giovedì 6 settembre 2012

Tramonta l’auto, affonda la Fiat, aumentano i bonus per Marchionne di Pitagora, Il Manifesto

Per la prima volta dalla fine dell’800, in Italia il numero di auto in circolazione potrebbe diminuire. Con la crisi molte persone sostituiscono il mezzo di trasporto privato con quello pubblico, e per questo anche le politiche della mobilità dovrebbero cambiare. Il nostro Paese è diventato marginale per Marchionne, che nonostante il fallimento ha ricevuto un bonus di 50 milioni 

Nel 2012, per la prima volta dalla fine dell’Ottocento, con l’esclusione dei periodi bellici, il numero di auto in circolazione nel nostro paese potrebbe diminuire. Quest’anno le vendite di automobili nuove saranno meno di 1,5 milioni, in flessione di circa il 20 per cento rispetto al 2011, un numero presumibilmente inferiore a quello delle rottamazioni.
Il crollo della domanda è certamente l’effetto combinato della crisi e dell’aumento dei prezzi dei carburanti, dei pedaggi e delle altre spese di mantenimento che ha causato, come in tutti i paesi periferici dell’Europa, un minor uso dell’auto e il posticipo delle decisioni di acquisto.
Ma è anche l’effetto di una saturazione del mercato che è venuta a galla, si può dire, «grazie» alla crisi. In Italia circolano 37 milioni di automobili, quasi 5 milioni di autocarri, svariati milioni di altri autoveicoli; in media, sulla strade si muovono, o sono fermi, 50 veicoli per kilometro e 1,4 per ogni persona con patente di guida. Ciò vuol dire, ad esempio, che, in media, in una famiglia con due figli maggiorenni «patentati» ci sono quattro automobili e una moto o un motorino. Sebbene si tratti di una diffusione di mezzi di trasporto economicamente irrazionale, sia sul piano di sistema sia su quello familiare, fino a due anni fa la quantità di veicoli circolanti in Italia aumentava di circa 1.000 unità al giorno. Dal punto di vista aggregato l’irragionevolezza di tale dotazione di mezzi si manifesta nella congestione del traffico nelle città e nelle strade extraurbane che ha raggiunto livelli così elevati che ogni nuovo mezzo circolante abbatte la velocità media di spostamento e accresce le difficoltà a trovare parcheggio; inoltre, fatto di non poco conto, imbruttisce il paesaggio. Sul piano individuale l’eccesso nella dotazione di veicoli è fonte di spese che accrescono in misura limitata il benessere della famiglia.
Con la crisi, per ridurre le spese di trasporto, molte persone vanno sostituendo l’uso del mezzo privato con quello pubblico: ne è scaturita una maggiore fluidità nella circolazione, la riduzione dei tempi medi di percorrenza, il contenimento degli scarichi inquinanti. Quest’anno, per la prima volta da molti decenni, il consumo di carburanti è sceso di circa il 10 per cento rispetto all’anno precedente, con benefici sull’ambiente e sulla bilancia commerciale; negli altri paesi europei più duramente colpiti dalla crisi, il calo è stato superiore.
La crisi sollecita un ripensamento del sistema dei trasporti e in particolare nel rapporto tra mezzi privati e pubblici e delle politiche industriali delle case produttrici. Nelle città, l’aumento dei passeggeri delle linee metropolitane e di autobus dovrebbe portare alla costruzione di nuove linee, attualmente poco numerose, all’ammodernamento del materiale, al rafforzamento degli strumenti gestionali. Anche gli investimenti nella rete ferroviaria e soprattutto nei treni regionali, ora soggetti a scarsa manutenzione, sono da potenziare.
