Lo
confesso: non sono affatto spaventato dal terrorismo, dal suo
indefinibile concetto astratto come dalle sue manifestazioni concrete
vere o fasulle che siano. E si tratta di una dichiarazione
compromettente perché viola uno dei credi fondativi della post
democrazia, quella del “nemico” che ci costringe ad abbandonare le
nostre libertà e i nostri diritti. Sono spaventato invece dalle mandrie
di je suis charlie, ignare fino a ieri persino dell’esistenza della
rivista satirica e disposte a credere a qualsiasi cosa, persino alla
stravagante ricostruzione ufficiale dell’attentato per darsi in pasto
come accade oggi a Parigi alla salvifica “autorità”.
Il terrorista, sia che agisca con spontanea pulsione di morte o sia
eterodiretto magari a sua insaputa da un mondo di confine con i poteri
costituiti, è perfettamente comprensibile perché anche nelle peggiori
vicende conserva un residuo di ingenuità. Mi riesce completamente
incomprensibile invece chi in nome del concetto generico di libertà
invoca di fatto quei poteri che intendono comprimere e umiliare le
libertà. Qui non si tratta affatto di assolvere il terrorismo in quanto
tale, ma di mostrare la sterile insufficienza e povertà della risposta
ad esso. Invece di lasciare solo e isolato quel potere subalterno alla
finanza che è responsabile primo del terrorismo attraverso le sue guerre
e le sue creazione di intolleranza, le sue esportazioni di democrazia e
i suoi finanziamenti ad ogni integralismo che viene comodo, lo si
sostiene nell’ambito di un nuovo populismo unanimista. Invece di
opporsi, proprio in nome delle vittime, a quella compressione di diritti
e dunque di libertà provocato dalle pressioni della finanza
transnazionale (per fortuna non lo dico io, ma persino un saggio
dell’Economist reperibile qui, ahimè a pagamento), la si investe di una nuova e più forte legittimità in cambio di un’impossibile sicurezza.
Un sistema di governance che ha il proprio nemico nei cittadini e nel
loro status, crea un avversario esterno, lo comprime dentro categorie
di comodo e tutte occidentali per darne una spiegazione che non sia la
palmare reazione all’ appropriazione petrolifera e geostrategica, poi se
ne serve come arma contro il nemico vero ossia contro di noi.
Lo scopo finale di tutto questo è di instillare nelle teste dei
disorientati cittadini europei di non potersi definire in positivo come
portatori di valori di integrazione, di libertà e di “politeismo
culturale”(Dahrendorf e Chomsky), ma solo come soggetti esposti alla
“necessaria” globalizzazione finanziaria senza alcuna globalizzazione di
sovranità che le faccia da contraltare. In realtà si punta al fatto che
essi possano definirsi ormai solo in opposizione a un nemico. Ecco cosa
penso del rassemblement repubblicano di Parigi: un trabocchetto, una
reazione completamente fuori mira con cui i depositari del pensiero
unico pensano di opporsi alle conseguenze politiche del loro cinico
massacro sociale, al terremoto che sta per investire lo statu quo.
Mentre parleranno di difendere l’Europa dalle conseguenze sventurate
delle proprie azioni in subalterna, ma granitica fratellanza con
Washington, si guarderanno bene dal rivelare che solo l’11% dei
prestiti dati alla Grecia è andato a finanziare le spese dello stato,
ossia gli stipendi, le strutture, la sanità, i servizi, le pensioni,
mentre tutto il resto se n’è andato per sostenere le banche in possesso
dei titoli di Atene.
Si capisce benissimo perché a Parigi si radunino i leader strizzando
l’occhio all’islamofobia e prendendosi gioco della libertà, ma lì
dovrebbero rimanere soli, senza l’acclamante presenza dei clientes così
come delle loro vittime presenti e future. La loro solitudine sarebbe la
vera ed efficace guerra al terrorismo. E qui verrebbe buona la vignetta
di CH in cui si vede Maometto che si lamenta e dice “C’est dur d’etre
aimé par des cons”, è terribile essere amato da coglioni. Purtroppo
accade anche in Occidente.
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