Proseguono le grandi manovre per rasserenare il clima intorno al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il Pg della Cassazione ha avviato l’azione disciplinare contro l’ex pm che avviò l’indagine: Antonio Ingroia,
reo di far politica senza lasciare la toga (come decine di magistrati
eletti in Parlamento). Analoga azione ha già colpito l’altro pm titolare
dell’inchiesta, Nino Di Matteo, e il procuratore Francesco Messineo.
I due l’han fatta grossa. Il primo confermò in un’intervista ciò che avevano scritto tutti i giornali: le intercettazioni indirette di alcune telefonate fra Mancino e Napolitano. Il secondo non denunciò il pm al Csm per il grave delitto di intervista.
Poi il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, per non restare con le
mani in mano, ha rilasciato un’intervista (lui può) per bacchettare la
Procura di Palermo che ha osato convocare Napolitano come teste a
proposito delle confidenze del suo consigliere D’Ambrosio su “indicibili
accordi” fra Stato e mafia.
L’altroieri, casomai non si fosse ancora capita l’antifona, Napolitano
ha ammonito i magistrati a tener conto “della portata degli effetti,
talora assai rilevanti, che un loro atto può produrre anche al di là
delle parti processuali”, specie “quando ci sono difficili equilibri
politici”. Ora, in attesa di un bombardamento atomico sulla Procura, il
Csm ha aperto una pratica per trasferire Messineo per “incompatibilità ambientale”.
Le “incolpazioni” fanno scompisciare.
1)
Per il “difetto di coordinamento” fra i suoi pm, Messineo avrebbe sulla
coscienza “la mancata cattura del latitante Messina Denaro”, dopo un
blitz della polizia da lui autorizzato che avrebbe bruciato un’indagine
del Ros. Peccato che il Ros abbia già smentito la notizia.
2) Messineo sarebbe “condizionato”
dal suo ex aggiunto Antonio Ingroia, con cui avrebbe “un rapporto
privilegiato” che gli avrebbe fatto “perdere la piena indipendenza”.
Ingroia ha lavorato all’antimafia di Palermo per 20 anni, dai tempi di
Falcone e Borsellino: il Csm trova disdicevole che Messineo, arrivato in
Procura nel 2005, ne sia stato influenzato. Il problema non sono le
toghe condizionate dalla mafia, ma dall’antimafia. In ogni caso Ingroia
ha lasciato Palermo 7 mesi fa: in che senso oggi Messineo sarebbe
incompatibile con Palermo?
3) Ingroia avrebbe condizionato Messineo tenendo nel cassetto per 5 mesi intercettazioni
su una possibile fuga di notizie fatta da Messineo a un amico banchiere
indagato per usura. Naturalmente Ingroia non ha tenuto nel cassetto un
bel niente: a fine indagine, ricevette le trascrizioni delle bobine
fatte dalla Finanza e le inoltrò alla competente Procura di
Caltanissetta. Che poi ha chiesto e ottenuto l’archiviazione per
Messineo: perché mai oggi Messineo sarebbe incompatibile con Palermo?
4) Messineo sarebbe incompatibile anche perché da anni suo fratello e suo cognato sono imputati
a Palermo con varie accuse. Forse lo era quando i due furono indagati
da Ingroia (Messineo correttamente si astenne). Ma poi Ingroia ne
ottenne i rinvii a giudizio e la loro sorte ora è in mano ai giudici:
dove sta oggi l’incompatibilità di Messineo con Palermo?
5) Messineo sarebbe incompatibile con Palermo per le “spaccature” in Procura.
Peccato che non le abbia create lui: le ha ereditate da Grasso, sempre
contestato dalla gran parte dei suoi pm. Ma il Csm, anziché trasferire
Grasso, se ne infischiò. Poi lo promosse Procuratore nazionale
antimafia. Il che aiuta a capire perché il Csm si accorge solo ora delle
spaccature. Finché rifiutò di vistare l’avviso di chiusura-indagini
sulla trattativa (ma non era condizionato da Ingroia?), Messineo andava
benissimo. Ora che ha firmato le richieste di rinvio a giudizio e
affianca Di Matteo alle udienze, diventa improvvisamente incompatibile.
E
allora, cari sepolcri imbiancati, abbiate almeno il coraggio di dire la
verità: non è Messineo che è incompatibile con Palermo, è lo Stato che è incompatibile con la Giustizia.
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