E
adesso, tutti nel Pd? Metto giù la domanda in modo volutamente molto
diretto. E non lo faccio per banalizzare o per demonizzare, anzi. Lo
faccio perché la discussione mi pare aperta ed anche sensata. Anzi,
facciamo ancora meglio. Diciamo che se pure nessuno lo pensasse mi
parrebbe opportuno porsi il tema. Per correttezza dico subito che io non
sono d’accordo, ma che appunto considero la domanda ineludibile.
Mi approfitto di essere fuori da contesti che richiedono prudenza e
tatto per affermare pero’ che se si vuole realmente essere contro i
populismi si deve anche ridare chiarezza alla politica, alle azioni che
si fanno, agli scenari cui si pensa. Un tempo lontano la discussione
reale era consegnata, nei partiti comunisti, ai gruppi dirigenti più o
meno ristretti per preservare il proprio popolo dai traumi. Gli effetti
di questa prassi li abbiamo conosciuti in forme drammatiche. Ma almeno
allora qualcuno discuteva.
Ora si rischia che la vecchia doppiezza si trasformi in populismo,
laddove sono i cerchi magici a detenere il depositato più o meno
autentico dei capi. Per altro nella mia esperienza politica mi e’ già
capitato di esplicitare l’esigenza di porre termine ad una esperienza,
quella della Nuova Sinistra e del Pdup, per investire nel campo grande
dell’allora Pci.
Ricordo che sebbene giovane fui molto esplicito entrando anche in
contrasto con una gestione tattica che dilato’ i tempi della nostra
confluenza al punto che invece di Enrico Berlinguer trovammo Natta. Ma
questa e’ un’altra storia. Anche se ricordo che allora si discuteva se
si confluiva per esaurimento nostro o perché si era aperta una nuova
possibilità con la fine del compromesso storico. Io propendevo anche
allora per lo slancio in avanti.
Sta di fatto che comunque quella confluenza non ci tolse
singolarmente e collettivamente capacita’ politica se poi fummo tra
quelli che dissero no allo scioglimento del Pci e poi diedero vita a
Rifondazione Comunista. Anche oggi credo che si debba riflettere su
entrambi i corni. C’e ormai un esaurimento della spinta propulsiva a
sinistra del Pd? E/o c’e un nuovo spazio che si e’ aperto per cui in
Italia, ed anche in Europa, si puo’ ricostruire una grande sinistra,
intorno al Pd e intorno al Socialismo Europeo?
Aggiungo una terza questione che allora era meno centrale, anche se
non assente: puo’ essere il governo il mallevadore di questa nuova
soggettivita’, fornendo per altro così la sua ragione storica? Una
discussione su questi tre punti la considererei sacrosanta. Mi provo a
contribuirvi. Lascio per ultimo il tema dell’esaurimento della spinta
propulsiva perché e’ insieme il più spinoso e, per me, meno
affascinante.
C’e dunque lo spazio per quello che e’ stato detto il big bang o
almeno per la ricostruzione in Italia di una forza che per capirci
potremmo definire capace di una autonomia di visione e di azione in
direzione di una alternativa a quella che e’ la stagione del pensiero
unico della rivoluzione neoliberale? Una domanda così naturalmente non
può trovare risposta in un articolo e chiede una analisi strutturata di
cosa e’ ad esempio il Pd oggi nella sua composizione materiale, nella
cultura dei suoi gruppi dirigenti, negli interessi che rappresenta e nel
suo rapporto con gli interessi che ormai si auto rappresentano nella
stagione che stiamo vivendo di dominio tecnocratico e di crisi della
democrazia.
Se pero’ proviamo ad usare il metodo popperiano della falsificazione
mi pare che si possa dire che la tesi della svolta a sinistra in atto
nel Pd sia assolutamente contraddetta dai fatti. Dall’appoggio al
governo Monti a quello alla sostanza dei suoi provvedimenti, da quelli
quadro come il Fiscal Compact, a quelli di societa’ come la manomissione
dell’art.18 e delle pensioni di anzianità, atti per altro ribaditi con
la dichiarazioni di intenti presentata recentemente, si e’ in continuità
con una tendenza che ormai e’ talmente consolidata da divenire elemento
naturale.
Questa tendenza e’ quella per cui sia sul lavoro che sulla economia
il corpo politico che ha dato vita al Pd ha assunto punti cardine della
narrazione neoliberale e non come compromesso ma come asse della propria
identità.
Penso a due esempi emblematici che sono la flessibilità del lavoro e
le liberalizzazioni. A questo potrei aggiungere l’assunzione dellaTav
come paradigma di sviluppo e di modello di societa’, e di
decisionalita’, che per altro rimanda a vecchi cromosomi sviluppisti ed
autoritari che la vecchia identità traghetta nella nuova a matrice
neoliberale.
