di Liberotto Liberotti
Il giorno dopo della siderurgia ternana: la vendita dell'AST non è la
soluzione. Oltre diecimila persone fra lavoratori, studenti, cittadini
hanno sfilato lungo le vie che vanno dalle portinerie dell’acciaieria di
viale Brin a Piazza del Popolo, da sempre cuore politico di una
comunità costretta ancora una volta dagli eventi a stringersi a difesa
della fabbrica da cui dipende gran parte della sua identità.
Molte le delegazioni; dai portuali di Civitavecchia, porto di
riferimento per la commercializzazione dei prodotti dell’AST, agli
operai di Piombino e Taranto, gli altri due punti caldi di un settore –
quello siderurgico – che nonostante veda l’Italia al secondo posto in
Europa per produzioni e occupati, rischia adesso un ridimensionamento
difficilmente reversibile.
Ne sanno qualcosa proprio a Terni. Tutti i manifestanti, o quasi
tutti, erano in piazza anche 9 anni fa, quando la ThyssenKrupp, allora
proprietaria, decise la chiusura del lamierino magnetico , suscitando
una reazione che investì direttamente il Parlamento Europeo, costretto
per la prima volta a pronunciarsi ufficialmente contro le
delocalizzazioni produttive e per la salvaguardia dell’occupazione nella
siderurgia europea. Il magnetico fu chiuso lo stesso e i 400 posti di
lavoro persi per sempre, con il solo risultato in cambio di strappare
alla multinazionale investimenti per quasi 600 milioni di euro per la
riqualificazione degli impianti.
Ma il danno più grande di quella vertenza lo si misura nello
scetticismo che serpeggia adesso tra i lavoratori, dopo anni in cui il
livello di mobilitazione è stato mantenuto piuttosto basso. È cambiato
molto da quando, poco più di un anno fa, la vendita di Inoxum – il ramo
d’azienda nato dallo scorporo da parte di ThyssenKrupp del settore
dell’inossidabile – alla multinazionale finlandese Outokumpu aveva
elevato l’acciaieria ternana a polo di riferimento per la produzione di
acciaio inossidabile per il sud Europa. A raffreddare gli animi ci si è
messa prima la Germania, che ha respinto al mittente ogni ipotesi di
chiusura dei centri fusori tedeschi; poi, con una decisione che in molti
ritengono pretestuosa, l’Antitrust europeo, con l’imposizione ad
Outokumpu della vendita dell’AST ad un produttore di acciaio non
presente sul mercato europeo.
Qui comincia la storia recente: dei molti acquirenti annunciati se ne
presentano solo tre, anzi due, anzi uno: la cordata
Aperam-Arvedi-Marcegaglia, che presenta un’offerta cinque volte
inferiore al prezzo fissato da Outokumpu (580 milioni di euro) per
l’acquisto di una fabbrica che fattura in un anno oltre 2 miliardi di
euro. Del fatto che l’acquirente doveva essere esterno al mercato
europeo non si ricorda più nessuno, ad eccezione degli operai, ai quali
di passare con un gruppo industriale pesantemente indebitato e alle
prese con pesanti ristrutturazioni in Belgio e Francia proprio non va.
Neanche Outokumpu può accettare di vendere a così poco; per questo
l’Antitrust concede un’ulteriore proroga per la vendita, i cui termini
sono scaduti la metà del maggio 2013. I lavoratori – e con loro i
rappresentanti politici italiani di ogni livello, compreso il Governo –
sanno della proroga direttamente dalla riunione a Londra degli azionisti
di Outokumpu; è una trattativa privata, spiegano dall'Europa, che non
può essere turbata dall’iniziativa dei governi nazionali. Ammesso che
questa iniziativa sia nelle corde del primo ministro Letta.
Non c’è dubbio però che senza un’iniziativa forte delle istituzioni
italiane la vertenza dell’AST si avvia alla peggiore delle soluzioni
possibili, in un mercato dell’acciaio in crisi da anni e dove a livello
europeo, nell’action plan del vicepresidente Tajani, si parla di
sacrificare un quarto della capacità produttiva del continente. Le
manganellate piovute sugli operai ternani il 5 giugno e le
falsificazioni dei fatti operate dalla questura e dal ministero
dell’Interno con il “teorema dell’ombrello” stanno a dimostrare che il
percorso di lotte fatto in occasione del magnetico, nelle intenzioni del
Governo, non deve ripetersi.
