addirittura controparte. Per questo abbiamo rivendicato la necessità di
un nuovo spazio politico pubblico che dia legittimità piena a
rivendicazioni politiche e sociali oggi assolutamente estranee a gran
parte dell’attuale sistema rappresentativo. Su questo, secondo noi, si
deve sviluppare il confronto, se si vuole mantenere il dialogo tra
espressioni diverse del movimento.
Occorre
quindi che da ogni parte si faccia la scelta precisa di rinunciare
all’egemonia e di aprirsi al confronto di merito. Noi non pretendiamo di
essere tutto il movimento, così come pensiamo che nemmeno altre forze o
gruppi lo siano. Tutti insieme, misurandoci concretamente sulle
differenze e sui contenuti, siamo in grado di costruire grandi
iniziative. Ma per superare la crisi del 15 ottobre occorre
un’operazione di verità e non il diluvio di polemiche.
La
crisi politica nel nostro paese rende sempre più chiaro che la nostra
democrazia è commissariata dal regime delle banche e della finanza
d’Europa. Per questo comprendiamo la diffidenza che si sviluppa tra chi
lotta, rispetto a tutte quelle istituzioni che sorridono alle
mobilitazioni, salvo poi sostenere scelte economiche e politiche che
vanno esattamente contro i contenuti di esse.
Il
futuro dei movimenti in Italia è quindi fondato sull’indipendenza
dall’attuale quadro politico. Questo è il punto su cui si deve davvero
discutere, anche misurandoci sulle diverse opzioni. Forse questo è il
punto su cui si è discusso meno, occorre cioè una pratica democratica
assembleare dove ci si confronti davvero sulla piattaforma, dal debito,
al lavoro, all’ambiente, alle questioni sociali, alla democrazia. Non è
più tempo di diplomatismi o di minimi comun denominatori, abbiamo visto
che questi creano una debolezza politica che viene poi coperta da altre
scelte e altre forze.
Se
vogliamo uscire dalla sindrome del post 15 ottobre dobbiamo quindi
affrontare con democrazia, partecipazione e rispetto una grande
discussione democratica sui contenuti della nostra piattaforma.
Per
queste ragioni il nostro movimento
decide di rilanciare la compagna e l’organizzazione della lotta contro
il debito e per una vera alternativa sul piano economico, sociale e
democratico. Andremo avanti, sui contenuti e nella ricerca di forme
nuove di partecipazione e democrazia, disposti e interessati al
confronto con tutti, ma nella consapevolezza che la crisi italiana è
troppo grave per continuare con inutili polemiche.
Il
comitato promotore del movimento No debito, dà appuntamento il 17
dicembre a Roma per una grande assemblea, preceduta da iniziative e
incontri in tutto il territorio del paese.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua