martedì 27 gennaio 2015

CON CHI CI STA A FARE COSA di paolo Andreozzi

syriza-vince-elezioni-grecia-tsipras-e1422222770794

Ci ho pensato. Come tutti, credo. (Come tutti voi che leggete queste pagine, intendo; che se non foste gente che passa di qui ogni tanto e legge, forse non sareste neanche gente che pensa intorno a cose come la seguente.)
Syriza e Anel alleati di governo.
Ossia, Tsipras che neanche dodici ore dopo la proclamazione della vittoria schiacciante di Syriza dichiara di poter formare un governo che avrà la maggioranza in Parlamento, e che quindi è in pieno diritto di salire dal Capo dello Stato Papoulias per firmare come Presidente del Consiglio incaricato – cosa che ha fatto pochissime ore fa.
Solo che – ecco il punto – quel governo e quella maggioranza non sono di Syriza soltanto (la quale per poche migliaia di voti ha mancato il bersaglio dei 151 parlamentari, con cui poteva fare a meno di chiunque altro), ma ai 149 deputati di Syriza si aggiungono i 13 di Anel; totale: 162 voti a sostegno del governo che Papoulias ha dato mandato a Tsipras di formare.
(In effetti 149 a 13 non è esattamente come 1 a 1, quindi dire piattamente che Syriza e Anel sono alleati può far capire le cose un po’ diversamente da come stanno; e badate, che tanta informazione proprio su questo rischio di fraintendimento giocherà per i propri interessi di parte, a destra come a ‘sinistra’.)
Comunque dà da pensare: Tsipras che vince (quasi stravince), e la prima cosa che fa è chiedere quel pezzetto di forza che gli manca a Kammenos, il leader di Anel, cioè della piccola formazione recentemente fuoriuscita da destra da Nea Dimokratia – che è già un partito di centrodestra.
E ci ho pensato, ripeto.
E ho capito, credo.

Ho capito che si tratta più o meno di unique selling proposition, che in italiano potrebbe essere tradotto come ‘argomentazione esclusiva di vendita’. Secondo tale principio una strategia di comunicazione, affinché possa essere efficace, deve puntare su un unico argomento; e per ‘unico’ s’intende una caratteristica propria di un progetto o di un’azione (oggetti della comunicazione) che non possa essere emulata dai competitori nella grande arena sociale: facendo leva su un’unica ragione logica per la quale converrebbe (all’opinione pubblica) sostenere un dato progetto o desiderare una data azione, è possibile eliminare rischi di dispersione, concentrare lo sforzo persuasivo su un solo ‘punto cardinale’, e con coerenza stabilizzare un’adesione di massa alle proprie tesi (anche se non si possiedono molte risorse).
Ma ciò che vale in comunicazione vale anche in politica, evidentemente.

Ora, qual è stata la forza di Syriza e di Tsipras per tutto il periodo della campagna elettorale? Anzi, qual è stata la loro forza sin dagli inizi della crescita del fenomeno Syriza e della leadership Tsipras, coincisa col peggiorarsi della crisi economica greca? La loro forza la esprime senza giri di parole il programma stesso di Syriza per queste elezioni. Diceva Tsipras: “Come primo passo chiederemo una conferenza internazionale per tagliare il nostro debito, come la Germania nel 1952: un 62% in meno che non andrebbe a penalizzare i crediti in mano ai privati, ma che dovrebbe essere concesso dalla Trojka – Bce, Ue e Fmi – che hanno in tasca una fetta enorme del debito pubblico greco. Questo sarà il punto di partenza di una serie di riforme: elettricità gratuita e buoni pasto a 300.000 famiglie povere, ripristino della tredicesima per i pensionati sotto i 700 euro al mese, rialzo da 5 a 12 mila euro della fascia di reddito esentasse e da 586 a 751 euro al mese dello stipendio minimo, una supertassa sugli immobili di lusso e una battaglia contro l’evasione fiscale. Più qualche miliardo di investimenti pubblici per creare lavoro.”
Vedete? Tsipras ha sempre e soltanto parlato di un argomento, in fondo: ha parlato di equità sociale, ossia di ricchezza e povertà, ossia di chi possiede cosa e che cosa ne fa. Ha battuto sempre su questo punto, dall’inizio della sua esperienza in Syriza all’ultimo giorno di campagna. Ed è per questo – io credo – che in pochi anni il suo partito è diventato, da una ‘riserva indiana’ che era, il primo partito della Grecia; e senza snaturarsi ideologicamente.
(Se può aiutare, facciamo un rapidissimo parallelo con la strategia di unique selling proposition adottata tanti anni fa dalla Lega di Bossi, federalismo, quella più recente di Grillo, democrazia diretta, e ancora più recente di Renzi, rottamazione. Sono tre sciocchezze, ovviamente, a differenza abissale dall’idea-forza di Tsipras, per di più utilizzate da tre imbonitori in malafede, a distanza siderale dall’etica politica di Tsipras, ma così ci siamo capiti.)

