Lista Tsipras. Ora occorre creare una struttura organizzativa nuova, che sia una sintesi tra partiti e movimenti
Il 4% raggiunto dall’Altra Europa è un risultato molto
importante. L’ultima volta che la sinistra aveva superato il quorum
in un’elezione di rilevanza nazionale era il 2006. Ce l’ha fatta,
questa volta, nella situazione forse più difficile. In una crisi
radicale dei partiti a sinistra del Pd. Con un nome e un simbolo
nati a tre mesi dalle elezioni. Con la difficoltà di dover
coinvolgere in poco tempo soggetti diversi e in parte conflittuali
tra loro. All’interno di una polarizzazione mediatica in cui era
difficile inserirsi. Un successo, quindi, per niente scontato.
Dovuto principalmente a tre fattori.
La grande mobilitazione e presenza territoriale di cui la
sinistra, nelle sue diverse componenti di partito, associative, di
movimento, è ancora capace. Il fatto di aver costruito un’esperienza
diversa dai recenti e fallimentari cartelli elettorali, più ricca,
non limitata ai ceti politici, aperta al contributo di soggetti
sociali e singoli individui. La presenza di due partiti,
Rifondazione e Sel, che hanno dato un contributo determinante sia
nella raccolta delle firme che nella campagna elettorale, e che
sono dotate di elettorali esigui ma piuttosto stabili.
In tutte le iniziative elettorali della Lista tornava la
domanda: cosa succede dopo il 25 maggio? I promotori hanno già
annunciato che si andrà avanti. Finalmente, alla prossima scadenza
elettorale, non si dovrà ripartire da zero. È necessario, allora,
valorizzare gli aspetti più importanti emersi in questi mesi,
provare a superarne i limiti ed evitare gli errori storici che hanno
caratterizzato i rapporti tra le sinistre politiche e sociali.
C’è, prima di tutto, una fragilità strutturale, la stessa da cui
sono originate tutte le tensioni, le divisioni e le scissioni della
sinistra radicale negli ultimi vent’anni: il rapporto con il
centro-sinistra. Il problema riguarda soprattutto Sel. La riunione
della presidenza nazionale non ha chiarito del tutto la direzione
che prenderà questo partito, soprattutto quando si avvicineranno
le prossime scadenze elettorali. Sarebbe importante sciogliere
questo nodo – che storicamente, appunto, è quello determinante —
il prima possibile. Le sinistre hanno spesso vissuto il rapporto
con il Pds-Ds-Pd come una guerra di religione, basata sulla divisione
tra il «sempre e comunque sì» e l’«assolutamente no». Sul piano
locale, dalle amministrative alle regionali, forse si potrà provare
ad essere laici, vedendo, di situazione in situazione, se e dove ci
saranno le condizioni per instaurare con il centro-sinistra
confronti programmatici, e lasciando in ogni caso l’ultima parola
a una consultazione degli attivisti e dei militanti. La
democraticità dei processi, soprattutto su scelte determinanti,
è l’unica garanzia per la continuità di un’esperienza basata sulla
convergenza tra identità e tradizioni organizzative eterogenee.
Sul piano nazionale, invece, è davvero illusorio pensare che il
Pd di Renzi si lasci minimamente condizionare da sinistra, essendo
la cancellazione di ogni traccia della sinistra una delle sue
mission fondamentali. Particolare non irrilevante: non sembra
affatto interessato alla ricostruzione di un centro-sinistra. Non
a caso i media ne esaltano la continuità con il progetto di
Veltroni. Lo stesso ragionamento vale per una parte consistente
dell’elettorato del Pd, che ha già dimostrato molte volte – da ultimo
questa volta – di essere sostanzialmente inamovibile e di non
riuscire a resistere al richiamo del voto utile. Non
è prevalentemente in quella direzione che si può pensare di
espandere il proprio consenso. Sarà invece molto più importante
capire come arrivare a quei 3/5 di elettorato — in buona misura
popolare – costituito dall’insieme di M5S e astensionismo.
Ma adesso, per fortuna, le prospettive immediate non sono di
natura elettorale. Si può provare a impostare un progetto di lungo
periodo, che cresca e si radichi magari lentamente, ma
progressivamente, in modo cumulativo, senza che eventuali
sconfitte o arretramenti ne mettano in discussione le ragioni di
fondo, e senza l’assillo di raggiungere quorum ed eleggere
personale politico.
Va superata, e tutti i promotori ne sono
consapevoli, la struttura organizzativa un po’ autocratica che
l’emergenzialità dell’esperimento elettorale ha in qualche modo
imposto. Sarà importante costruire forme organizzative inclusive,
che garantiscano nello stesso tempo il massimo della
partecipazione possibile e la capacità di essere efficaci sia
nella presa di decisione che nella costruzione dell’iniziativa
collettiva. L’Altra Europa ha visto l’adesione di forze sociali
importanti o di alcune loro componenti, come il collettivo Link, il
Partito Pirata, esponenti del movimento per l’acqua e dell’Arci,
i tanti candidati che hanno rappresentato lotte sociali
e territoriali. La partecipazione attiva di questi soggetti
è un fatto inedito e molto rilevante, che parla di un processo
storico di possibile mutamento del rapporto tra azione sociale
e politica convenzionale: movimenti e forze sociali stanno
cominciando, soprattutto a livello locale, ad assumere un ruolo di
intervento diretto nella seconda. La forma-partito e la forma-movimento
possono contaminarsi a vicenda, contribuendo a creare una nuova
forma dell’azione collettiva che superi i limiti storici di entrambe.
È necessario, in questa direzione, allargare ulteriormente il
campo delle forze sociali con cui ragionare su una prospettiva
politica comune, che sia costruita da subito come iniziativa aperta,
plurale e basata su relazioni paritarie. Tutti – chi ha promosso
l’Altra Europa e chi, auspicabilmente, arriverà — devono partire
sullo stesso piano, e tutti devono potersi sentire garanti degli
obiettivi e della stabilità del progetto.
Si può lavorare, per esempio, all’idea di una sorta di
«Convenzione nazionale anti-liberista», un movimento, al contempo
politico e sociale, di autodifesa della società dall’uso che le
classi dirigenti stanno facendo della crisi? Il progetto dell’«Altra
Europa» vivrà – vista la disparità di forze con gli avversari – se
oltre che un’organizzazione politica riuscirà ad essere una
coalizione sociale, che ha nella difesa dei ceti popolari e dei
servizi pubblici il proprio scopo principale. E vivrà se avrà
ambizioni egemoniche, perché il vero minoritarismo consiste
nel pensare che solo altri possano vincere.
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