Secondo la Corte Costituzionale tedesca non è accettabile che “le
decisioni più importanti a livello europeo vengano negoziate nei
corridoi anonimi della burocrazia di Bruxelles”. Anche in Italia
dovremmo chiederci se sia giusto che la nostra politica economica sia
strappata dalla sovranità popolare e venga invece dettata dai paesi
esteri e dalle oligarchie finanziarie internazionali.
Speriamo che finalmente ci sia un giudice a Berlino e che l'euro, diretto dalla Germania di Angela Merkel e dalla Banca Centrale Europea di Mario Draghi, non prevalga totalmente sulla democrazia. Speriamo che la Corte Costituzionale tedesca provochi il ritiro di fatto della Germania dall'euro: questo è possibile, anche se non molto probabile. Il presidente della Corte Costituzionale Federale tedesca Andreas Vosskuhle ha espresso la sua contrarietà alla possibilità che “le decisioni più importanti a livello europeo vengano negoziate nei corridoi anonimi della burocrazia di Bruxelles, o nelle riunioni del Consiglio d'Europa, o in qualche altro posto senza un'adeguata discussione pubblica e senza che i cittadini europei abbiano alcun potere di influenzare queste decisioni”[1]. Secondo Vosskuhle le deliberazioni di bilancio devono rimanere nelle mani dei rappresentanti legittimi eletti dai cittadini e del Parlamento: “sarebbe davvero tragico se dovessimo perdere la democrazia per risolvere i problemi dell'euro o per raggiungere una maggiore integrazione europea”. Non si può che concordare con queste parole. Forse in Italia sono il solo a sostenerlo, ma spero che finalmente la corte costituzionale tedesca a settembre decreti l'uscita unilaterale dalla Germania dall'euro (come ha già auspicato il socialista radicale Oscar Lafontaine[2]). Infatti la gestione dell'euro è nelle mani della BCE che non è mai stata eletta da nessuno, dell'Unione Europea che ha forti deficit di democrazia, e soprattutto del governo di centrodestra della Merkel, che rappresenta una parte del popolo tedesco ma non i popoli europei.
Anche in Italia avremmo bisogno di una Corte Costituzionale in grado di decidere se sia giusto che la nostra politica economica sia strappata dalla sovranità popolare e venga invece dettata dai paesi esteri e dalle oligarchie finanziarie internazionali. La mia opinione è molto diversa da quella di quasi tutti gli economisti accademici italiani di destra, e soprattutto di sinistra. In Italia l'euro - la ormai dichiaratamente fallimentare moneta unica europea -, a differenza che in quasi tutti i paesi del mondo, è considerato un dogma di fede, alla stessa stregua del mercato per i liberisti e dell'Immacolata Concezione per i cattolici. Forse perché è sempre stato considerato una “conquista europea” del centrosinistra di Prodi. Ma ormai è chiaro che l'euro tedesco è la principale causa della depressione economica europea, e che è praticamente irriformabile.
La moneta unica europea, di cui la Germania è principale azionista, lungi dall'essere motore di sviluppo è diventata la prima causa della recessione, della disoccupazione e della deindustrializzazione dei paesi periferici dell'Europa, i cosidetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). I paesi europei che non hanno adottato la moneta unica – come la Svezia, la Danimarca, la Polonia – stanno ormai recuperando la crisi iniziata nel 2008, mentre l'Unione Europea continua invece la sua caduta libera nella recessione. La situazione è ormai diventata drammatica. Gli interessi dei titoli di stato italiani cresceranno perché la FED americana ha deciso la fine del denaro facile e le altre banche centrali dovranno bene o male seguire. La resa dei conti si avvicina. L'euro, invece di portarci verso l'Europa della cooperazione tra i popoli, ha messo gli stati uno contro l'altro, gli stati creditori (Germania, Olanda, Belgio, Finlandia) contro quelli debitori (i PIIGS e la Francia)[3].
L'Italia in particolare continua nella sua corsa verso il basso: i dati sulla produzione, sulla disoccupazione, sul debito, sul degrado dei servizi pubblici e sulla divaricazione tra nord e sud Italia sono drammatici e tendono al peggioramento. Il governo Letta non può risolvere alcun problema perché cerca solo di ottenere qualche briciola di concessioni dalla Germania e dalla UE ma non intende contrastare i vincoli dell'euro. Non solo il governo è debole rispetto ai due partiti che lo sostengono, il PD e il PDL, che hanno interessi elettorali contrapposti; soprattutto Letta tenta ciò che è impossibile, ovvero conciliare l'austerità con lo sviluppo di cui il Paese ha drammaticamente bisogno. Ma purtroppo tutto sta peggiorando ed è probabile che si arrivi rapidamente a un punto di rottura: del resto le recenti decisioni di Mediobanca di tirarsi fuori da tutti i patti di sindacato che controllano le maggiori aziende italiane ci dicono che il capitalismo italiano si sta sciogliendo e che ognuno farà per sé di fronte ai capitali internazionali che vogliono mangiarsi a poco prezzo la parte più ricca e appetitosa del paese in debito. Telecom Italia, una volta azienda pubblica di successo, poi privatizzata per entrare nell'euro, è già preda di compratori esteri. Le banche italiane accumulano debiti in sofferenza e sono sempre più deboli. E la riforma del mercato del lavoro avviata da Letta peggiorerà la riforma Fornero cercando (inutilmente) di aumentare l'occupazione grazie all'aumento dei lavori precari e sottopagati[4].
È possibile, se non probabile, che, nonostante i sacrifici e i tagli, tra qualche mese saremo costretti a chiedere l'aiuto della BCE e allo European Stability Mechanism, nell'ambito del programma Outright Monetary Transactions, OMT, e a subire il commissariamento da parte della famigerata Troika (FMI,UE e BCE). Questo terzetto ci imporrebbe delle condizioni ancora più draconiane che produrrebbero conflitti e rivolte sociali, e che metteranno gravemente a rischio la nostra democrazia, peraltro già allo sbando a causa dell'inconsistenza della nostra classe politica. Comunque, anche se non dovessimo chiedere “l'aiuto” della BCE e dell'ESM, il nostro destino nell'eurozona peggiorerà inesorabilmente a causa del fiscale compact (sottoscritto da PDL e PD ma contrastato da Berlusconi) che imporrà la restituzione accelerata dei debiti pubblici con ulteriori e insostenibili tagli alla spesa pubblica. Di fronte a questo triste destino, occorre un deciso cambiamento di rotta di 180 gradi. E soprattutto una diversa politica sull'euro. Non basta lamentarsi per l'austerità: questa è infatti legata a doppio filo all'euro, una stretta camicia di forza che in tempi di crisi comprime gli investimenti pubblici e privati.
E' strano e paradossale che in Italia proprio la sinistra (anche quella che si proclama marxista) non capisca la gravità e la profondità della crisi, l'incompatibilità di questo euro con lo sviluppo, e la necessità di un una svolta radicale[5]. Se fosse meno ingenua e meno illusa la sinistra dovrebbe contrastare senz'altro questo euro a egemonia tedesca. Mai come adesso avremmo bisogno di una sinistra in grado di difendere con vigore e lucidità le istanze popolari e dei ceti medi colpiti dalla crisi, ma il PD è congelato nelle “strette intese” e la sinistra radicale del 2-3% è considerata solo un'appendice del PD. Occorrerebbe una sinistra capace di opporsi decisamente alle politiche governative e di indicare strade e obiettivi alternativi. Ma purtroppo manca. Milioni di elettori sono stati costretti addirittura ad affidarsi a un ex comico autocrate che ha denunciato la gravità della situazione ma che, da demagogo, non ha voluto e saputo indicare soluzioni politiche non fondate solo sulla sua persona. Tuttavia non basteranno certamente gli inviti a diminuire l'austerità e a comprare (giustamente) meno F. 35 per cercare di uscire da questa crisi rovinosa. Occorre che la sinistra non si faccia illusioni: l'opposizione morbida al governo e all'euro tedesco è inutile e controproducente. Di fronte all'euro c'è la necessità di una decisa svolta culturale e politica. In questo senso Berlusconi è molto più realista della sinistra inconcludente.
Nel suo bel libro “La moneta incompiuta” Marcello Minenna[6] spiega con chiarezza le radici della crisi europea. E fa i conti sui possibili costi e benefici dell'uscita dall'euro. Mi sembra che spieghi cose importanti: la prima è che tutti i regimi di cambi fissi (e l'euro è assimilabile senz'altro a un regime a cambio fisso) nella storia sono prima o poi falliti, nessuno escluso, a partire dal gold standard per arrivare al regime basato sul dollaro, fino ad arrivare all'euro. La rottura dell'euro provocherebbe per i paesi che escono e ristrutturano i debiti, un conseguente difficile accesso ai mercati finanziari internazionali, l'aumento dell'inflazione interna e maggiore difficoltà a pagare le merci di importazione. Ma, facendo i conti, Minenna indica che l'Italia potrebbe guadagnare dal recupero della sua sovranità monetaria e dalla moneta nazionale. Infatti l'Italia ha un alto debito governativo che ricade tutto nella categoria del debito soggetto alla legge nazionale del paesi di emissione, e quindi in teoria potrebbe ripagare buona parte dei debiti nella valuta più debole che sarebbe in grado di stampare grazie al recupero della sovranità monetaria. Inoltre solo un quarto del debito complessivo italiano ricade sotto la giurisdizione estera e andrebbe quindi ripagato in valuta pregiata estera (come è in effetti l'euro).
L'Italia ha anche un deficit più basso degli altri paesi deboli dell'unione europea e, grazie al suo cospicuo avanzo primario, dopo la svalutazione non dovrebbe ricorrere eccessivamente al mercato estero per coprire i suoi debiti. Inoltre il nostro paese è molto aperto al mercato internazionale, e quindi potrebbe guadagnare dalla svalutazione competitiva rilanciando le esportazioni e l'industria nazionale. I maggiori costi di importazione (e la conseguente inflazione) potrebbero essere recuperati grazie alla tendenza alla diminuzione dei prezzi del petrolio e alla possibile riduzione dell'enorme peso fiscale che grava sui prodotti petroliferi. Aggiungo che il lavoro potrebbe essere difeso dall'inflazione grazie a meccanismi di reddito garantito e di recupero automatico del carovita (vedi scala mobile) resi possibili dalla ritrovata sovranità monetaria.
L'uscita dall'euro sarebbe ovviamente e certamente un evento traumatico ma le considerazioni sopra esposte ci dicono che l'Italia avrebbe da guadagnare recuperando la moneta nazionale, rinegoziando i debiti e rinunciando al fiscal compact. Al contrario la Germania avrebbe molto da perdere con la rottura delle euro perché dovrebbe rivalutare la sua moneta, e il nuovo marco forte frenerebbe notevolmente le sue esportazioni.
Molti sostengono che la rottura dell'euro sarebbe sconvolgente; e quasi tutti gli economisti e gli scienziati politici indicano che sarebbe di gran lunga preferibile accelerare l'unione politica, economica e fiscale dell'Unione Europea. Ma questa posizione appare essere ancora più illusoria e fantastica di quella pur difficile e complessa che prevede l'uscita dall'euro. Il problema infatti è che la Germania guadagna notevolmente da questa moneta unica che le permette di esportare facilmente i suoi prodotti senza affrontare la svalutazione dei paesi concorrenti, e che le consente di accogliere un flusso ingente di capitali internazionali: così i suoi debiti privati e pubblici hanno costi vicino allo zero, mentre i concorrenti pagano sempre più caro i loro debiti. La signora Merkel, o chi per lei, molto difficilmente acconsentirà a rinunciare all'egemonia tedesca e a realizzare un'unione europea alla pari che la costringerebbe a condividere i debiti dei paesi più deboli e a trasferire parte delle risorse tedesche ai PIIGS. L'unione economica, politica e fiscale dell'Europa è nei fatti sempre più lontana perché la Germania non accetterà di mettere in discussione la sua supremazia e i privilegi legati all'euro per mettersi alla pari degli altri paesi. E comunque la speculazione ha tempi molto più rapidi dei tempi politici necessari per l'unione europea.
Di fronte a questa situazione esistono tre scenari: o la rottura dell'euro, o un costante e graduale dissanguamento degli stati europei sotto l'egemonia tedesca, oppure il dissanguamento rapido degli stati europei e alla fine comunque la rottura delle euro. L'ultimo scenario è il più probabile, ma è anche il peggiore. Si impone una svolta radicale: non basta implorare la Germania di essere più generosa e buona con l'Italia. I paesi mediterranei, i paesi debitori, tra cui l'Italia e la Francia, dovrebbero tentare di fare fronte unito minacciando un ultimatum, cioè di uscire dall'euro se la Germania non rinuncerà immediatamente a imporre politiche recessive. E se la Germania, sotto la minaccia della rottura della moneta unica, non cambiasse radicalmente la sua politica di ottusa austerità, allora i paesi debitori dovrebbero effettivamente uscire dall'eurozona per non andare in rovina. Come suggerisce Lafontaine, occorrerebbe rinunciare all'euro, ritornare alle monete nazionali e concordare un sistema di cambi flessibili per rilanciare l'economia europea.