Riguardo al trasporto privato, va incentivata la razionalizzazione del parco auto, con la diminuzione del numero dei veicoli circolanti, il loro rinnovo verso modelli dai consumi inferiori, meno inquinanti, e maggiormente sicuri. Tale obiettivo può essere favorito da un’adeguata rimodulazione delle imposte e delle accise; a tal fine, andrebbe aumentata la tassa di circolazione, in misura più accentuata per i veicoli come i Suv, mentre si potrebbe ridurre l’Iva sull’acquisto di auto nuove con un rendimento energetico molto superiore (in particolare quelle con sistemi propulsivi diversi, auto elettriche o ibride) e le imposte sul passaggio di proprietà. Con un obiettivo di progressiva lieve diminuzione del parco e di suo rinnovo in 20 anni, le nuove immatricolazioni dovrebbero attestarsi nel medio periodo a circa 1,7 milioni di autoveicoli, quasi il 20 per cento in più di quest’anno.
Il crollo della domanda ha preso alla sprovvista la Fiat, anche se da ultimo il suo amministratore delegato Marchionne ha dichiarato che i dati delle immatricolazione del mese di agosto, il livello più basso dal 1964, «sono totalmente in linea con le previsioni».
Ad aprile del 2010, in occasione della presentazione del piano 2010 e 2014, egli aveva invece affermato che nel quadriennio la domanda di vetture e veicoli commerciali leggeri sarebbe tornata ai livelli record del 2007 (circa 2,4 milioni di auto), un’indicazione risultata inattendibile dopo soli due anni.
In ogni caso nel 2012 l’Italia è diventato un paese marginale per la Fiat: quest’anno le vendite nel nostro paese saranno poco più di 400.000 unità, meno del 10 per cento del totale del gruppo; neppure l’intera Europa rimane il mercato principale di sbocco, spostatosi negli Stati Uniti e in America Latina.
Le vendite in calo in Italia e in Europa sono il risultato di politiche industriali indebolitesi fortemente negli ultimi anni. Nell’attuale fase di sviluppo della tecnologia, i principali fattori di successo dell’industria automobilistica sono la qualità del prodotto e l’efficacia della progettazione e industrializzazione di nuovi modelli; viceversa la produzione, già da molti anni automatizzata, costituisce un momento sempre meno cruciale. La Fiat non sembra essersi resa conto dei cambiamenti concentrando l’attenzione su questo processo, per giunta seguendo politiche fortemente reazionarie nei confronti del sindacato che storicamente ha avuto maggiormente a cuore il rafforzamento della base produttiva dell’azienda.
Da ormai vari anni l’innovazione di prodotto della casa automobilistica italiana è molto limitata; l’ultimo modello immesso sul mercato è la 500, il cui lancio è avvenuto oltre 5 anni addietro. Si tratta di tempi incompatibili con una presenza competitiva sul mercato che non possono non favorire la concorrenza, soprattutto delle case tedesche e asiatiche; in Italia, la quota di mercato del gruppo, che pur beneficia dell’apporto dei marchi Jeep e Chrysler, è rimasta intorno al 30 per cento, quella sul mercato europeo si è ridotta a percentuali molto basse.
In tale situazione, il piano industriale 2010 e 2014, nel quale era previsto il raddoppio della produzione nel nostro paese, portandola a 1,4 milioni di auto, diventa inattendibile al punto che di recente l’amministratore delegato ha ventilato la chiusura di un altro sito, di fatto proseguendo nell’opera di smantellamento dell’apparato produttivo italiano.
A fronte del fallimento del piano quadriennale, i manager Fiat hanno beneficiato di gratifiche elevate; pochi mesi addietro l’amministratore delegato ha ricevuto un bonus di 50 milioni di euro, soggetto a un’aliquota fiscale di favore, senza che vi sia stato un sentimento di avversione collettiva verso uno stipendio così scandaloso.
Nel mese di agosto l’Arcivescovo di Torino, mons. Nosiglia. ha fatto appello al governo per un intervento a sostegno dell’industria automobilistica italiana ma non ha espresso alcun disagio nei confronti di una remunerazione migliaia di volte superiore a quelle degli impiegati ed operai della sua città, spesso in cassa integrazione e per un numero sempre maggiore di loro, alla ricerca di una nuova occupazione.

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