lunedì 12 gennaio 2015

I fatti di Parigi e il complottismo: una chiave di lettura consolatoria e fuorviante di Marco Santopadre


I fatti di Parigi e il complottismo: una chiave di lettura consolatoria e fuorviante
Sono stati gli israeliani”, “Gli Usa hanno colpito la Francia perché è contro le sanzioni alla Russia”, “Perché il corpo del poliziotto non sanguina? E’ tutta una messinscena, a Parigi non è mai morto nessuno”, “Dicono che è stato l’Isis? Ma se l’Isis è un’invenzione della Cia!”… 
In queste ore sul web, insieme ai tanti messaggi di frettolosa identificazione nei confronti di un giornale della quale la maggior parte degli italiani neanche conosceva l’esistenza e dal quale rimarrebbe probabilmente inorridito conoscendolo meglio, proliferano innumerevoli ricostruzioni e commenti sui fatti di Parigi.
Fatti che, occorre dirlo, non sono del tutto chiari e rivelano non pochi buchi nelle ricostruzioni ufficiali, suscitando quindi parecchie perplessità in chi ha sviluppato nel tempo un sano e sacrosanto scetticismo nei confronti delle versioni di alcuni importanti eventi diffuse dalle autorità e dalla stampa.
E’ possibile che tre “non professionisti del terrore” abbiano messo in scacco uno dei paesi più potenti e organizzati in fatto di sicurezza, intelligence e apparati militari? E’ possibile che la sede di un giornale così gravemente aggredito e minacciato fosse così scarsamente protetta? O che i due fratelli Kouachi abbiano potuto così facilmente organizzare la strage nonostante fossero più che noti alle forze di sicurezza di Parigi? Non è che ‘qualcuno’ li ha lasciati fare?
La domanda è legittima, ma in mancanza di elementi certi nessuna risposta può essere data. Se non che la crescente militarizzazione dei territori, lo spionaggio dei cittadini con annessa violazione della privacy, la mano libera ai poliziotti e ai giudici con annessa sospensione di quelle libertà che l’occidente “aggredito” si fregia di difendere – processi che stanno già subendo un’ulteriore stretta dopo la strage a Charlie Hebdo – non servono poi a tanto. Per ora ogni altra ipotesi, ripetiamo, in mancanza di versioni alternative basate su fatti ed elementi concreti, rimane tale. E anche il sospetto che, in fondo, all’establishment francese ed europeo qualche morto a Parigi per mano islamista faccia comodo, rimane soltanto un sospetto.
Paradossalmente, tra gli internauti che non si limitano a usare il web per accedere al meteo o a contenuti porno, le ricostruzioni che vanno per la maggiore incolpano dei morti di Parigi quasi tutti, tranne i network jihadisti o al limite le classi dominanti francesi.
Dietro quanto accaduto in molti scorgono un complotto ordito da vari attori – Israele e Cia, soprattutto – esclude del tutto che a compiere il sanguinoso attacco possa esser stata una qualche ramificazione dell’islamismo combattentistico che pure ogni giorno da molti anni dimostra di poter contare su un altissimo numero di adepti, su collegamenti internazionali, su una gran quantità di armi, su apparati tecnologici di altissimo livello, addirittura su pezzi di apparati statali o interi stati votati alla causa della jihad e del Califfato.
A moltissimi, anche nostri lettori, risulta impossibile riconoscere che l’occidente – nelle sue varie accezioni, ovviamente – possa avere nel mondo attuale non più un solo nemico, gli Stati Uniti, ma molti nemici tra loro in competizione o addirittura in guerra (oltre che alleati, quando serve, contro di noi del ‘mondo di sotto’).
La geopolitica mondiale negli ultimi anni è cambiata assai ma il variegato e articolato mondo della ‘rete’ non sembra aver retto il passo, ed essere rimasto per lo più ancorato ad una visione degli equilibri globali dominata da un’unica superpotenza in grado di fare e disfare a piacimento, di controllare tutto e tutti, di dominare la scena incontrastata. Peccato che negli ultimi anni la supremazia statunitense stia scemando inesorabilmente e sulla scena mondiale stiano emergendo numerosi altri attori che non solo non dipendono in tutto e per tutto da Washington ma che addirittura, con essa, sono in competizione. Il primo di questi nuovi poli è sicuramente quell’Unione Europea i cui governanti, insieme a qualche altro leader mondiale autoinvitato, abbiamo visto sfilare ieri alla marcia di Parigi ben lontani dal popolo (che è bello si, ma a distanza di sicurezza). E poi ci sono il Giappone, la Russia, la Cina, i Brics... E poi ancora il “polo islamico” oppure la Turchia, e Israele etc. Ognuno con i suoi interessi, le sue alleanze variabili, i suoi apparati di sicurezza e le sue strategie di difesa e affermazione egemonica su scala regionale e mondiale e i suoi complotti.
