La partecipatissima assemblea di sabato e domenica scorsi a Bologna ha visto prevalere la volontà di stare insieme o, per lo meno, di non dividersi da parte della coalizione politica ed elettorale che sotto le insegne de L’Altra Europa per Tsipras ha conosciuto il suo esordio nelle elezioni europee. Il processo costituente di tale coalizione procede faticosamente fra irrisolte ambiguità e fra diffidenze, ma pur tuttavia procede.
Il processo costituente della coalizione politica ed elettorale che, sotto le insegne de L’Altra Europa per Tsipras
ha conosciuto il suo esordio nelle elezioni europee, procede
faticosamente (fra irrisolte ambiguità e fra diffidenze che originano
nelle differenti culture politiche o nell’assenza di cultura politica),
ma, pur tuttavia, procede.
La partecipatissima assemblea di sabato e
domenica scorsi ha, se non altro, fatto prevalere la volontà di stare
insieme o, per lo meno, di non dividersi, cosa non irrilevante rispetto
alla vocazione alla diaspora che è il tratto distintivo delle
variegatissime aree della sinistra italiana: di quella che trova nei
partiti organizzati la propria ragion politica e di quella che vede nei
movimenti e nella microconflittualità sociale l’espressione più genuina,
se non esclusiva, dell’ingaggio politico.
Il bisogno di coalizzarsi in una
battaglia non residuale né minoritaria per fronteggiare e battere la
deriva liberista che sta espropriando i popoli e distruggendo la
democrazia è il filo conduttore di un dialogo che procede, non senza
contraddizioni, per il momento più sotto la spinta trainante del
consenso di massa e del successo riscosso da Syriza in Grecia e da
Podemos in Spagna, che non in ragione di un’esperienza maturata e
sedimentata nella pratica sociale e politica del nostro paese. Di qui la
perdurante difficoltà di portare a sintesi, politica e organizzativa,
le esperienze di lotta, i conflitti sociali, unificandoli dentro una
lettura di senso condivisa della natura e delle contraddizioni che
attraversano il modello capitalistico nella specifica forma da esso
assunta nella costruzione europea.
Tuttavia, alcuni punti sino a ieri fonte
di irriducibili contrasti, sembrano acquisiti:
a) il carattere
radicalmente alternativo al Pd del soggetto in gestazione e
l’indisponibilità ad impaludarsi dentro qualsivoglia alleanza politico
elettorale di centrosinistra; b) la struttura organizzativa in via di
perfezionamento – da qui alla prossima assemblea di marzo – fondata sul
principio dell’adesione individuale certificata, dove ciascuno è
titolare del proprio voto, così da escludere qualsiasi forma di
compromesso pattizio fra soggetti collettivi, portatore di letali
prerogative di veto dagli effetti paralizzanti.
Tutto il resto (e non è certo poco) va invece costruito.
Per oltre dodici ore, nella giornata di
sabato, si sono avvicendati al microfono rappresentanti dei vari
comitati territoriali, ciascuno depositario delle più varie esperienze
di conflitto sociale. Ognuna di esse possiede un indubbio valore e una
originale forza aggregativa, produttrice di coscienza, ma tutte, o quasi
tutte, risultano per lo più isolate nel proprio ambito e prive di un
comune centro di annodamento.
Insomma, un caleidoscopio fatto di lotte
generose, di episodi di ribellione, di opposizione alle
privatizzazioni, al saccheggio di diritti sociali, ma ancora privo di un
respiro e di un progetto politico unificante, nonché di un’analisi
capace di dare conto della natura di classe dell’offensiva che
l’oligarchia politico-finanziaria dominante, in campo europeo e
nazionale, ha scatenato contro il lavoro e ciò che resta dello stato
sociale continentale.
La funzione “costituente” dell’attacco
scatenato dal capitale contro il potere di coalizione dei lavoratori,
quale condizione per rendere irreversibile l’assetto di potere
incardinato nella formazione economico-sociale capitalistica europea,
non è colta nella sua importanza cruciale. La lotta di classe non è - a
differenza di ciò che appare sufficientemente chiaro in Syriza e persino
in Podemos - la chiave di volta, l’elemento strategicamente unificante
che deve stare alla base del nuovo processo aggregativo.
Il lavoro retrocede spesso, anzi, sullo sfondo, conflitto fra i conflitti, annegato nel magma indistinto di generose jacqueries,
animate da un civismo democratico che fatica a vedere (o meglio, che
ancora non vede) le classi sociali e la fisiologia degli ingranaggi che
generano l’oppressione e mettono a profitto l’intera società.
Ma senza questa capacità di visione dei
rapporti sociali (oltre l’immediatezza delle occasionali manifestazioni
fenomeniche) anche la più generosa pratica movimentista è destinata,
prima o poi, a subire l’usura della propria parzialità, a rifluire nel
proprio particulare, scomponendo di nuovo ciò che con uno sforzo di volontà si prova oggi a tenere insieme.
Sabato, la giovane e già così saggia
compagna di Podemos, ci ha detto con semplicità esemplare quattro cose
della massima importanza:
- che bisogna prima di tutto avere ben chiaro a quali soggetti sociali ci si rivolge;
- che occorre guadagnare una vera autonomia culturale e politica per sottrarsi alle sirene dell’ideologia dominante che spesso esercita una funzione disciplinare sui nostri pensieri e per produrre un pensiero “divergente”, quello - verrebbe da dire - che Gramsci chiama “spirito di scissione”;
- che non si deve sbagliare “diagnosi”, per capire bene che ciò di fronte a cui ci troviamo non è un incidente “nel” sistema, ma una crisi generale “del” modello di accumulazione;
- che una politica che guarda all’Europa deve però sapersi incarnare nella questione nazionale, perché non esistono scorciatoie imitative che ci possono assolvere dalla fatica di produrre, in ogni paese, l’analisi concreta della situazione concreta.
Parole preziose! Auguriamoci che il messaggio sia raccolto da orecchie (e menti) ricettive.
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