di Norberto Fragiacomo, bentornatabandierarossa.blogspot.it
Istanbul, piazza Taksim:
il racconto è appassionato, le immagini dure e incalzanti. Crudele come
un Selim redivivo, il baffuto Erdogan minaccia di scatenare l’esercito
contro la folla: rabbrividiamo (senza neppure chiederci se i militari
gli obbediranno), e continuiamo a guardare, rapiti dallo schermo
colorato. Forse la Storia si fa sempre lontano da noi, in paesi remoti; o
forse, senza accorgercene, siamo diventati presbiti.
Perché anche noi italiani abbiamo le nostre piazze Taksim, e non da
ieri: più piccole, meno affollate, ben nascoste – in tivù – tra un
servizio di gossip e l’ultima sui 5Stelle (beh, è gossip pure questo, in
fondo).
Terni, 6 giugno: qualche centinaio di operai dell’ex Thyssen Krupp scende in strada, per segnalare il malessere di tante, troppe famiglie schiacciate tra l’incudine del Capitale e il martello della crisi. Il sindaco Leopoldo Di Girolamo (PD) è con loro anche quando la folla si dirige verso la stazione ferroviaria, per occupare i binari. Un’occupazione simbolica – sottolineerà a caldo lo stesso primo cittadino -, destinata a durare una decina di minuti, non più: una consuetudine, non certo una novità per la città umbra, avvezza alle proteste sociali. Solo che stavolta la polizia carica furiosamente, malgrado “i lavoratori fossero a mani alzate” (così Piermatti, assessore allo sviluppo economico). Nel parapiglia che segue il sindaco viene ferito al capo: le immagini lo mostrano sanguinante, incredulo. “Violenza incomprensibile”, mormora, e si riferisce ai celerini. Più tardi fa capolino un video che – secondo le autorità di polizia – “proverebbe” che a colpire il primo cittadino è stato un manifestante: l’arma del delitto sarebbe un ombrello, roba da vignetta di Altan. Le immagini sono tutt’altro che nitide, ma per il ministro dell’interno Angelino hanno l’autorevolezza del Vangelo, non importa se apocrifo: l’eterno segretario si dice “sollevato nell’aver avuto conferma che ancora una volta la Polizia ha svolto regolarmente il suo compito di tutela dell’ordine pubblico e dei cittadini”. Conferma? Quel video non conferma un bel niente, anche perché il diretto interessato, cioè il sindaco, ribadisce subito dopo di aver visto e sentito le manganellate, e aggiunge qualcosa di abbastanza inquietante: quei poliziotti venivano da fuori (Firenze, mi sembra), non prestano servizio in zona. Che poi manganellare dei cittadini inermi equivalga a “svolgere regolarmente i compiti di tutela dell’ordine pubblico e dei cittadini (gli stessi che sono stati aggrediti?)” è surrealismo puro: equiparazioni simili le accettiamo volentieri dal commissario Torrente, non da chi si pretende un servitore “dello Stato”. La dichiarazione preregistrata di AA chiude comunque il caso: i fari si spengono, si torna a parlar d’altro.
Terni, 6 giugno: qualche centinaio di operai dell’ex Thyssen Krupp scende in strada, per segnalare il malessere di tante, troppe famiglie schiacciate tra l’incudine del Capitale e il martello della crisi. Il sindaco Leopoldo Di Girolamo (PD) è con loro anche quando la folla si dirige verso la stazione ferroviaria, per occupare i binari. Un’occupazione simbolica – sottolineerà a caldo lo stesso primo cittadino -, destinata a durare una decina di minuti, non più: una consuetudine, non certo una novità per la città umbra, avvezza alle proteste sociali. Solo che stavolta la polizia carica furiosamente, malgrado “i lavoratori fossero a mani alzate” (così Piermatti, assessore allo sviluppo economico). Nel parapiglia che segue il sindaco viene ferito al capo: le immagini lo mostrano sanguinante, incredulo. “Violenza incomprensibile”, mormora, e si riferisce ai celerini. Più tardi fa capolino un video che – secondo le autorità di polizia – “proverebbe” che a colpire il primo cittadino è stato un manifestante: l’arma del delitto sarebbe un ombrello, roba da vignetta di Altan. Le immagini sono tutt’altro che nitide, ma per il ministro dell’interno Angelino hanno l’autorevolezza del Vangelo, non importa se apocrifo: l’eterno segretario si dice “sollevato nell’aver avuto conferma che ancora una volta la Polizia ha svolto regolarmente il suo compito di tutela dell’ordine pubblico e dei cittadini”. Conferma? Quel video non conferma un bel niente, anche perché il diretto interessato, cioè il sindaco, ribadisce subito dopo di aver visto e sentito le manganellate, e aggiunge qualcosa di abbastanza inquietante: quei poliziotti venivano da fuori (Firenze, mi sembra), non prestano servizio in zona. Che poi manganellare dei cittadini inermi equivalga a “svolgere regolarmente i compiti di tutela dell’ordine pubblico e dei cittadini (gli stessi che sono stati aggrediti?)” è surrealismo puro: equiparazioni simili le accettiamo volentieri dal commissario Torrente, non da chi si pretende un servitore “dello Stato”. La dichiarazione preregistrata di AA chiude comunque il caso: i fari si spengono, si torna a parlar d’altro.