Affermare come qualcuno fa – anche noti e affermati giornalisti - che “l’Isis oggi come al Qaeda prima sono delle invenzioni della Cia” dice qualcosa che suona come verosimile ma che non lo è e ci manda inesorabilmente fuoristrada. Tutti, anche i più disattenti, sanno ormai che i talebani nacquero in Afghanistan e in Pakistan come strumento al servizio degli Stati Uniti che cercavano una forza d’urto da scatenare contro l’Unione Sovietica. Ciò non toglie che ad un certo punto i talebani, una volta diventati abbastanza forti e autonomi, diedero il benservito ai padrini di Washington per perseguire obiettivi propri, anche in contrasto con gli States. E lo stesso è accaduto con Al Qaeda prima e più recentemente con lo ‘Stato Islamico”. Con una differenza di non poco conto. Che mentre all’epoca dei talebani gli USA godevano ancora nettamente di una posizione di supremazia durante e dopo il crollo del campo socialista, da un certo punto in poi hanno dovuto cominciare a fare i conti con vari competitori, non senza menare fendenti a destra e a manca (come dimostra il golpe nazionalista a Kiev dello scorso anno diretto non solo contro Mosca ma anche contro una strategia europea suicida e avventurista).
Abbiamo visto molti utenti dei social network accusare indistintamente gli Stati Uniti e Israele di essere dietro la strage di Parigi, come se le due entità fossero ancora un tutt’uno e la realtà dei fatti non riveli ogni giorno l’allontanamento tra gli obiettivi e la strategia della classe dirigente sionista e quelli degli Stati Uniti. In questo magma concettuale non solo Israele diventa sinonimo di Stati Uniti, ma anche due tra i più forti ed espliciti finanziatori e protettori dell’Isis – Arabia Saudita e Turchia – non sarebbero altro che delle dependance di Washington in Medio Oriente. E quindi, per traslazione, l’Isis sarebbe una creatura della Cia. Ergo, se qualcuno che dice di essere dell’Isis ha ucciso qualcuno a Parigi non può che essere in realtà o un agente degli Stati Uniti o di uno dei paesi da essi controllati, che tanto è lo stesso. Ma come Israele, neanche la Turchia o l’Arabia Saudita sono telecomandate da Washington, e anzi negli ultimi tempi le frizioni tra questi due paesi e gli Stati Uniti sono evidenti e crescenti (il crollo del prezzo del petrolio scatenato da Riad anche contro l’industria Usa dello “shale oil” vi dice niente?). Se è vero che Usa ed Ue hanno un’enorme responsabilità nella crescita e nel dilagare dello Stato Islamico e di altre organizzazioni jihadiste alla quale sono a lungo arrivati da occidente soldi e armi – serviva qualcuno che destabilizzasse Iraq, Siria e Libano in nome e per conto di Washington e Bruxelles – ciò non vuol dire che a controllare Al Baghdadi e i suoi siano le cancellerie occidentali.
Certo, è più facile e consolatorio, per tanti utenti dei social network, dare invece credito alle più strampalate e fantasiose ricostruzioni complottistiche, e pensare che dietro ogni evento ci sia la mano oscura – ma non abbastanza, evidentemente, vista la facilità con cui viene smascherata! - di un ‘Impero Americano’ visto come una specie di Spectre onnisciente, onnipresente e onnipotente. Una siffatta teoria non richiede grandi sforzi interpretativi, non richiede approfondimento, non richiede dibattito. Basta individuare qualche stranezza, qualche incongruenza - magari neanche nelle versioni ufficiali degli eventi, ma in ricostruzioni giornalistiche già superate da altre ricostruzioni più aggiornate – e con salti logici madornali nel giro di due secondi giungere a conclusioni quanto più soddisfacenti quanto più improbabili.
Basta un click, come ben sanno gli egocentrici gestori di blog che vedono i lettori delle proprie creature lievitare di numero tanto più le sparano grosse.
Come abbiamo avuto modo di scrivere, i complotti orditi dagli stati o da livelli di potere più o meno clandestini sono sempre esistiti ed esisteranno a maggior ragione in un mondo in cui gli attori in campo crescono di numero e potenza.
Ma il complottismo è un’altra cosa, davvero insopportabile, che ci porta fuori strada e ci disarma, prefigurando un nemico fantasmagorico e inarrivabile, in fondo impossibile da contrastare perché impalpabile. Utilizzare ogni stranezza o incongruenza per gridare al complotto alla fine anestetizza tutti e ci rende inermi invece di rafforzarci. E, come nella favola, gridare troppo spesso “Al lupo! Al lupo” ha una tragica conseguenza: si perde di credibilità e quando il lupo arriva veramente si è ormai soli...