Uscire dall'euro non è una scelta facile; ma probabilmente diventerà obbligata. Appare infatti molto improbabile fare deflettere la Germania dalle sue politiche, e comunque le decisioni tedesche ovviamente non dipendono da noi. Forse la Corte Costituzionale di Vosskuhle potrebbe darci una mano impedendo alla Germania e alla BCE di continuare sulla strada di questo euro fallimentare. O invece permetterà loro di continuare a soffocare le economie dell'eurozona. Alla fine comunque dovremo decidere come abbandonare il Titanic che affonda, auspicabilmente prima di chiedere “aiuto” alla Troika e inabissarci del tutto. Bisogna correre per preparare le scialuppe di salvataggio.
Speriamo che finalmente ci sia un giudice a Berlino e che l'euro, diretto dalla Germania di Angela Merkel e dalla Banca Centrale Europea di Mario Draghi, non prevalga totalmente sulla democrazia. Speriamo che la Corte Costituzionale tedesca provochi il ritiro di fatto della Germania dall'euro: questo è possibile, anche se non molto probabile. Il presidente della Corte Costituzionale Federale tedesca Andreas Vosskuhle ha espresso la sua contrarietà alla possibilità che “le decisioni più importanti a livello europeo vengano negoziate nei corridoi anonimi della burocrazia di Bruxelles, o nelle riunioni del Consiglio d'Europa, o in qualche altro posto senza un'adeguata discussione pubblica e senza che i cittadini europei abbiano alcun potere di influenzare queste decisioni”[1]. Secondo Vosskuhle le deliberazioni di bilancio devono rimanere nelle mani dei rappresentanti legittimi eletti dai cittadini e del Parlamento: “sarebbe davvero tragico se dovessimo perdere la democrazia per risolvere i problemi dell'euro o per raggiungere una maggiore integrazione europea”. Non si può che concordare con queste parole. Forse in Italia sono il solo a sostenerlo, ma spero che finalmente la corte costituzionale tedesca a settembre decreti l'uscita unilaterale dalla Germania dall'euro (come ha già auspicato il socialista radicale Oscar Lafontaine[2]). Infatti la gestione dell'euro è nelle mani della BCE che non è mai stata eletta da nessuno, dell'Unione Europea che ha forti deficit di democrazia, e soprattutto del governo di centrodestra della Merkel, che rappresenta una parte del popolo tedesco ma non i popoli europei.
Anche in Italia avremmo bisogno di una Corte Costituzionale in grado di decidere se sia giusto che la nostra politica economica sia strappata dalla sovranità popolare e venga invece dettata dai paesi esteri e dalle oligarchie finanziarie internazionali. La mia opinione è molto diversa da quella di quasi tutti gli economisti accademici italiani di destra, e soprattutto di sinistra. In Italia l'euro - la ormai dichiaratamente fallimentare moneta unica europea -, a differenza che in quasi tutti i paesi del mondo, è considerato un dogma di fede, alla stessa stregua del mercato per i liberisti e dell'Immacolata Concezione per i cattolici. Forse perché è sempre stato considerato una “conquista europea” del centrosinistra di Prodi. Ma ormai è chiaro che l'euro tedesco è la principale causa della depressione economica europea, e che è praticamente irriformabile.
La moneta unica europea, di cui la Germania è principale azionista, lungi dall'essere motore di sviluppo è diventata la prima causa della recessione, della disoccupazione e della deindustrializzazione dei paesi periferici dell'Europa, i cosidetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). I paesi europei che non hanno adottato la moneta unica – come la Svezia, la Danimarca, la Polonia – stanno ormai recuperando la crisi iniziata nel 2008, mentre l'Unione Europea continua invece la sua caduta libera nella recessione. La situazione è ormai diventata drammatica. Gli interessi dei titoli di stato italiani cresceranno perché la FED americana ha deciso la fine del denaro facile e le altre banche centrali dovranno bene o male seguire. La resa dei conti si avvicina. L'euro, invece di portarci verso l'Europa della cooperazione tra i popoli, ha messo gli stati uno contro l'altro, gli stati creditori (Germania, Olanda, Belgio, Finlandia) contro quelli debitori (i PIIGS e la Francia)[3].
