lunedì 3 settembre 2012

L'aria fritta del sottosegretario Polillo

CRISI, LA RICETTA DI POLILLO: IN ITALIA SI DEVE LAVORARE DI PIÙ. MENO FERIE E PERMESSI
 
«Pensiamo ad una Italia in cui si lavori di più, quantitativamente. Non possiamo trascurare che esiste un divario - vogliamo dire uno spread? - tra i giorni lavorati in Italia e quelli negli altri Paesi con cui ci confrontiamo. Penso alle ferie, ai permessi retribuiti». È questa la ricetta contro la crisi secondo il sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo. L'ha detto in un'intervista alla Stampa in cui spiega che si guarda «con interesse» anche al modello tedesco. «Ancora non sappiamo - afferma - su quali risorse poter contare per le varie iniziative che abbiamo in campo. È chiaro che dobbiamo fare un intervento sul lavoro e sulla crescita, ma ci servono delle condizioni previe, per esempio un accordo tra le forze sociali: Confindustria e sindacati devono fare prima un patto. Per noi è fondamentale, perchè dobbiamo sapere su quale terreno stiamo seminando», altrimenti «dare soldi qua e là è come gettare acqua nel deserto». Per le risorse due sono le «fonti possibili»: «la lotta all'evasione» e «l'effetto della spending review due».
Il sottosegretario Polillo parla di 'spread' tra giorni di lavoro in Italia e quelli negli altri Paesi, ma non parla dello 'spread' che esiste tra condizioni di lavoro, redditi, occupazione in Italia e quelli negli altri Paesi. La ricetta sempre valida è: LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI! Polillo dovrebbe smetterla di offendere i cittadini, che stanno pagando una crisi che non hanno causato, anche per colpa delle politiche del governo Monti, peggiorative di quelle del governo Berlusconi. 
 
Chi lavora di più in Europa?
Ore annue effettivamente lavorate dai dipendenti delle imprese con almeno dieci dipendenti nel settore privato
Paese
Dimensione impresa
10-49
addetti
  50-249
  addetti
  500-999
  addetti
  più di 1.000
   addetti
 Totale

Grecia
1.770
1.791
1.851
1.790
1.787

Portogallo
1.745
1.723
1.733
1.699
1.730

Italia
1.744
1.726
1.592
1.634
1.699

Lussemburgo
1.669
1.679
1.660
1.564
1.650

Austria
1.632
1.673
1.639
1.594
1.638

Spagna
1.664
1.638
1.600
1.597
1.634

Regno Unito
1.677
1.730
1.707
1.516
1.621

Irlanda
1.648
1.751
1.751
1.628
1.607

UE 25
1.631
1.642
1.603
1.553
1.606

UE 15
1.621
1.614
1.554
1.500
1.571

Svezia
1.582
1.600
1.555
1.486
1.549

Francia
1.644
1.519
1.499
1.501
1.541

Finlandia
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
1.499

Belgio
1.478
1.504
1.451
1.441
1.470

Germania
1.472
1.513
1.489
1.419
1.469

Danimarca
1.394
1.461
1.493
1.419
1.436

Paesi Bassi
1.463
1.489
1.448
1.248
1.389

 



keynesblog

120227operaiSiamo tra i paesi europei che pagano meno i lavoratori, mentre abbiamo gli orari di lavoro più lunghi. Nonostante ciò la competitività delle nostre imprese è tra le più basse. Il quadro di un paese che ha sbagliato obiettivi e che si appresta a commettere ulteriori errori...
Ieri e oggi i quotidiani hanno riferito la diffusione dei dati Eurostat sui salari medi lordi nei paesi dell’Unione. Tuttavia i dati diffusi, per ciò che riguarda l’Italia, si riferiscono al 2006, mentre per altri paesi si arriva al 2009. Inoltre i dati italiani riguardano le aziende con più di 10 dipendenti, mentre per altri paesi il campione è l’intero mondo del lavoro. Evitiamo quindi di riportare statistiche così disomogenee e ci affidiamo invece all’OCSE che fornisce dati più aggiornati e uniformi.


Salari medi lordi
Questo grafico rappresenta la situazione al 2002:

1
OCSE: salari medi anno 2002, in US$ 2009 a parità di potere d'acquisto, prezzi correnti

Come si può notare l’Italia è una posizione defilata, ben lontana dal “centro” dell’Europa e vicina ai paesi meno ricchi.

