Oltre
ad arrivare a commettere una strage aberrante, la serie di gesti
sciagurati di Ahmedy Coulibaly e dei fratelli Kouachi e della loro rete
logistica è riuscita a rianimare un morto anzi, a far esistere un
qualcosa di mai nato: l'unità emotiva continentale attorno ai governanti
dell’Europa dell'austerità.
Opera di rivitalizzazione che, tanto più, ha funzionato in terra
francese. "Siamo un popolo", ha titolato Liberation, come se gli eventi
parigini avessero posto fine ad un lungo interrogativo che metteva in
forse l’esistenza stessa dei francesi. “Era da tanto che non ci
sentivano così fratelli”, commenta poi il quotidiano fondato da
Jean-Paul-Sartre che, a suo tempo, dubbi sulla sensazione di sentirsi un
popolo di fratelli grazie alla reazione dopo un attentato ne aveva
seminati (visitò Andreas Baader della RAF in carcere proprio, tra le
tante, per non legittimare l’adesione emotiva alla convergenza tra senso
della democrazia e stato di polizia).
E così, tra fratelli del radicalismo islamico e fratelli civilizzati
francesi, il comunitarismo di Allah e quello repubblicano francese si
trovano uno davanti all’altro. Durerà l’esistenza di questo confronto? I
paesi occidentali sono spoliticizzati, reazioni come quelle di Parigi,
più che preludere a un fiorire di “fratellanze” o organizzazioni di
base, appartengono a quei fenomeni di elaborazione del lutto e del
trauma collettivo come accade dopo i terremoti. Fenomeni pronti a
dissolversi velocemente in caso di assenza di nuovi traumi. Le
differenze dei governi europei, sulle politiche per affrontare fenomeno
del radicalismo islamico, si sono poi già manifestate.
Inoltre, Parigi negli anni ’90, a causa della guerra civile algerina
che coinvolse la Francia nel colpo di stato contro il Fronte islamico di
salvezza che aveva vinto le elezioni, è già stata colpita da questo
genere di attentati. Alla fine, nonostante grave episodi, l’escalation
non c’è stata. Certo, una cosa è la guerriglia algerina, che subì
sconfitte strategiche tanto da aver spinto per ripensare il concetto
stesso di guerra santa, un’altra la nebulosa attuale di guerre, condotte
da soggetti molto diversi tra loro, fatte proprio in nome della nuova
concezione della guerra santa. Queste ultime potrebbero generare, anche
senza coordinarsi tra loro, una prolungata serie di attentati sul
continente. Ma, per adesso, si tratta di considerazioni ipotetiche.
Quello che hanno fatto Coulibaly e i fratelli Kouachi va saputo
leggere, con capacità di analisi, nella sua sua specificità politica e
organizzativa e con molta calma. E infatti il punto politico è tutto
qui: quanto più ciò che accade nel pulviscolo di guerre “sante” ha
bisogno di una sponda simbolico-militare nel continente europeo, e tanto
più questa sponda è in grado di disporsi come complessa ed efficiente,
tanto più vedremo il comporsi di due comunitarismi l’uno di fronte
contrapposti. Nel caso accadesse, ma l’ipotesi è da confermare, allora
fratelli islamici e quello dei fratelli europei (francesi, italiani,
tedeschi etc.) saranno pronti a farsi la guerra in nome del consueto
armamentario irrinunciabile di valori. I primi lo useranno contro “i
crociati” (sic), i secondi contro “la barbarie” che altro non è che
quella porzione di mondo esclusa dalle rotte del benessere che reagisce,
con violenza ancestrale ma in modo tutt’altro che stupido, secondo una
ideologia allucinata.
Cosa abbiamo visto a Parigi? Due cortei, ben separati fisicamente ma
uniti misticamente dal montaggio dei media: quello, come si direbbe, “di
popolo” e quello delle autorità. Quello di popolo ha rappresentato una
reazione di piazza persino più larga della partecipazione alla festa
della vittoria della Francia al campionato del mondo del 1998. Non
poteva essere altrimenti: l’impatto emotivo, di quanto accaduto nei tre
giorni delle sparatorie, è stato fortissimo. Scendere in piazza, uscire
dal bunker, è naturale e comprensibile fenomeno di riappropriazione
della propria vita, della propria città. Il problema sta semmai che il
montaggio dei contenuti, e il primato del costruzionismo simbolico, è
tutto dei media generalisti. Poi su twitter si può commentare come si
vuole, il comando di ciò che fa i contenuti generalisti è ancora tutto
dei media tradizionali, per quanto ristrutturati tecnologicamente sempre
verticali nella costruzione dei significati, e del ceto politico
mainstream. Il quale ha ben pensato di organizzare il corteo delle
autorità europee e dei suoi alleati, dal primo ministro israeliano (noto
estimatore dei diritti civili) all’ascaro del Mali che conduce una
guerra in Africa per conto delle autorità di Parigi. Una volta montato
il corteo delle autorità europee, con in testa il commissario Ue
Juncker, e dei suoi alleati ecco il montaggio mistico dei due cortei
operato dai media. Con qualche piccola falsità, come quella di qualche
(come al solito) impagabile giornalista Rai che parlava di “ali di folla
di fronte che acclamano” il corteo delle autorità quando le esigenze di
security non prevedevano certo ali di folla festante.