L'Italia in particolare continua nella sua corsa verso il basso: i dati sulla produzione, sulla disoccupazione, sul debito, sul degrado dei servizi pubblici e sulla divaricazione tra nord e sud Italia sono drammatici e tendono al peggioramento. Il governo Letta non può risolvere alcun problema perché cerca solo di ottenere qualche briciola di concessioni dalla Germania e dalla UE ma non intende contrastare i vincoli dell'euro. Non solo il governo è debole rispetto ai due partiti che lo sostengono, il PD e il PDL, che hanno interessi elettorali contrapposti; soprattutto Letta tenta ciò che è impossibile, ovvero conciliare l'austerità con lo sviluppo di cui il Paese ha drammaticamente bisogno. Ma purtroppo tutto sta peggiorando ed è probabile che si arrivi rapidamente a un punto di rottura: del resto le recenti decisioni di Mediobanca di tirarsi fuori da tutti i patti di sindacato che controllano le maggiori aziende italiane ci dicono che il capitalismo italiano si sta sciogliendo e che ognuno farà per sé di fronte ai capitali internazionali che vogliono mangiarsi a poco prezzo la parte più ricca e appetitosa del paese in debito. Telecom Italia, una volta azienda pubblica di successo, poi privatizzata per entrare nell'euro, è già preda di compratori esteri. Le banche italiane accumulano debiti in sofferenza e sono sempre più deboli. E la riforma del mercato del lavoro avviata da Letta peggiorerà la riforma Fornero cercando (inutilmente) di aumentare l'occupazione grazie all'aumento dei lavori precari e sottopagati[4].
È possibile, se non probabile, che, nonostante i sacrifici e i tagli, tra qualche mese saremo costretti a chiedere l'aiuto della BCE e allo European Stability Mechanism, nell'ambito del programma Outright Monetary Transactions, OMT, e a subire il commissariamento da parte della famigerata Troika (FMI,UE e BCE). Questo terzetto ci imporrebbe delle condizioni ancora più draconiane che produrrebbero conflitti e rivolte sociali, e che metteranno gravemente a rischio la nostra democrazia, peraltro già allo sbando a causa dell'inconsistenza della nostra classe politica. Comunque, anche se non dovessimo chiedere “l'aiuto” della BCE e dell'ESM, il nostro destino nell'eurozona peggiorerà inesorabilmente a causa del fiscale compact (sottoscritto da PDL e PD ma contrastato da Berlusconi) che imporrà la restituzione accelerata dei debiti pubblici con ulteriori e insostenibili tagli alla spesa pubblica. Di fronte a questo triste destino, occorre un deciso cambiamento di rotta di 180 gradi. E soprattutto una diversa politica sull'euro. Non basta lamentarsi per l'austerità: questa è infatti legata a doppio filo all'euro, una stretta camicia di forza che in tempi di crisi comprime gli investimenti pubblici e privati.
E' strano e paradossale che in Italia proprio la sinistra (anche quella che si proclama marxista) non capisca la gravità e la profondità della crisi, l'incompatibilità di questo euro con lo sviluppo, e la necessità di un una svolta radicale[5]. Se fosse meno ingenua e meno illusa la sinistra dovrebbe contrastare senz'altro questo euro a egemonia tedesca. Mai come adesso avremmo bisogno di una sinistra in grado di difendere con vigore e lucidità le istanze popolari e dei ceti medi colpiti dalla crisi, ma il PD è congelato nelle “strette intese” e la sinistra radicale del 2-3% è considerata solo un'appendice del PD. Occorrerebbe una sinistra capace di opporsi decisamente alle politiche governative e di indicare strade e obiettivi alternativi. Ma purtroppo manca. Milioni di elettori sono stati costretti addirittura ad affidarsi a un ex comico autocrate che ha denunciato la gravità della situazione ma che, da demagogo, non ha voluto e saputo indicare soluzioni politiche non fondate solo sulla sua persona. Tuttavia non basteranno certamente gli inviti a diminuire l'austerità e a comprare (giustamente) meno F. 35 per cercare di uscire da questa crisi rovinosa. Occorre che la sinistra non si faccia illusioni: l'opposizione morbida al governo e all'euro tedesco è inutile e controproducente. Di fronte all'euro c'è la necessità di una decisa svolta culturale e politica. In questo senso Berlusconi è molto più realista della sinistra inconcludente.