E quindi, non appena conseguita la vittoria elettorale (e a causa del fatto che non è stata una vittoria totale, cioè con una maggioranza imponente ma non assoluta dei seggi), Tsipras ha coerentemente cercato un (piccolo) alleato tra chi gli permetteva di tener fede a quella sua impostazione vincente di chiarezza politica.
Poteva essere il Pasok, cioè (fate conto) il PD greco? Ma se il Pasok ha governato con Samaras in totale ossequio delle imposizioni neo-liberiste dominanti, che lasciano la ricchezza a chi ce l’ha – anzi, gliela accrescono! Poteva essere To Potami, il nuovissimo partitino un po’ più a sinistra (cioè, meno al centro) del Pasok, ma che ha toni molto morbidi con la Trojka e coi suoi diktat (in effetti esprime posizioni di un pezzetto di ceto medio ancora garantito)? Potevano essere i ‘comunisti duri e puri’ del KKE, coi quali prima ancora di mettersi seduto a un tavolo qualunque di trattativa sulla politica economica avrebbe dovuto spaccare in quattro ogni capello da Atene alla Corea del Nord, passando i Curdi e le Tigri Tamil? No.
Ma poteva essere l’Anel. Che, d’accordo, ha sulla propria ‘carta d’identità’ la dicitura di (piccolo) partito di destra – e infatti su argomenti come matrimoni omosessuali, diritti civili, rapporti Stato e Chiesa e immigrazione, interpreta diligentemente il proprio ruolo reazionario – ma che ha la stessa priorità di Syriza quanto a un intervento immediato di redistribuzione economica, in barba al memorandum dell’Europa che ha strozzato i lavoratori greci e i cittadini (quasi) tutti.

Morale: Tsipras ha fatto – e sta facendo con coerenza, anche se ci ha dato da pensare – ciò che la sinistra radicale italiana, in tutte le sue forme e organizzazioni (o dis-organizzazioni), proprio non concepisce neppure. Infatti le varie (e piccole) anime della sinistra nel nostro Paese ambirebbero a comunicare le proprie idee, ai milioni di italiani che subiscono la crisi, in ordine ad argomenti i più diversi – tutti importanti, beninteso – come la politica (le alleanze), la politologia (la forma-partito), la sfera istituzionale (le grandi riforme), quella civico-politica (i nuovi diritti), quella giudiziaria (la corruzione), la Storia dei popoli (la Palestina, l’Ucraina), la geopolitica (il terrorismo, la fame nel mondo). E oltretutto ambirebbero a farlo da subito (anzi, veramente lo fanno già da ieri – da sempre), da ora che sono davvero anime esili con vocine sottili sottili; non, semmai, da quando saranno abbastanza grandi e forti da far sentire la propria voce autorevole sullo stato di salute dell’Universo!
Ma purtroppo gli italiani, prostrati dalla crisi (e certo non aiutati nelle funzioni del comprendonio da un sistema di rimbecillimento di massa ormai trentennale), a tutto questo non possono appassionarsi. Essi si appassionerebbero, giustamente, all’argomento-principe dei loro pensieri spontanei: finire di vedersela così brutta. Come? Con un reddito dignitoso, frutto di un lavoro buono. Da crearsi quando? A valle di una politica economica di grandi redistribuzioni, investimenti, interventi pubblici. Coi soldi da trovarsi dove? Con la moratoria sul debito, con la lotta vera all’evasione fiscale, con una bella patrimoniale, con l’internalizzazione e la messa a frutto di intere filiere produttive in via di svendita e privatizzazione, con l’applicazione precisa dei principi costituzionali in materia di proprietà e impresa, di lavoro e dignità sociale, con quel po’ di socialismo possibile che magari la gente non sa che vuol dire il nome ma ne capirebbe e apprezzerebbe gli effetti concreti.