E così l’Europa dell’austerità ha sfilato entro un rito
legittimatorio, pubblico quanto montato dai media, altrimenti
impensabile. Durerà? Come abbiamo detto, le variabili in gioco sono
molte. Certo se nel frattempo a Hollande scoppiasse il debito pubblico o
qualche banca, come Crédit Agricole, che potenzialmente può far molti
più danni globali dei fratelli Kouachi (anche alla libertà di
espressione togliendo risorse mondiali causa crack finanziario) non
resterebbero che una strada. Sperare in Allah, o meglio nell’escalation
della “guerra santa” in Europa per mantere un potere legittimo grazie
allo stato di emergenza. E magari sperando anche di mantenere questa
capacità di emarginare la Le Pen, la maggior candidata a capitalizzare
come successo politico in questi giorni, come avvenuto con la marcia
repubblicana con tanto di capi di stato.
Una cosa deve essere infine chiara: Zygmunt Bauman, forse l’esempio
più plastico della malinconia di sinistra che si ostina a non capire i
processi in corso ha dichiarato: “l’attentato rappresenta una vendetta
contro la libertà di opinione presente in Europa”. A parte che saremmo
curiosi di vederla tutta questa libertà d’opinione in Europa -con i
media che sono blindati sui temi legati a economia, militare, finanza e
politica- forse Bauman non ha presente un passaggio. Se c’è una
spiegazione sostanziale al senso di vendetta di chi fa attentati di
questo genere, aderendo magari all’Isis o a qualche altro gruppo, è
questa: la promessa di benessere materiale, e di libertà spirituale,
contenuta nell’universalismo occidentale è ampiamente fallita. Anzi in
molti paesi, che compongono la maggioranza della popolazione della
terra, la presenza di questa promessa ha rivelato caratteri di disgrazie
e di carestie apocalittiche. Basti ricordare che in Iraq, per preparare
l’invasione del 2003 che ha portato lutti inenarrabili al popolo
iracheno, i “leader” occidentali si presentarono con un messaggio
televisivo dove si recitava “vi stiamo portando la democrazia”. Ora,
visto che in Isis c’è molto dell’inenarrabile disastro genocida iracheno
bisognerebbe capire, e ci potrebbe riuscire persino Bauman, un piccolo
dettaglio. Ovvero che da quelle parti la libertà di espressione è,
anche, sinonimo di sterminio in quanto valore occidentale ovvero di
coloro che hanno reso l’Iraq un inferno nemmeno raccontabile.
Noi non giustifichiamo nessuno, tantomeno l’uccisione di redattori
che in mano, al massimo, hanno preso un pessimo caffè francese dopo la
consueta riunione redazionale del mercoledì. Ma se si vuol capire da
dove arriva questo senso di vendetta, cosa lo rende così mostruoso
dobbiamo guardare a cosa ha generato il contrapporsi a tutto ciò che è
il mondo occidentale che è visto, inutile negarlo, come l’essenza della
sopraffazione.
Non esiste l’universalismo occidentale, esiste l’universalismo. E se
le vendette, verso persone inermi simbolizzate come nemico, arrivano è
perchè l’identificazione tra occidentalismo e universalità dei diritti
tiene ancora in modo troppo forte. Dovrebbero ricordarselo i sostenitori
dei cantori dei valori dell’”Europa” nel momento in cui preparano nuovi
lutti in nome della democrazia. Magari da Parigi capitale, come ha
detto Hollande, del “mondo intero”. E così, astuzia della storia, tre
precari di origine magrebina della banlieue, con i loro atti, hanno reso
possibili frasi, sulla bocca di un capo di stato francese, impensabili
anche per Napoleone Bonaparte.
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