Passa una settimana appena, e il copione viene riproposto (stavolta
senza ombrelli: è scoppiata l’estate). A Pomigliano sindacalisti e
lavoratori manifestano contro il “sabato di recupero produttivo” voluto
dall’azienda e sottoscritto, con inchiostro giallo, dai sindacati
“responsabili”. Non è una riunione sediziosa: al presidio di protesta,
durato tutta la notte, partecipano anche esponenti di forze politiche,
tra cui i 5Stelle (non fa notizia, però: mancano espulsione e
scontrini). All’alba, oltre alla stanchezza, arriva la polizia: scontri e
manganellate. Trambusto davanti ai cancelli, silenzio – o qualche
striminzito resoconto – sui media.
Cosa ci dicono questi due fatti, accaduti a brevissima distanza l’uno
dall’altro? Che il giro di vite è già in atto: siamo alle prove generali
della repressione prossima ventura. Per dirla con Pennacchi, il sistema
“ha le sue ragioni”: teme la rivolta sociale evocata anche dagli
imprenditori, perché sa che esploderà tra breve, e allora corre ai
ripari, adotta misure preventive, rammenta a tutti – in primis
all’uomo comune, terrorizzato dalla violenza – che protestare ha un
costo, non è gratis. Le dimostrazioni autunnali - ammoniscono le botte
di Terni e Pomigliano – non saranno una scampagnata con panino e birra.
Però magari la magistratura… sì, magari: sappiamo tutti come si sono
conclusi i processi ai protagonisti di Genova 2001. I picchiatori in
divisa sono stati prosciolti (prescrizione); la condanna più grave per
un alto funzionario è stata a cinque anni – anni virtuali, grazie
all’indulto. Un po’ peggio è andata ai manifestanti: la media è dieci
anni di reclusione a testa - veri, non per finta. Devono aver commesso
crimini orrendi… proprio così, un reato per il quale, casualmente,
l’indulto non trova applicazione: si chiama “devastazione e saccheggio”.
Morale: in Italia è consentito torturare, sequestrare, terrorizzare; ma
guai a chi dà fuoco a un cassonetto!
Segnali di fumo, che vanno tutti nella stessa direzione. Aggiungete al
minestrone un po’ di spezie: il prossimo aumento dell’Iva (che farà
crollare quel che resta della domanda), l’attuazione del fiscal compact,
licenziamenti di massa, tagli agli stipendi, contratti truffa in
azienda… miseria nera, cui le generazioni del dopoguerra non sono
abituate. Qualcosa succederà – ma, in assenza di uno schieramento
popolare, di strategie alternative – i rapporti di forza sono impari. Il
rischio (lo sostengo da annorum) è che scontento e disperazione
si traducano in sporadiche rivolte di piazza… in “devastazione e
saccheggio”.
In questo quadro dipinto da Bosch il compito della Sinistra (ammesso che
esista ancora) è chiaramente delineato: condurre la lotta per un cambio
di sistema. Nessuna alternativa: il Capitalismo è lo spettacolo di
ruberie, ingiustizie, violenze, impunità e arroganza cui assistiamo qui e
ora.
Basta con le polemiche su aggettivi, sigle e simili fesserie: è tempo di
progettare il domani.
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