Syriza ci proverà così, io credo di capire: col suo strano piccolo alleato, a tener fede a quel punto prioritario del programma. Per aiutare la grande massa dei cittadini greci a uscire dal pozzo nero della povertà, a scapito delle ricchezze di chi pure con la crisi (e soprattutto) si è arricchito. Ci sarà una parte dell’opinione progressista che tutto questo non lo apprezzerà, quelli per cui il matrimonio omosessuale e la laicità dell’insegnamento sono prioritari, e quindi l’alleanza tra Syriza e Anel la vedrà come un tradimento; ma per tantissima gente anche solo porsi la questione di un nuovo diritto civile è un lusso, che va affrontato un attimo dopo aver risolto la questione della sopravvivenza: quella di chi ha cosa e cosa ne fa.

Anche io sono (nel mio piccolo) un garantito, e quindi posso (ancora) permettermi di mettere a fuoco nei miei pensieri e nelle mie azioni politiche la battaglia anti-sessista, quella anti-razzista, quella anti-oscurantista, quella cosmopolita per i Curdi e per il Chiapas. E’ ben per questo che, negli anni scorsi (pre-crisi, diciamo), ha fatto breccia nel mio animo una comunicazione progressista di questo stampo.
Ma Tsipras ci sta dicendo due cose: che non è così che si coagula una forza politica radicale di massa, e che tale ‘menù di intenti’ è terribilmente invecchiato col trascorrere della crisi. Ci sta dicendo che qui e ora, se si vuole combattere la deriva anti-democratica che il capitale mondiale impone perfino all’Europa, culla dell’Umanesimo, qui e ora si deve andare al cuore del problema – con chi ci sta. E per un po’, pensare solo a quello; confidando che vengano poi il tempo e la forza per affrontare, da sinistra, anche tutto il resto.
“Intanto la pace e la terra, subito: per tutti! Chi vuole questo è con me!”, diceva quello. Era il ’17.

Concludo.
Qualcuno dalle nostre parti leggerà in modo esattamente contrario la lezione di Syriza, dicendoci che se Tsipras per governare ha stretto un’alleanza con un partito di destra, noi (intendo noi compagni della sinistra-sinistra) che non vogliamo metterci nemmeno seduti a tavola con Civati, che non vogliamo ancora credere alla buona fede di Vendola, che non ci fidiamo poi tanto di un ritorno insperato come quello di Cofferati, allora non abbiamo capito proprio niente: che siamo settari, affetti dalla libidine della sconfitta.
Non sentite già i loro flauti vellutare così?
Ma è vero l’opposto. Ciò che al limite può mettere insieme Cofferati, Vendola, Civati, Rodotà, Landini e Ferrero, più qualche giovane di belle speranze, è forse un comune paradigma di libertà civili, sessuali, culturali e internazionaliste – cioè il tipico piatto un po’ freddino della ristretta intelligencija progressista. Che in quanto tale, non acquisendo oggi come oggi alcun traino di massa, non impensierirebbe (e non impensierirà) affatto il sistema di poteri dominanti e di diseguaglianze vigenti. Provate infatti a chiedere a ognuno dei suddetti cosa pensi di fare, semmai ne avesse la facoltà politica, su cose invece come la decurtazione del debito sovrano, l’elettricità gratuita e i buoni pasto alle famiglie povere, un forte aumento delle pensioni minime, il reddito minimo garantito (e più che dignitoso), la patrimoniale, la spesa pubblica per creare lavoro, l’obiettivo della piena occupazione: non sarebbero d’accordo su nulla!
Ed è vero che, sapendo di non esserlo, parlano d’altro. Da tanto tempo, praticamente da sempre.
Ancora oggi, e domani; senza costrutto.
E’ questa qui la sconfitta certa, perenne, comprovata. Il neoliberismo, per questo, si smascella senza ritegno. Libidinosamente.