E’ questa modificazione genetica che per altro ha fatto si che il
tema del governo assumesse una assoluta preponderanza nella politica del
Pd rispetto alle questioni di societa’. Intendiamoci, la cultura
comunista ha sempre fascinato il tema del potere con le conseguenze che
sappiamo. Ma ora nella rivoluzione conservatrice in atto la pressione
esercitata sul corpo che da Pci si e’ fatto Pd e’ stata tutta tesa a
renderlo un soggetto che mantenesse la sua propensione al comando ma
vocandola a farsi parte del nuovo ordine in costruzione, pena
l’espunsione.
In questo contesto il governo e’ diventato, nel percorso dal Pci al
Pd, per quel soggetto politico, non l’occasione per essere se stesso ma
la neccessita’ di dimostrare di essere altro. Qui la domanda sulla
natura del corpo politico si intreccia con quella sulla possibilità di
usare il governo per rifondarlo a sinistra.
Anche qui il metodo della falsificazione dice di no. Anzi e’ stato
fin qui il contrario. Puo’ questa realtà storica essere rovesciata nel
suo contrario oggi? Qui mi pare che l’ottimismo della volontà rischi di
sconfinare in una pratica populistica di mistificazione.
Ciò che e’ accaduto con i governi progressisti del centrosinistra in
questi anni dice che sono state fatte le scelte peggiori in un contesto
che era assai meno gravato dalla etero direzione della vicenda europea e
con forze di sinistra e movimenti ben più strutturati di oggi.
Pensare per altro di trasformare il peso dell’Europa in una occasione
positiva grazie all’incontro con il socialismo europeo non si misura
per nulla con la internita’ di quella organizzazione ai processi
neoliberali che continua anche con la Spd di oggi, per parlare della
forza prevalente, che per altro ha dato il via con Schroeder alla
costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e che ancora oggi vota
tutti i provvedimenti cardine della Merkel.
Un socialismo europeo del tutto incapace di invertire la tendenza in
atto ad una Europa tecnocratica la cui costruzione e’ sempre piu’
accelerata. A proposito del lungo percorso che dal Pci porto’ al Pd, lo
stesso Occhetto all’atto dello scioglimento, pur avendo portato il
partito nell’internazionale socialista, mantenne aperta una ricerca che,
nella sua idea, era quella di una via a sinistra diversa dalle
contraddizioni che già erano evidenti in quel campo. L’ambiguità
dell’occhettismo era tale da lasciare aperta una dialettica che tale e’
stata per tanti anni anche tra i tronconi eredi del vecchio Pci. Ciò che
l’ha resa infeconda e’ stato proprio il tema del governo, su cui si
sono consumate oggettivamente le inconciliabilita’, e intorno al quale
non a caso si e’ andata chiudendo sempre più in negativo la ambiguità
stessa del Pd.
D’altronde il nodo del rapporto tra potere e trasformazione ha ucciso
il socialismo reale. E su quello tra governo e trasformazione si
consuma la crisi drammatica delle sinistre europee. Si, drammatica se ci
rendiamo conto che mentre discutiamo di governo la rivoluzione
conservatrice sta facendo venire meno l’oggetto stesso dell’agognato
governo e cioè il modello sociale europeo.
Siamo cosi al famoso pessimismo della ragione che per Gramsci contava
almeno quanto l’ottimismo della volontà e impediva le pratiche
populiste. Non c’e retorica della vittoria che può far sfuggire alla
realtà. E l’eccesso di retorica del vincere non e’ colpa minore del
rischio di disfattismo.
Da ciò che ho detto mi pare evidente che non credo che il “tutti nel
Pd” sia la soluzione. Diciamo che più che il big bang mi parrebbe il
vecchio entrismo. Ma se intellettualmente può valere il vecchio
montaliano “ciò che non siamo ciò che non vogliamo”, politicamente serve
di più e di più collettivo.
Sapere a che punto si e’ pero’ e’ già molto. A me pare che siamo al
punto che i materiali della vecchia storia nostra non bastano più. Parlo
della vecchia Nuova Sinistra e della resistenza allo scioglimento del
Pci. Occorre questa volta sì, un nuovo inizio che nasca proprio da ciò
che il riduzionismo governista non prevede più e mal tollera e cioè il
conflitto sociale, l’autonomia della societa e dei suoi movimenti.
Rovesciando finalmente l’idealismo che pure ha attraversato la genesi
del movimento operaio abbiamo bisogno che sia la materialità dei
contrasti al dominio a farsi nuovo pensiero organizzato. Per fortuna la
storia non finisce.
Fonte:
Cambia il mondo
| Autore:
Roberto Musacchio
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