Nel suo bel libro “La moneta incompiuta” Marcello Minenna[6] spiega con chiarezza le radici della crisi europea. E fa i conti sui possibili costi e benefici dell'uscita dall'euro. Mi sembra che spieghi cose importanti: la prima è che tutti i regimi di cambi fissi (e l'euro è assimilabile senz'altro a un regime a cambio fisso) nella storia sono prima o poi falliti, nessuno escluso, a partire dal gold standard per arrivare al regime basato sul dollaro, fino ad arrivare all'euro. La rottura dell'euro provocherebbe per i paesi che escono e ristrutturano i debiti, un conseguente difficile accesso ai mercati finanziari internazionali, l'aumento dell'inflazione interna e maggiore difficoltà a pagare le merci di importazione. Ma, facendo i conti, Minenna indica che l'Italia potrebbe guadagnare dal recupero della sua sovranità monetaria e dalla moneta nazionale. Infatti l'Italia ha un alto debito governativo che ricade tutto nella categoria del debito soggetto alla legge nazionale del paesi di emissione, e quindi in teoria potrebbe ripagare buona parte dei debiti nella valuta più debole che sarebbe in grado di stampare grazie al recupero della sovranità monetaria. Inoltre solo un quarto del debito complessivo italiano ricade sotto la giurisdizione estera e andrebbe quindi ripagato in valuta pregiata estera (come è in effetti l'euro).
L'Italia ha anche un deficit più basso degli altri paesi deboli dell'unione europea e, grazie al suo cospicuo avanzo primario, dopo la svalutazione non dovrebbe ricorrere eccessivamente al mercato estero per coprire i suoi debiti. Inoltre il nostro paese è molto aperto al mercato internazionale, e quindi potrebbe guadagnare dalla svalutazione competitiva rilanciando le esportazioni e l'industria nazionale. I maggiori costi di importazione (e la conseguente inflazione) potrebbero essere recuperati grazie alla tendenza alla diminuzione dei prezzi del petrolio e alla possibile riduzione dell'enorme peso fiscale che grava sui prodotti petroliferi. Aggiungo che il lavoro potrebbe essere difeso dall'inflazione grazie a meccanismi di reddito garantito e di recupero automatico del carovita (vedi scala mobile) resi possibili dalla ritrovata sovranità monetaria.
L'uscita dall'euro sarebbe ovviamente e certamente un evento traumatico ma le considerazioni sopra esposte ci dicono che l'Italia avrebbe da guadagnare recuperando la moneta nazionale, rinegoziando i debiti e rinunciando al fiscal compact. Al contrario la Germania avrebbe molto da perdere con la rottura delle euro perché dovrebbe rivalutare la sua moneta, e il nuovo marco forte frenerebbe notevolmente le sue esportazioni.
Molti sostengono che la rottura dell'euro sarebbe sconvolgente; e quasi tutti gli economisti e gli scienziati politici indicano che sarebbe di gran lunga preferibile accelerare l'unione politica, economica e fiscale dell'Unione Europea. Ma questa posizione appare essere ancora più illusoria e fantastica di quella pur difficile e complessa che prevede l'uscita dall'euro. Il problema infatti è che la Germania guadagna notevolmente da questa moneta unica che le permette di esportare facilmente i suoi prodotti senza affrontare la svalutazione dei paesi concorrenti, e che le consente di accogliere un flusso ingente di capitali internazionali: così i suoi debiti privati e pubblici hanno costi vicino allo zero, mentre i concorrenti pagano sempre più caro i loro debiti. La signora Merkel, o chi per lei, molto difficilmente acconsentirà a rinunciare all'egemonia tedesca e a realizzare un'unione europea alla pari che la costringerebbe a condividere i debiti dei paesi più deboli e a trasferire parte delle risorse tedesche ai PIIGS. L'unione economica, politica e fiscale dell'Europa è nei fatti sempre più lontana perché la Germania non accetterà di mettere in discussione la sua supremazia e i privilegi legati all'euro per mettersi alla pari degli altri paesi. E comunque la speculazione ha tempi molto più rapidi dei tempi politici necessari per l'unione europea.
