venerdì 6 giugno 2014

Dalla lista Tsipras a un partito. Di sinistra — Annamaria Rivera, Il manifesto

Che fare?. Un processo costituente, dal basso e partecipato, che in Italia e in Europa prenda le distanze da Pd e 5 Stelle. Il cui nucleo fondativo sono i comitati territoriali e non i gruppi dirigenti
V’è chi auspica un pro­cesso costi­tuente, volto alla costru­zione, dal basso, di uno spa­zio poli­tico comune, sulla base del prin­ci­pio della demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva e del cri­te­rio «una testa, un voto». Ed è que­sta, a mio parere, la dire­zione del viag­gio da intra­pren­dere per con­durre l’Altra Europa con Tsi­pras verso l’approdo di una for­ma­zione di sini­stra che tra­scenda il carat­tere di «lista di scopo» con cui è nata. Un pro­cesso dal basso implica che si valo­riz­zino i comi­tati ter­ri­to­riali, dis­se­mi­nati fin nella dimen­sione di quar­tiere, quelli che hanno reso pos­si­bile var­care l’ardua soglia del quorum.
Altra pro­spet­tiva non c’è, a meno che non si pensi di repli­care lo schema di costru­zione dall’alto con cui la Lista Tsi­pras ha esor­dito (per felice neces­sità), magari col con­fe­rire un ruolo di strut­tura inter­me­dia all’insieme di ex candidati/e. E’ scon­tato che essi/e, che hanno con­tri­buito con gene­ro­sità al suc­cesso della Lista, costi­tui­scano un pre­zioso patri­mo­nio da valo­riz­zare. Ma sarebbe la prima volta nella sto­ria della sini­stra (o almeno di quella «radi­cale», l’unica ch’io abbia mai fre­quen­tato) se si pre­ten­desse di elevarli/e al ruolo di diri­genti della fase costi­tuente: in quanto tali, non già in base alle loro qua­lità poli­ti­che e alla loro desi­gna­zione dal basso.
Il secondo nodo che con­verrà affron­tare è squi­si­ta­mente poli­tico. Io penso che la con­di­zione per uno spa­zio poli­tico comune, con l’ambizione di rico­struire una sini­stra anti-libe­ri­sta e anti-capi­ta­li­sta, sia l’autonomia poli­tica e cul­tu­rale dal Pd come dal M5S, per par­lare della sola dimen­sione nazionale.
Allo stato attuale, nep­pure il primo capo­saldo è scon­tato. Senza entrare nel merito dei con­flitti che agi­tano Sel, basta ripor­tare le dichia­ra­zioni di Nichi Ven­dola in un’intervista all’Unità del 1 giu­gno: «Il nostro oriz­zonte è l’alleanza con il Pd, a con­di­zione che si rico­strui­sca un pro­filo di cam­bia­mento (…). Ingab­biare que­sto per­corso (della Lista Tsi­pras, nda) in un nuovo con­te­ni­tore non mi con­vince (…). Meglio met­terci in ascolto e allar­gare il campo demo­cra­tico, nel cui spa­zio vogliamo essere la sinistra».
D’altra parte, le pro­ba­bi­lità d’una defe­zione di Sel si ele­ve­reb­bero se mai l’esito del ripen­sa­mento di Bar­bara Spi­nelli fosse l’esclusione del can­di­dato del par­tito. Né reste­rebbe del tutto priva di con­se­guenze la for­zata rinun­cia al seg­gio della can­di­data del Sud, di area Prc. In ogni caso, una com­pli­canza seria inter­ver­rebbe a pre­giu­di­care la sorte della crea­tura poli­tica in embrione: nel migliore dei casi nasce­rebbe gra­cile. A meno che non si trovi un com­pro­messo ono­re­vole come quello della rotazione.
Quanto all’autonomia dal gril­li­smo, è in appa­renza ovvio che la pro­spet­tiva dell’alleanza del M5S con l’Ukip, par­tito nazio­na­li­sta, ultra-libe­ri­sta, nuclea­ri­sta, raz­zi­sta, non­ché omo­fobo e ses­si­sta, abbia ormai sep­pel­lito la vel­leità di dia­logo con il M5S, forse basata sull’illusione di poterne addo­me­sti­care l’anti-euro­pei­smo. Seb­bene con­di­visa da un gruppo ristretto, l’espressione pub­blica di tale vel­leità pro­ba­bil­mente ha sot­tratto alla Lista Tsi­pras un certo numero di voti, con­fluiti nel Pd: ben­ché tutt’altro che ren­ziani, alcuni elet­tori hanno pre­fe­rito votare per chi si pro­pone come argine al dila­gare del grillismo.
Insomma, a rigor di logica poli­tica la duplice distanza va da sé, soprat­tutto dopo che la stra­bi­liante vit­to­ria del Pd è stata salu­tata dal tri­pu­dio della Borsa e la pacca sulla spalla da parte della Con­fin­du­stria. E dopo che un mise­re­vole cal­colo poli­ti­ci­sta ha sve­lato anche ai meno sagaci le pul­sioni raz­zi­ste dei due sommi capi del M5S, la loro voca­zione dema­go­gica e auto­ri­ta­ria, quan­tun­que dis­si­mu­lata die­tro il culto della tra­spa­renza e il mito della demo­cra­zia diretta garan­tita dalla potenza della rete.
E invece con­viene riba­dire, ripeto, la nostra radi­cale auto­no­mia dallo schema domi­nante, che vede lo scon­tro fra due popu­li­smi in appa­renza anti­no­mici: il popu­li­smo libe­rale del pic­colo Bona­parte con stile da piaz­zi­sta, che «com­pra» voti elar­gendo ben ottanta euro alla plebe sof­fe­rente; e quello rea­zio­na­rio del duo Casa­leg­gio-Grillo, che titilla il ran­core soprat­tutto di ceti medi declas­sati dalla crisi e di lavo­ra­tori cogni­tari (per citare Giu­liano San­toro) fru­strati nelle loro aspet­ta­tive e attratti dalla pre­di­ca­zione in favore della meritocrazia.
Certo, il M5S è feno­meno poli­tico e socio­lo­gico ben più com­plesso e com­po­sito. Ed è per­ciò che, forse, chi vi si è rifu­giato, per dispe­ra­zione o assenza d’alternative, un giorno potrebbe essere attratto da una for­ma­zione di sini­stra lim­pi­da­mente anti-libe­ri­sta, anti-capi­ta­li­sta, liber­ta­ria. E che valo­rizzi plu­ra­li­smo, par­te­ci­pa­zione e demo­cra­zia dal basso, inco­raggi e sostenga i movi­menti e il con­flitto sociale, abbia come discri­mi­nanti l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisessismo.
Pro­iet­tate nella sfera dell’Unione Euro­pea, que­ste discri­mi­nanti appa­iono ancor più deci­sive. La sod­di­sfa­zione per il nostro non scon­tato suc­cesso elet­to­rale non può farci dimen­ti­care quale sia l’Europa che ci con­se­gnano le ultime ele­zioni: segnata pro­fon­da­mente dal «raz­zi­smo dei pic­coli bian­chi», i quali, impo­ve­riti o stron­cati dalla crisi, pen­sano di riscat­tare il loro onore sociale mediante l’inferiorizzazione degli altri e per­ciò pre­miano l’area torva che va dal nazio­na­li­smo popu­li­sta al neonazismo.

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