martedì 4 settembre 2012

Roberto Musacchio: Tutti nel Pd?



E adesso, tutti nel Pd? Metto giù la domanda in modo volutamente molto diretto. E non lo faccio per banalizzare o per demonizzare, anzi. Lo faccio perché la discussione mi pare aperta ed anche sensata. Anzi, facciamo ancora meglio. Diciamo che se pure nessuno lo pensasse mi parrebbe opportuno porsi il tema. Per correttezza dico subito che io non sono d’accordo, ma che appunto considero la domanda ineludibile.
Mi approfitto di essere fuori da contesti che richiedono prudenza e tatto per affermare pero’ che se si vuole realmente essere contro i populismi si deve anche ridare chiarezza alla politica, alle azioni che si fanno, agli scenari cui si pensa. Un tempo lontano la discussione reale era consegnata, nei partiti comunisti, ai gruppi dirigenti più o meno ristretti per preservare il proprio popolo dai traumi. Gli effetti di questa prassi li abbiamo conosciuti in forme drammatiche. Ma almeno allora qualcuno discuteva.
Ora si rischia che la vecchia doppiezza si trasformi in populismo, laddove sono i cerchi magici a detenere il depositato più o meno autentico dei capi. Per altro nella mia esperienza politica mi e’ già capitato di esplicitare l’esigenza di porre termine ad una esperienza, quella della Nuova Sinistra e del Pdup, per investire nel campo grande dell’allora Pci.
Ricordo che sebbene giovane fui molto esplicito entrando anche in contrasto con una gestione tattica che dilato’ i tempi della nostra confluenza al punto che invece di Enrico Berlinguer trovammo Natta. Ma questa e’ un’altra storia. Anche se ricordo che allora si discuteva se si confluiva per esaurimento nostro o perché si era aperta una nuova possibilità con la fine del compromesso storico. Io propendevo anche allora per lo slancio in avanti.
Sta di fatto che comunque quella confluenza non ci tolse singolarmente e collettivamente capacita’ politica se poi fummo tra quelli che dissero no allo scioglimento del Pci e poi diedero vita a Rifondazione Comunista. Anche oggi credo che si debba riflettere su entrambi i corni. C’e ormai un esaurimento della spinta propulsiva a sinistra del Pd? E/o c’e un nuovo spazio che si e’ aperto per cui in Italia, ed anche in Europa, si puo’ ricostruire una grande sinistra, intorno al Pd e intorno al Socialismo Europeo?
Aggiungo una terza questione che allora era meno centrale, anche se non assente: puo’ essere il governo il mallevadore di questa nuova soggettivita’, fornendo per altro così la sua ragione storica? Una discussione su questi tre punti la considererei sacrosanta. Mi provo a contribuirvi. Lascio per ultimo il tema dell’esaurimento della spinta propulsiva perché e’ insieme il più spinoso e, per me, meno affascinante.
C’e dunque lo spazio per quello che e’ stato detto il big bang o almeno per la ricostruzione in Italia di una forza che per capirci potremmo definire capace di una autonomia di visione e di azione in direzione di una alternativa a quella che e’ la stagione del pensiero unico della rivoluzione neoliberale? Una domanda così naturalmente non può trovare risposta in un articolo e chiede una analisi strutturata di cosa e’ ad esempio il Pd oggi nella sua composizione materiale, nella cultura dei suoi gruppi dirigenti, negli interessi che rappresenta e nel suo rapporto con gli interessi che ormai si auto rappresentano nella stagione che stiamo vivendo di dominio tecnocratico e di crisi della democrazia.
Se pero’ proviamo ad usare il metodo popperiano della falsificazione mi pare che si possa dire che la tesi della svolta a sinistra in atto nel Pd sia assolutamente contraddetta dai fatti. Dall’appoggio al governo Monti a quello alla sostanza dei suoi provvedimenti, da quelli quadro come il Fiscal Compact, a quelli di societa’ come la manomissione dell’art.18 e delle pensioni di anzianità, atti per altro ribaditi con la dichiarazioni di intenti presentata recentemente, si e’ in continuità con una tendenza che ormai e’ talmente consolidata da divenire elemento naturale.
Questa tendenza e’ quella per cui sia sul lavoro che sulla economia il corpo politico che ha dato vita al Pd ha assunto punti cardine della narrazione neoliberale e non come compromesso ma come asse della propria identità.
Penso a due esempi emblematici che sono la flessibilità del lavoro e le liberalizzazioni. A questo potrei aggiungere l’assunzione dellaTav come paradigma di sviluppo e di modello di societa’, e di decisionalita’, che per altro rimanda a vecchi cromosomi sviluppisti ed autoritari che la vecchia identità traghetta nella nuova a matrice neoliberale.