Di fronte a questa situazione esistono tre scenari: o la rottura dell'euro, o un costante e graduale dissanguamento degli stati europei sotto l'egemonia tedesca, oppure il dissanguamento rapido degli stati europei e alla fine comunque la rottura delle euro. L'ultimo scenario è il più probabile, ma è anche il peggiore. Si impone una svolta radicale: non basta implorare la Germania di essere più generosa e buona con l'Italia. I paesi mediterranei, i paesi debitori, tra cui l'Italia e la Francia, dovrebbero tentare di fare fronte unito minacciando un ultimatum, cioè di uscire dall'euro se la Germania non rinuncerà immediatamente a imporre politiche recessive. E se la Germania, sotto la minaccia della rottura della moneta unica, non cambiasse radicalmente la sua politica di ottusa austerità, allora i paesi debitori dovrebbero effettivamente uscire dall'eurozona per non andare in rovina. Come suggerisce Lafontaine, occorrerebbe rinunciare all'euro, ritornare alle monete nazionali e concordare un sistema di cambi flessibili per rilanciare l'economia europea.
Uscire dall'euro non è una scelta facile; ma probabilmente diventerà obbligata. Appare infatti molto improbabile fare deflettere la Germania dalle sue politiche, e comunque le decisioni tedesche ovviamente non dipendono da noi. Forse la Corte Costituzionale di Vosskuhle potrebbe darci una mano impedendo alla Germania e alla BCE di continuare sulla strada di questo euro fallimentare. O invece permetterà loro di continuare a soffocare le economie dell'eurozona. Alla fine comunque dovremo decidere come abbandonare il Titanic che affonda, auspicabilmente prima di chiedere “aiuto” alla Troika e inabissarci del tutto. Bisogna correre per preparare le scialuppe di salvataggio.
NOTE
[1] The Economist, Germany and the euro:Yes, but…13 settembre 2012
[2] Enrico Grazzini, Micromega, Lafontaine e la trappola dell’euro, 21 maggio 2013
[3] Enrico Grazzini, Micromega, La trappola dell’euro, 30 aprile 2013
[4] Il fatto quotidiano, Enrico Grazzini, Precari. Il governo Letta vuole imitare il modello Schröder?, 21 giugno 2013
[5] Vedi per esempio il programma illustrato da Sbilanciamoci.info, il think tank degli economisti di SEL e PD, La rotta d’Italia. Vincere per cambiare, secondo il quale è possibile uscire dall'austerità con questo euro. “La crisi continuerà nel 2013 e le difficoltà del paese restano pesanti, la speculazione della finanza contro il debito pubblico italiano potrebbe ripartire, ma un governo di centro-sinistra potrebbe realizzare – in fretta – molte cose per rilanciare l’economia e cambiare rotta. La partita si gioca sulla possibilità di allargare i margini per politiche diverse – nei confronti dell’Europa del “Fiscal compact”, della finanza speculativa, dei “poteri forti” del paese – e questa possibilità sarà tanto più forte quanto più grande sarà la vittoria politica del centro-sinistra e della sinistra”.
[6] Marcello Minenna, La moneta incompiuta. Il futuro dell’euro e le soluzioni per uscire dalla grande crisi, prefazione di Susanna Camusso, Aprile 2013
[2] Enrico Grazzini, Micromega, Lafontaine e la trappola dell’euro, 21 maggio 2013
[3] Enrico Grazzini, Micromega, La trappola dell’euro, 30 aprile 2013
[4] Il fatto quotidiano, Enrico Grazzini, Precari. Il governo Letta vuole imitare il modello Schröder?, 21 giugno 2013
[5] Vedi per esempio il programma illustrato da Sbilanciamoci.info, il think tank degli economisti di SEL e PD, La rotta d’Italia. Vincere per cambiare, secondo il quale è possibile uscire dall'austerità con questo euro. “La crisi continuerà nel 2013 e le difficoltà del paese restano pesanti, la speculazione della finanza contro il debito pubblico italiano potrebbe ripartire, ma un governo di centro-sinistra potrebbe realizzare – in fretta – molte cose per rilanciare l’economia e cambiare rotta. La partita si gioca sulla possibilità di allargare i margini per politiche diverse – nei confronti dell’Europa del “Fiscal compact”, della finanza speculativa, dei “poteri forti” del paese – e questa possibilità sarà tanto più forte quanto più grande sarà la vittoria politica del centro-sinistra e della sinistra”.
[6] Marcello Minenna, La moneta incompiuta. Il futuro dell’euro e le soluzioni per uscire dalla grande crisi, prefazione di Susanna Camusso, Aprile 2013
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