domenica 23 giugno 2013

"La previdenza è messa molto male perché la responsabilità è dello Stato". Intervista a Ettore Davoli




Ettore Davoli è dei Cobas Inpdap. Da anni studia la previdenza. Alcuni suoi approfondimenti sono stati utilizzati in trasmissioni di inchiesta come Report.

Il Governo non parla di previdenza. E questo, se vogliamo, è preoccupante, perché intanto i dati parlano di un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti.
Il sistema fa crack nonostante le pensioni integrative, le penalizzazioni varie e le riforme. Il filone delle integrative non può funzionare, ed era prevedibile, visti anche i livelli di reddito da lavoro in Italia, perché se non si raggiunge la soglia critica il fondo non potrà mai funzionare. E poi il sistema non ti restituisce quello che tu dai. E quindi la gente non si iscrive. E non lo può fare perché i soldi non ci sono. Lo sanno che è un fallimento e qualcuno comincia a pensarci su.
Da più parti si sente parlare addirittura di fallimento.
Fallisce perché per pagare le pensioni che comunque ormai appartengono tutte al contributivo devono comunque incassare i contributi dei lavoratori attuali. Cioè, il sistema è ancora basato sulla ripartizione tra il presente e il passato delle generazioni al lavoro. Da qui al 2030, a causa del modello lavorativo prevalentemente precario le uscite non potranno essere coperte.
La morte cerebrale del sistema…
Non ne parlano troppo perché dovrebbero mettere in evidenza il bubbone dell’evasione contributiva dello Stato, il famoso buco dell’Inpdap. Lo Stato dal ’96 non versa i famosi due terzi della quota previdenziale alle casse dell’ente. In più, dato che c’è stata questa fusione con la nascita dell’Inpdap lo Stato avrebbe dovuto versare anche le quote precedenti alla nascita dell’Inpdap, che per poter pagare ha intaccato sui suoi patrimoni. Le pensioni, via via, sono state pagate con risorse che venivano registrate come anticipazioni di cassa. In questo modo è stato accumulato un debito di oltre 100 miliardi che in realtà era un debito dello Stato. E correttamente parlando si tratta di evasione contributiva. La politica dei debiti è stata seguita anche da molti Comuni. Verso di loro non sono stati attivati nemmeno i meccanismi di Gerit e Equitalia, tra l’altro. E’ chiaro che dall’Inps, che ha incamerato per forza di cose questo buco, è uscito fuori un grido d’allarme sul possibile fallimento. Poi la cassa Inpdap con la privatizzazione di molte aziende pubbliche che non hanno versato più all’Inpdap ma all’Inps, che appunto si occupa del privato, ha dovuto comunque sopportare il carico degli assegni.
La solita campagna di propaganda del parito dei tagli dice che la previdenza costa troppo.
Quando dicono che noi spendiamo molto di previdenza, qualcuno ci dovrebbe dire quanto si incassa, invece, dalla previdenza. Loro dicono di spendere il 15% del Pil. L’Inps ha un bilancio complessivo di 780 mililardi e una spesa di 285. E poi con la riforma Fornero si risparmia perché sono almeno un milione le persone fuori senza pensioni e senza stipendio, con o senza accordo aziendale come nel caso degli esodati. I soldi che hanno risparmiato sono andati alle banche tramite l’Europa.
Nel segreto delle stanze qualcuno sta lavorando.
Sicuro che stanno lavorando su alcune operazioni, come gli scivoli penalizzanti. Vorrei far notare però che la possibilità di uscire non è facoltativa del lavoratore ma dell’impresa, che in questo modo si libera degli esuberi. E poi c’è una riduzione di personale con la spending rewiev che a deroga della Fornero viene collocato in pensione. Qui non sono previste penalità.
Come dicevamo prima, fallimento ideologico e pratico di una grande conquista del movimento dei lavoratori, il sistema previdenziale.
Ai giovani bisogna far capire che oggi pagano i contributi per pensioni che non avranno. Ecco lo spread previdenziale. Un esempio: se uno lavora 40 anni versa 380mila euro di contributi prende una pensioine di 1.300 euro, e questo in base a uno schema addirittura retributivo. Per consumare tutto ciò che ha maturato deve campare fino a 87 anni, ovvero sei anni in più dell’aspettativa di vita. Con il sistema contributivo, invece, dovrebbe campare fino a 97-98. E questo senza tener conto della riforma Fornero.

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