Nel Comizio alla fine del corteo pesa ancora quanto accaduto. Giusto
una settimana prima il viceministro Bubbico, nel riferire in Parlamento
sugli scontri di Terni, aveva ribadito che la ferita del Sindaco di
Terni, Sen. Leopoldo di Girolamo, era dovuta non ad un colpo di
manganello, ma ad un’ombrellata, data da un operaio finito per questo
sotto accusa. Una tesi smentita dallo stesso Di Girolamo, che dal palco
ha rivendicato il ruolo di primaria importanza di Terni per l’economia
nazionale, difeso già nel 1944 quando gli operai impedirono ai nazisti
in ritirata di distruggere gli impianti. Un passato glorioso, che stride
oggi con il rischio di un dimezzamento produttivo; la riduzione del 30%
dei volumi avvenuta in questi primi mesi del 2013, insieme alla
concorrenza al ribasso sul presso dei prodotti siderurgici operato da
Outokumpu ai danni dell’AST - cioè ai danni dell’impianto che è
obbligata a vendere - stanno a significare che il tempo è in questo
momento il maggior nemico. Ma il Governo che ha subito passivamente la
proroga della vendita e mandato la polizia a picchiare i lavoratori è
anche il Governo del Partito Democratico; il problema per i
rappresentanti del territorio è quindi duplice, visto che se dal lato
della credibilità anche personale dei politici locali del PD presenti al
corteo del 5 giugno si può certo respingere, come fatto, la
ricostruzione dei fatti operata dal Ministero del vicepremier Alfano,
dall’altro rimane l’impossibilità di aspettarsi molto altro da un
Governo che, forse, sull’AST si sta già adoperando per contenere i
danni. Con buona pace del fatto che è ormai palese l’abuso di posizione
dominante praticato da Outokumpu, forse anche con accordi illegittimi di
cartello, per operare politiche dei prezzi scorretti ai danni non solo
dell'AST, ma di tutto il sistema industriale europeo; quello che
tecnicamente è chiamato dumping, esplicitamente vietato dai trattati
europei ma cresciuto in questi anni anche a causa delle importazioni di
acciaio dai mercati extraeuropei. Ma come vadano in Europa le cose,
specie in epoca di crisi, è assai poco chiaro, specie quando si è
reduci, come le istituzioni locali, da un viaggio a Strasburgo da cui
non si è ricavato quasi nulla.
Anche da parte sindacale la posizione verso il governo è di
vigilanza; stesso termine usato dalla Presidente dell’Umbria, Catiuscia
Marini, in riferimento alla vendita di una fabbrica che da sola
costituisce quasi la metà del PIL regionale. Ce n’è per chiedersi se,
fra tanti impegnati – finora infruttuosamente – a vigilare l’andamento
di una partita di così alto livello, ci sia qualcuno che proponga
un’alternativa allo scenario che si va delineando. Susanna Camusso non
va oltre l’auspicio di sentire i pugni del governo sbattere sui tavoli
europei; tavoli dai quali non si può uscire sempre con rinvii, perché la
fiducia in bianco, a detta della Segretaria della CGIL, non può e non
deve esser data a nessuno.
Quel che avverrà nei prossimi giorni, ancora una volta, è rimesso alla trattativa in corso; per gli operai dell’AST, che quest’estate andranno incontro ad una fermata degli impianti di oltre un mese, la paura è che ritroveranno una fabbrica ben diversa da quella lasciata. Una fabbrica dove non ci sarà più posto per intero per una classe operaia, quella ternana, la cui età media è sotto i 40 anni.
Quel che avverrà nei prossimi giorni, ancora una volta, è rimesso alla trattativa in corso; per gli operai dell’AST, che quest’estate andranno incontro ad una fermata degli impianti di oltre un mese, la paura è che ritroveranno una fabbrica ben diversa da quella lasciata. Una fabbrica dove non ci sarà più posto per intero per una classe operaia, quella ternana, la cui età media è sotto i 40 anni.
L’impatto del ridimensionamento dunque sarebbe fortissimo e non
attutibile con i normali strumenti di accompagnamento all’età
pensionabile, che peraltro nel frattempo è aumentata, grazie alla stessa
maggioranza che adesso sostiene Letta. Mentre si spera ancora in un
passo indietro dell'Antitrust sulla vendita e il ritorno a pieno titolo
dell'AST dentro Outokumpu, comincia a farsi largo la sensazione che,
senza un intervento pubblico volto ad acquisire la fabbrica, il declino
sia inevitabile; del resto la stessa Outokumpu è partecipata per il 33%
del suo capitale da Solidium, il fondo d’investimento del governo
finlandese. Perché allora non fare lo stesso in Italia? È la tesi
sostenuta dal PRC sin dall’inizio della vertenza, ma osteggiata dai
sindacati confederali, e finora non presa seriamente in considerazione
dal resto del centrosinistra umbro. Figuriamoci dunque a Roma. Per
adottare una strategia d’intervento analoga a quella finlandese, il
Governo potrebbe servirsi della cassa depositi e prestiti per acquisire
l’AST; una decisione che potrebbe essere replicata anche nel caso di
Piombino e che, con il commissariamento dell’ILVA di Taranto,
consentirebbe di mettere a sistema la gestione dei maggiori impianti
della siderurgia nazionale. Una scelta epocale, che infatti non sembra
essere all’ordine del giorno. A meno che la mobilitazione non cresca.