Allora buon lavoro, Presidente Tsipras! Buon lavoro e buona lotta, compagne e compagni di Syriza! Buona lotta e buona vita, fratelli e sorelle dell’amata Grecia!
Io ho fiducia, ci provo. Vorrei tanto che i fatti che accadranno dessero ragione ai pensieri che ho tentato di mettere qui in fila.
Lo vorrei per voi, per me, per noi. Per un futuro (ancora) possibile.
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Ci ho pensato. Come tutti, credo. (Come tutti voi che leggete queste pagine, intendo; che se non foste gente che passa di qui ogni tanto e legge, forse non sareste neanche gente che pensa intorno a cose come la seguente.)
Syriza e Anel alleati di governo.
Ossia, Tsipras che neanche dodici ore dopo la proclamazione della vittoria schiacciante di Syriza dichiara di poter formare un governo che avrà la maggioranza in Parlamento, e che quindi è in pieno diritto di salire dal Capo dello Stato Papoulias per firmare come Presidente del Consiglio incaricato – cosa che ha fatto pochissime ore fa.
Solo che – ecco il punto – quel governo e quella maggioranza non sono di Syriza soltanto (la quale per poche migliaia di voti ha mancato il bersaglio dei 151 parlamentari, con cui poteva fare a meno di chiunque altro), ma ai 149 deputati di Syriza si aggiungono i 13 di Anel; totale: 162 voti a sostegno del governo che Papoulias ha dato mandato a Tsipras di formare.
(In effetti 149 a 13 non è esattamente come 1 a 1, quindi dire piattamente che Syriza e Anel sono alleati può far capire le cose un po’ diversamente da come stanno; e badate, che tanta informazione proprio su questo rischio di fraintendimento giocherà per i propri interessi di parte, a destra come a ‘sinistra’.)
Comunque dà da pensare: Tsipras che vince (quasi stravince), e la prima cosa che fa è chiedere quel pezzetto di forza che gli manca a Kammenos, il leader di Anel, cioè della piccola formazione recentemente fuoriuscita da destra da Nea Dimokratia – che è già un partito di centrodestra.
E ci ho pensato, ripeto.
E ho capito, credo.
Ho capito che si tratta più o meno di unique selling proposition, che in italiano potrebbe essere tradotto come ‘argomentazione esclusiva di vendita’. Secondo tale principio una strategia di comunicazione, affinché possa essere efficace, deve puntare su un unico argomento; e per ‘unico’ s’intende una caratteristica propria di un progetto o di un’azione (oggetti della comunicazione) che non possa essere emulata dai competitori nella grande arena sociale: facendo leva su un’unica ragione logica per la quale converrebbe (all’opinione pubblica) sostenere un dato progetto o desiderare una data azione, è possibile eliminare rischi di dispersione, concentrare lo sforzo persuasivo su un solo ‘punto cardinale’, e con coerenza stabilizzare un’adesione di massa alle proprie tesi (anche se non si possiedono molte risorse).
Ma ciò che vale in comunicazione vale anche in politica, evidentemente.
Ora, qual è stata la forza di Syriza e di Tsipras per tutto il periodo della campagna elettorale? Anzi, qual è stata la loro forza sin dagli inizi della crescita del fenomeno Syriza e della leadership Tsipras, coincisa col peggiorarsi della crisi economica greca? La loro forza la esprime senza giri di parole il programma stesso di Syriza per queste elezioni. Diceva Tsipras: “Come primo passo chiederemo una conferenza internazionale per tagliare il nostro debito, come la Germania nel 1952: un 62% in meno che non andrebbe a penalizzare i crediti in mano ai privati, ma che dovrebbe essere concesso dalla Trojka – Bce, Ue e Fmi – che hanno in tasca una fetta enorme del debito pubblico greco. Questo sarà il punto di partenza di una serie di riforme: elettricità gratuita e buoni pasto a 300.000 famiglie povere, ripristino della tredicesima per i pensionati sotto i 700 euro al mese, rialzo da 5 a 12 mila euro della fascia di reddito esentasse e da 586 a 751 euro al mese dello stipendio minimo, una supertassa sugli immobili di lusso e una battaglia contro l’evasione fiscale. Più qualche miliardo di investimenti pubblici per creare lavoro.”