La situazione al 2010 è invece questa:

2

OCSE: salari medi anno 2010, in US$ 2009 a parità di potere d'acquisto, prezzi correnti

Si può notare che la situazione è peggiorata negli 8 anni trascorsi. L’Italia viene scavalcata dalla Spagna e dalla Finlandia e viene avvicinata dalla Slovenia. In sostanza, l’Italia da ultimo paese dell’Europa “ricca” nel 2002 passa ad essere il secondo dell’Europa “povera”. Da notare anche il modesto incremento dei redditi da lavoro in Germania, paese che ha adottato una politica di stabilità salariale, ma che continua a mantenere un differenziale importante con l’Italia e il resto dei “Pigs”.

Ore lavorate

Mentre i lavoratori italiani sono tra i peggio pagati d’Europa, il numero di ore di lavoro per anno per addeto risulta fra i più alti.

3

OCSE: ore lavorate per addetto in un anno, anno 2010

Anche qui, si può notare come il nostro paese risulti vicino alle nazioni meno sviluppate d’Europa, piuttosto che alle maggiori economie. Si noti inoltre come la Grecia, spesso dipinta come paese di “fannulloni” risulti invece in testa tra i paesi considerati.

Costo del lavoro

Il costo del lavoro in Italia, inteso come retribuzione, oneri sociali e altre spese, risulta minore rispetto alle grandi economie europee, come si evince da questo grafico:

4

Eurostat: costo del lavoro totale orario, anno 2010

L’Italia si colloca al di sotto della media della zona Euro. E’ quindi privo di fondamento l’assunto che le imprese italiane paghino il lavoro più di quelle delle economie avanzate europee, ad eccezione della sola Gran Bretagna (dove è particolarmente bassa la componente degli oneri sociali).


Produttività
Il quadro è ribaltato invece quando si considera la produttività. Qui mostreremo la produttività come calcolata dall’OCSE, Prodotto interno lordo (in Euro) per ora lavorata:

5

OCSE: Produttività (Pil in euro / ore di lavoro) a prezzi costanti

Come si può notare, la produttività italiana risulta bassa in valore assoluto e stagnante, quella Greca è addirittura calante, mentre tutte le altre sono crescenti, sia pure con inclinazioni differenti.

In altre parole, l’Italia è un paese fermo da molti anni. La sua produzione, intesa nel senso più generale, è rimasta poco remunerativa, mentre i partner europei hanno saputo migliorare la capacità di produrre reddito.

Da notare che nel 2003 è intervenuta una significativa modifica del mercato del lavoro, con l’introduzione di nuove forme di lavoro flessibile, ampiamente sfruttate dalle imprese. Ciò però non ha avuto effetti significativi sulla produttività del lavoro.
Conclusioni

Mentre il dibattito pubblico appare tutto concentrato sulla riduzione delle tutele del lavoro, le cui conseguenze più immediate sono il contenimento salariale e l’aumento delle ore di lavoro effettive, i dati mostrano invece che le politiche sinora adottate in questa stessa direzione non hanno avuto l’effetto di ridurre il gap di produttività rispetto alle potenze economiche europee e si sono pertanto dimostrate del tutto inefficaci rispetto agli obiettivi enunciati.

Come abbiamo già evidenziato, il problema della bassa produttività italiana non può addebitarsi al fattore lavoro, che anzi risulta maggiormente a buon mercato che altrove.

Secondo l’UE “la crescita della produttività dipende dalla qualità del capitale fisico, dal miglioramento delle competenze e della manodopera, dai progressi tecnologici e dalle nuove forme di organizzazione.”

Le cause probabili delle scarse performance italiane andrebbero ricercate nella scarsa “produttività del capitale”, vale a dire dei mezzi di produzione, intesi nel senso più ampio, obsoleti o sottoutilizzati, così come nella frammentazione del capitale in moltissime microimprese che non riescono a realizzare quelle economie di scala e quell’innovazione di processo e di prodotto che permettono una maggiore competitività delle stesse e nella specializzazione produttiva. Non sorprende quindi la bassa qualificazione dei lavoratori richiesta nel nostro paese dal tessuto produttivo, che abbiamo già evidenziato in passato.

La discussione pubblica si sta quindi svolgendo sul lato sbagliato dei fattori produttivi. Riforme che tendessero a precarizzare ulteriormente il lavoro e/o ridurre i salari effettivamente percepiti, non avrebbero probabilmente impatti positivi sulla produttività, come non li hanno avuti in passato, mentre risulterebbero nocive sul lato della domanda aggregata.


 
 

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