Non solo. Certo complottismo dominante nasconde un certo eurocentrismo di retaggio colonialista e razzista - tra l'altro alla base anche della degenerazione della produzione satirica di Charlie Hebdo – comune sia ad alcuni ambienti della sinistra più o meno radicale che dell’estrema destra. Secondo questa visione se accade qualcosa nel mondo, e qualsiasi cosa succeda, non può che essere il frutto delle manovre di qualche potere occidentale, che è l’unico che conta davvero, perché gli altri in questo mondo sono in fondo soltanto delle comparse, dei barbari, dei buzzurri, e quindi possono essere solo delle pedine inconsapevoli di ciò che i colti e avanzati occidentali ordiscono.
E’ vero che in passato è stato spesso così, e che in alcuni casi continua ad esserlo, ma siccome il mondo sta cambiando velocemente ogni evento, ogni circostanza, ogni contesto va giudicato attentamente senza giungere ad affrettare conclusioni basate su chiavi interpretative non all’altezza.
Così, tentare di spiegare l'identità e la provenienza degli attentatori solo attraverso l'analisi degli effetti delle loro azioni non rappresenta affatto una buona strategia. Il ‘cui prodest’, per capirci, funziona solo se altri elementi solidi e confermabili suffragano una certa ipotesi. Scrive a proposito, ed efficacemente, Marco Rovelli: “Se il sospetto è cosa buona e giusta e necessaria, l'eccesso di sospetto si rivela controproducente, e fuorviante. Si basa su un malfunzionamento logico. Anzitutto, s’inverte il nesso causa-effetto, che è un modo frequente di ragionare di chi vede complotti e messe in scena ovunque (nel caso specifico, stiamo parlando di una messa in scena, ovvero gli attentatori non sono veramente musulmani ma agli ordini dei servizi segreti occidentali e del mossad, e non gli hanno veramente sparato al poliziotto per terra, e via dicendo): siccome gli effetti fanno comodo a qualcuno (le torri gemelle consentono l'intervento in Afghanistan, questo potrebbe consentire qualche altro intervento), allora quella è la causa. Eh no, il fatto che possa essere un pretesto, non lo eleva necessariamente al rango di causa. Oltre all'inversione causa-effetto, c'è anche l'inversione cause prime-cause seconde: siccome questi (gli jihadisti come i talebani) sono cresciuti e finanziati e funzionali agli interessi occidentali, allora non sono che strumenti, in ogni loro eventualità e in ogni loro azione, manipolati dagli occidentali. Questi i principali errori logici che ricorrono nelle varie teorie complottiste”.
A proposito di effetti, è evidente che i network jihadisti e il “polo islamico” - cresciuto in questi anni attorno alle petromonarchie arabe e all’Arabia Saudita in primo luogo e che non nasconde le sue aspirazioni imperialiste - hanno tutto l'interesse a fomentare lo scontro di civiltà e quindi a facilitare i discorsi islamofobici e razzisti in occidente che ogni attentato in Europa o negli Usa alimentano, in modo da spingere sempre più musulmani impauriti e perseguitati tra le proprie braccia. La chiusura a riccio e l’adozione di toni bellicosi quando non guerrafondai da parte della Francia e dell’Ue non fanno altro che legittimare chi nel mondo islamico – per ora infime minoranze – propaganda uno scontro frontale tra civiltà, ognuna delle quali per i suoi sostenitori è la migliore e superiore. Così superiore da non poter convivere con l’altra e in dovere anzi di distruggerla.
Per concludere, di fronte alle incongruenze delle versioni ufficiali e alle innumerevoli bugie che gli apparati di consenso degli stati ci raccontano, tutti i dubbi sono legittimi.
Ma un conto è fare controinchiesta e smontare le falsità e le bugie – con un processo logico razionale, strutturato, socialmente condiviso e dai tempi necessariamente lunghi, frutto di un atteggiamento attivo e partecipativo – ed un conto è dar credito a ogni più assurda e incredibile ipotesi non supportata da elementi concreti, diffondendo false informazioni con il risultato di aumentare la nebbia e la cortina fumogena attorno alle responsabilità di chi tira realmente i fili.

Non è un caso che alcune delle trasmissioni di punta delle nostre tv, dirette soprattutto alle giovani generazioni, propagandino ormai da anni e a ruota libera una visione complottistica infarcita di alieni, massoni, poteri occulti, messaggi subliminali e chi più ne ha più ne metta (parliamo di Adam Kadmon su Mediaset o di Roberto Giacobbo sulla Rai, per chi se li fosse persi).
Di fronte all'estrema e crescente complessità del mondo e nel contesto che la diffusione del web e dei social network mettono a disposizione, è comprensibile che ognuno possa sentirsi rassicurato dalla sensazione consolatoria fornita dalla possibilità (tutta teorica) che l’uso del web consenta a tutti, in due minuti, semplicemente con due click, di smontare una bugia o addirittura un complotto, senza che questo richieda un particolare sforzo analitico, organizzazione e mobilitazione.
Ma, disgraziatamente, non è così, e dovremmo farcene una ragione, che ci piaccia o meno

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