Vedete? Tsipras ha sempre e soltanto parlato di un argomento, in fondo: ha parlato di equità sociale, ossia di ricchezza e povertà, ossia di chi possiede cosa e che cosa ne fa. Ha battuto sempre su questo punto, dall’inizio della sua esperienza in Syriza all’ultimo giorno di campagna. Ed è per questo – io credo – che in pochi anni il suo partito è diventato, da una ‘riserva indiana’ che era, il primo partito della Grecia; e senza snaturarsi ideologicamente.
(Se può aiutare, facciamo un rapidissimo parallelo con la strategia di unique selling proposition adottata tanti anni fa dalla Lega di Bossi, federalismo, quella più recente di Grillo, democrazia diretta, e ancora più recente di Renzi, rottamazione. Sono tre sciocchezze, ovviamente, a differenza abissale dall’idea-forza di Tsipras, per di più utilizzate da tre imbonitori in malafede, a distanza siderale dall’etica politica di Tsipras, ma così ci siamo capiti.)
E quindi, non appena conseguita la vittoria elettorale (e a causa del fatto che non è stata una vittoria totale, cioè con una maggioranza imponente ma non assoluta dei seggi), Tsipras ha coerentemente cercato un (piccolo) alleato tra chi gli permetteva di tener fede a quella sua impostazione vincente di chiarezza politica.
Poteva essere il Pasok, cioè (fate conto) il PD greco? Ma se il Pasok ha governato con Samaras in totale ossequio delle imposizioni neo-liberiste dominanti, che lasciano la ricchezza a chi ce l’ha – anzi, gliela accrescono! Poteva essere To Potami, il nuovissimo partitino un po’ più a sinistra (cioè, meno al centro) del Pasok, ma che ha toni molto morbidi con la Trojka e coi suoi diktat (in effetti esprime posizioni di un pezzetto di ceto medio ancora garantito)? Potevano essere i ‘comunisti duri e puri’ del KKE, coi quali prima ancora di mettersi seduto a un tavolo qualunque di trattativa sulla politica economica avrebbe dovuto spaccare in quattro ogni capello da Atene alla Corea del Nord, passando i Curdi e le Tigri Tamil? No.
Ma poteva essere l’Anel. Che, d’accordo, ha sulla propria ‘carta d’identità’ la dicitura di (piccolo) partito di destra – e infatti su argomenti come matrimoni omosessuali, diritti civili, rapporti Stato e Chiesa e immigrazione, interpreta diligentemente il proprio ruolo reazionario – ma che ha la stessa priorità di Syriza quanto a un intervento immediato di redistribuzione economica, in barba al memorandum dell’Europa che ha strozzato i lavoratori greci e i cittadini (quasi) tutti.
Morale: Tsipras ha fatto – e sta facendo con coerenza, anche se ci ha dato da pensare – ciò che la sinistra radicale italiana, in tutte le sue forme e organizzazioni (o dis-organizzazioni), proprio non concepisce neppure. Infatti le varie (e piccole) anime della sinistra nel nostro Paese ambirebbero a comunicare le proprie idee, ai milioni di italiani che subiscono la crisi, in ordine ad argomenti i più diversi – tutti importanti, beninteso – come la politica (le alleanze), la politologia (la forma-partito), la sfera istituzionale (le grandi riforme), quella civico-politica (i nuovi diritti), quella giudiziaria (la corruzione), la Storia dei popoli (la Palestina, l’Ucraina), la geopolitica (il terrorismo, la fame nel mondo). E oltretutto ambirebbero a farlo da subito (anzi, veramente lo fanno già da ieri – da sempre), da ora che sono davvero anime esili con vocine sottili sottili; non, semmai, da quando saranno abbastanza grandi e forti da far sentire la propria voce autorevole sullo stato di salute dell’Universo!
Ma purtroppo gli italiani, prostrati dalla crisi (e certo non aiutati nelle funzioni del comprendonio da un sistema di rimbecillimento di massa ormai trentennale), a tutto questo non possono appassionarsi. Essi si appassionerebbero, giustamente, all’argomento-principe dei loro pensieri spontanei: finire di vedersela così brutta. Come? Con un reddito dignitoso, frutto di un lavoro buono. Da crearsi quando? A valle di una politica economica di grandi redistribuzioni, investimenti, interventi pubblici. Coi soldi da trovarsi dove? Con la moratoria sul debito, con la lotta vera all’evasione fiscale, con una bella patrimoniale, con l’internalizzazione e la messa a frutto di intere filiere produttive in via di svendita e privatizzazione, con l’applicazione precisa dei principi costituzionali in materia di proprietà e impresa, di lavoro e dignità sociale, con quel po’ di socialismo possibile che magari la gente non sa che vuol dire il nome ma ne capirebbe e apprezzerebbe gli effetti concreti.