E’ questa modificazione genetica che per altro ha fatto si che il tema del governo assumesse una assoluta preponderanza nella politica del Pd rispetto alle questioni di societa’. Intendiamoci, la cultura comunista ha sempre fascinato il tema del potere con le conseguenze che sappiamo. Ma ora nella rivoluzione conservatrice in atto la pressione esercitata sul corpo che da Pci si e’ fatto Pd e’ stata tutta tesa a renderlo un soggetto che mantenesse la sua propensione al comando ma vocandola a farsi parte del nuovo ordine in costruzione, pena l’espunsione.
In questo contesto il governo e’ diventato, nel percorso dal Pci al Pd, per quel soggetto politico, non l’occasione per essere se stesso ma la neccessita’ di dimostrare di essere altro. Qui la domanda sulla natura del corpo politico si intreccia con quella sulla possibilità di usare il governo per rifondarlo a sinistra.
Anche qui il metodo della falsificazione dice di no. Anzi e’ stato fin qui il contrario. Puo’ questa realtà storica essere rovesciata nel suo contrario oggi? Qui mi pare che l’ottimismo della volontà rischi di sconfinare in una pratica populistica di mistificazione.
Ciò che e’ accaduto con i governi progressisti del centrosinistra in questi anni dice che sono state fatte le scelte peggiori in un contesto che era assai meno gravato dalla etero direzione della vicenda europea e con forze di sinistra e movimenti ben più strutturati di oggi.
Pensare per altro di trasformare il peso dell’Europa in una occasione positiva grazie all’incontro con il socialismo europeo non si misura per nulla con la internita’ di quella organizzazione ai processi neoliberali che continua anche con la Spd di oggi, per parlare della forza prevalente, che per altro ha dato il via con Schroeder alla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e che ancora oggi vota tutti i provvedimenti cardine della Merkel.
Un socialismo europeo del tutto incapace di invertire la tendenza in atto ad una Europa tecnocratica la cui costruzione e’ sempre piu’ accelerata. A proposito del lungo percorso che dal Pci porto’ al Pd, lo stesso Occhetto all’atto dello scioglimento, pur avendo portato il partito nell’internazionale socialista, mantenne aperta una ricerca che, nella sua idea, era quella di una via a sinistra diversa dalle contraddizioni che già erano evidenti in quel campo. L’ambiguità dell’occhettismo era tale da lasciare aperta una dialettica che tale e’ stata per tanti anni anche tra i tronconi eredi del vecchio Pci. Ciò che l’ha resa infeconda e’ stato proprio il tema del governo, su cui si sono consumate oggettivamente le inconciliabilita’, e intorno al quale non a caso si e’ andata chiudendo sempre più in negativo la ambiguità stessa del Pd.
D’altronde il nodo del rapporto tra potere e trasformazione ha ucciso il socialismo reale. E su quello tra governo e trasformazione si consuma la crisi drammatica delle sinistre europee. Si, drammatica se ci rendiamo conto che mentre discutiamo di governo la rivoluzione conservatrice sta facendo venire meno l’oggetto stesso dell’agognato governo e cioè il modello sociale europeo.
Siamo cosi al famoso pessimismo della ragione che per Gramsci contava almeno quanto l’ottimismo della volontà e impediva le pratiche populiste. Non c’e retorica della vittoria che può far sfuggire alla realtà. E l’eccesso di retorica del vincere non e’ colpa minore del rischio di disfattismo.
Da ciò che ho detto mi pare evidente che non credo che il “tutti nel Pd” sia la soluzione. Diciamo che più che il big bang mi parrebbe il vecchio entrismo. Ma se intellettualmente può valere il vecchio montaliano “ciò che non siamo ciò che non vogliamo”, politicamente serve di più e di più collettivo.
Sapere a che punto si e’ pero’ e’ già molto. A me pare che siamo al punto che i materiali della vecchia storia nostra non bastano più. Parlo della vecchia Nuova Sinistra e della resistenza allo scioglimento del Pci. Occorre questa volta sì, un nuovo inizio che nasca proprio da ciò che il riduzionismo governista non prevede più e mal tollera e cioè il conflitto sociale, l’autonomia della societa e dei suoi movimenti. Rovesciando finalmente l’idealismo che pure ha attraversato la genesi del movimento operaio abbiamo bisogno che sia la materialità dei contrasti al dominio a farsi nuovo pensiero organizzato. Per fortuna la storia non finisce.

Fonte: Cambia il mondo | Autore: Roberto Musacchio 

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