Proprio quello che il Governo e la Commissione Europea non vogliono.
Stufara (Prc): Per l'AST è ora di percorrere la strada dell'intervento pubblico
La grande manifestazione di Terni ha
dimostrato l'unità del territorio nel difendere una delle più grandi
fabbriche ancora attive nel nostro Paese; una fabbrica che costituisce
un polo d'eccellenza dell'industria italiana, ma che oscure logiche di
mercato mettono di fronte al rischio concreto del dimezzamento
produttivo ed occupazionale.
Quella di ieri è stata una grande risposta di democrazia e di
dignità, non solo verso chi ha tentato in questi giorni di
criminalizzare le ragioni della protesta, ma anche verso la passività
del Governo nazionale, che oltre ad aver subito senza batter ciglio la
decisione dell'Antitrust sulla vendita dell'AST è finora venuto meno
all'impegno di salvaguardarne l'integrità.
Appare dunque paradossale l'invito al Governo a vigilare sull'esito positivo della trattativa, dove l'unico acquirente in pista, la cordata Aperam-Arvedi-Marcegaglia, ha presentato un'offerta cinque volte inferiore al prezzo fissato da Outokumpu; come non accorgersi che la vera posta in gioco, aldilà della differenza delle cifre, è il ridimensionamento dell'AST? Il fatto che i volumi produttivi in questa prima metà del 2013 si siano ridotti del 30% e che Outokumpu stia facendo una concorrenza al ribasso sui prezzi dell'acciaio ai danni dell'AST, sottraendogli quote consistenti di mercato, dovrebbero bastare come campanello di allarme.
Non sono questi gli acquirenti che possono garantire il futuro della siderurgia ternana; non è questa la trattativa a cui affidarsi per difendere gli interessi nazionali.
Alla luce di quanto successo in questi mesi, le alternative a questo scenario si riducono a due;o l'Antitrust ritorna suoi suoi passi, consentendo ad Outokumpu di tenersi l'AST, o lo Stato italiano, come richiesto dai sindacati e dalle forze politiche locali, batte i pugni sui tavoli che contano. E li batte, aggiungiamo noi, avanzando una proposta di acquisizione dell'AST, candidandosi in questo modo a costituire il famoso quarto player europeo dell'acciaio, come inizialmente richiesto dall'Antitrust.
È ora di riconoscere senza equivocità che non ci si può rivolgere al mercato, peraltro in grave crisi, per risolvere i problemi da esso stesso creati; serve un atto di grande discontinuità rispetto alle politiche economiche promosse in questi anni, su cui chiamare a raccolta le forze vive del lavoro che hanno dato corpo alla manifestazione di Terni e che pongono in ultimo una questione di sovranità sull'industria del nostro Paese. Una questione che, se necessario, va posta al Governo direttamente a Palazzo Chigi.
* Presidente regionale Gruppo PRC-FdS
Appare dunque paradossale l'invito al Governo a vigilare sull'esito positivo della trattativa, dove l'unico acquirente in pista, la cordata Aperam-Arvedi-Marcegaglia, ha presentato un'offerta cinque volte inferiore al prezzo fissato da Outokumpu; come non accorgersi che la vera posta in gioco, aldilà della differenza delle cifre, è il ridimensionamento dell'AST? Il fatto che i volumi produttivi in questa prima metà del 2013 si siano ridotti del 30% e che Outokumpu stia facendo una concorrenza al ribasso sui prezzi dell'acciaio ai danni dell'AST, sottraendogli quote consistenti di mercato, dovrebbero bastare come campanello di allarme.
Non sono questi gli acquirenti che possono garantire il futuro della siderurgia ternana; non è questa la trattativa a cui affidarsi per difendere gli interessi nazionali.
Alla luce di quanto successo in questi mesi, le alternative a questo scenario si riducono a due;o l'Antitrust ritorna suoi suoi passi, consentendo ad Outokumpu di tenersi l'AST, o lo Stato italiano, come richiesto dai sindacati e dalle forze politiche locali, batte i pugni sui tavoli che contano. E li batte, aggiungiamo noi, avanzando una proposta di acquisizione dell'AST, candidandosi in questo modo a costituire il famoso quarto player europeo dell'acciaio, come inizialmente richiesto dall'Antitrust.
È ora di riconoscere senza equivocità che non ci si può rivolgere al mercato, peraltro in grave crisi, per risolvere i problemi da esso stesso creati; serve un atto di grande discontinuità rispetto alle politiche economiche promosse in questi anni, su cui chiamare a raccolta le forze vive del lavoro che hanno dato corpo alla manifestazione di Terni e che pongono in ultimo una questione di sovranità sull'industria del nostro Paese. Una questione che, se necessario, va posta al Governo direttamente a Palazzo Chigi.
* Presidente regionale Gruppo PRC-FdS
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