Syriza ci proverà così, io credo di capire: col suo strano piccolo alleato, a tener fede a quel punto prioritario del programma. Per aiutare la grande massa dei cittadini greci a uscire dal pozzo nero della povertà, a scapito delle ricchezze di chi pure con la crisi (e soprattutto) si è arricchito. Ci sarà una parte dell’opinione progressista che tutto questo non lo apprezzerà, quelli per cui il matrimonio omosessuale e la laicità dell’insegnamento sono prioritari, e quindi l’alleanza tra Syriza e Anel la vedrà come un tradimento; ma per tantissima gente anche solo porsi la questione di un nuovo diritto civile è un lusso, che va affrontato un attimo dopo aver risolto la questione della sopravvivenza: quella di chi ha cosa e cosa ne fa.
Anche io sono (nel mio piccolo) un garantito, e quindi posso (ancora) permettermi di mettere a fuoco nei miei pensieri e nelle mie azioni politiche la battaglia anti-sessista, quella anti-razzista, quella anti-oscurantista, quella cosmopolita per i Curdi e per il Chiapas. E’ ben per questo che, negli anni scorsi (pre-crisi, diciamo), ha fatto breccia nel mio animo una comunicazione progressista di questo stampo.
Ma Tsipras ci sta dicendo due cose: che non è così che si coagula una forza politica radicale di massa, e che tale ‘menù di intenti’ è terribilmente invecchiato col trascorrere della crisi. Ci sta dicendo che qui e ora, se si vuole combattere la deriva anti-democratica che il capitale mondiale impone perfino all’Europa, culla dell’Umanesimo, qui e ora si deve andare al cuore del problema – con chi ci sta. E per un po’, pensare solo a quello; confidando che vengano poi il tempo e la forza per affrontare, da sinistra, anche tutto il resto.
“Intanto la pace e la terra, subito: per tutti! Chi vuole questo è con me!”, diceva quello. Era il ’17.
Concludo.
Qualcuno dalle nostre parti leggerà in modo esattamente contrario la lezione di Syriza, dicendoci che se Tsipras per governare ha stretto un’alleanza con un partito di destra, noi (intendo noi compagni della sinistra-sinistra) che non vogliamo metterci nemmeno seduti a tavola con Civati, che non vogliamo ancora credere alla buona fede di Vendola, che non ci fidiamo poi tanto di un ritorno insperato come quello di Cofferati, allora non abbiamo capito proprio niente: che siamo settari, affetti dalla libidine della sconfitta.
Non sentite già i loro flauti vellutare così?
Ma è vero l’opposto. Ciò che al limite può mettere insieme Cofferati, Vendola, Civati, Rodotà, Landini e Ferrero, più qualche giovane di belle speranze, è forse un comune paradigma di libertà civili, sessuali, culturali e internazionaliste – cioè il tipico piatto un po’ freddino della ristretta intelligencija progressista. Che in quanto tale, non acquisendo oggi come oggi alcun traino di massa, non impensierirebbe (e non impensierirà) affatto il sistema di poteri dominanti e di diseguaglianze vigenti. Provate infatti a chiedere a ognuno dei suddetti cosa pensi di fare, semmai ne avesse la facoltà politica, su cose invece come la decurtazione del debito sovrano, l’elettricità gratuita e i buoni pasto alle famiglie povere, un forte aumento delle pensioni minime, il reddito minimo garantito (e più che dignitoso), la patrimoniale, la spesa pubblica per creare lavoro, l’obiettivo della piena occupazione: non sarebbero d’accordo su nulla!
Ed è vero che, sapendo di non esserlo, parlano d’altro. Da tanto tempo, praticamente da sempre.
Ancora oggi, e domani; senza costrutto.
E’ questa qui la sconfitta certa, perenne, comprovata. Il neoliberismo, per questo, si smascella senza ritegno. Libidinosamente.

Allora buon lavoro, Presidente Tsipras! Buon lavoro e buona lotta, compagne e compagni di Syriza! Buona lotta e buona vita, fratelli e sorelle dell’amata Grecia!
Io ho fiducia, ci provo. Vorrei tanto che i fatti che accadranno dessero ragione ai pensieri che ho tentato di mettere qui in fila.
Lo vorrei per voi, per me, per noi. Per un futuro (ancora) possibile.

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