"Il pensiero economico neoclassico è una maledizione
per il mondo attuale". Samir Amin, 81 anni, non è tenero con molti dei
suoi colleghi economisti. E lo è ancor meno con la politica dei governi.
Un'intervista notevolissima.
di
Ruben Ramboer
"Il capitalismo entra nella sua fase senile"
"Il pensiero economico neoclassico è una maledizione per il
mondo attuale". Samir Amin, 81 anni, non è tenero con molti dei suoi
colleghi economisti. E lo è ancor meno con la politica dei governi.
"Economizzare per ridurre il debito? Menzogne deliberate"; "Regolazione
del settore finanziario? Frasi vuote". Egli ci consegna la sua analisi
al bisturi della crisi economica.
Dimenticate Nouriel Roubini, alias dott. Doom, l'economista
americano diventato famoso per avere predetto nel 2005 lo tsunami del
sistema finanziario. Ecco Samir Amin, che aveva già annunciato la crisi
all'inizio degli anni 1970. "All'epoca, economisti come Frank, Arrighi,
Wallerstein, Magdoff, Sweezy ed io stesso, avevamo detto che la nuova
grande crisi era cominciata. La grande. Non una piccola con le
oscillazioni come ne avevamo avute tante prima, ricorda Samir Amin,
professore onorario, direttore del forum del Terzo Mondo a Dakar ed
autore di molti libri tradotti in tutto il mondo. "Siamo stati presi per
matti. O per comunisti che desideravano quella realtà. Tutto andava
bene, madama la marchesa… Ma la grande crisi è davvero cominciata a quel
tempo e la sua prima fase è durata dal 1972-73 al 1980".
Parliamo per cominciare della crisi degli ultimi cinque
anni. O piuttosto delle crisi: quella dei subprimes, quella del credito,
del debito, della finanza, dell'euro… A che punto siamo?
Samir Amin. Quando tutto è esploso nel 2007 con la
crisi dei subprimes, tutti hanno fatto finta di non vedere. Gli europei
pensavano: "Questa crisi viene dagli Stati Uniti, la assorbiremo
rapidamente". Ma, se la crisi non fosse venuta da là, sarebbe cominciata
altrove. Il naufragio di questo sistema era scritto e lo era fin dagli
anni 1970. Le condizioni oggettive di una crisi di sistema esistevano
ovunque. Le crisi sono inerenti al capitalismo, che le produce in modo
ricorrente, ogni volta in modo più profondo. Non si possono comprendere
le crisi separatamente, ma in modo globale.
Prendete la crisi finanziaria. Se ci si limita a questa, si
troveranno soltanto cause puramente finanziarie, come la
deregolamentazione dei mercati. Inoltre, le banche e gli istituti
finanziari sembrano essere i beneficiari principali di quest'espansione
di capitale, cosa che rende più facile indicarli come unici
responsabili. Ma occorre ricordare che non sono soltanto i giganti
finanziari, ma anche le multinazionali in generale che hanno beneficiato
dell'espansione dei mercati monetari. Il 40% dei loro profitti proviene
da operazioni finanziarie.
Quali sono state le ragioni oggettive della diffusione della crisi?
Samir Amin. Le condizioni oggettive esistevano
ovunque. È la sovranità "degli oligopoli o dei monopoli generalizzati"
che ha posto l'economia in una crisi di accumulazione, che è allo stesso
tempo una crisi di sottoconsumo ed una crisi di profitto. Solo i
settori dei monopoli dominanti hanno potuto ristabilire il loro tasso di
profitto elevato, distruggendo però il profitto e la redditività degli
investimenti produttivi, degli investimenti nell'economia reale.
"Il capitalismo degli oligopoli o monopoli generalizzati" è
il nome con cui lei chiama una nuova fase di sviluppo del capitalismo.
In cosa questi monopoli sono diversi da quelli di un secolo fa?
Samir Amin. La novità è nel termine
"generalizzato". Dall'inizio del 20° secolo, ci sono stati attori
dominanti nel settore finanziario e nel settore industriale, nella
siderurgia, la chimica, l'automobile, ecc. Questi monopoli erano grandi
isole nell'oceano delle piccole e medie imprese, realmente indipendenti.
Ma, da una trentina di anni, assistiamo ad una centralizzazione
sproporzionata del capitale. La rivista Fortune cita oggi 500 oligopoli
le cui decisioni controllano l'intera economia mondiale, dominando a
monte e a valle tutti i settori di cui non sono direttamente
proprietari.
Prendiamo l'agricoltura. Una volta un contadino poteva scegliere tra molte imprese per le sue attività. Oggi, piccole e medie imprese agricole devono affrontare a monte il blocco finanziario di colossi bancari e monopoli di produzione dei fertilizzanti, dei pesticidi e degli OGM di cui Monsanto è l'esempio più eclatante. E, a valle, deve affrontare le catene di distribuzione e i grandi supermercati. Con questo doppio controllo, la sua autonomia e i suoi redditi si riducono sempre di più.
Prendiamo l'agricoltura. Una volta un contadino poteva scegliere tra molte imprese per le sue attività. Oggi, piccole e medie imprese agricole devono affrontare a monte il blocco finanziario di colossi bancari e monopoli di produzione dei fertilizzanti, dei pesticidi e degli OGM di cui Monsanto è l'esempio più eclatante. E, a valle, deve affrontare le catene di distribuzione e i grandi supermercati. Con questo doppio controllo, la sua autonomia e i suoi redditi si riducono sempre di più.
È per questo che lei preferisce parlare oggi di un sistema
basato "sulla massimalizzazione di rendite monopolistiche" piuttosto che
"di massimalizzazione del profitto?"
Samir Amin. Sì. Il controllo garantisce a questi
monopoli rendite provenienti dal reddito complessivo del capitale
ottenuto dallo sfruttamento del lavoro. Quest'entrate diventano
imperialiste nella misura in cui questi monopoli operano nel Sud. La
massimalizzazione di queste entrate concentra i redditi e le fortune
nelle mani di una piccola elite a scapito dei salari, ma anche dei
vantaggi del capitale non monopolistico. La disuguaglianza crescente
diventa assurda. In definitiva è paragonabile ad un miliardario che
possiede il mondo intero e lascia tutti nella miseria.
I liberali sostengono che occorre "ingrandire la torta"
reinvestendo i profitti. È soltanto dopo che si può operare la
divisione.
Samir Amin. Ma non si investe nella produzione,
poiché non vi è più domanda. Le rendite sono investite dalla fuga in
avanti sui mercati finanziari. L'espansione di un quarto di secolo di
investimenti nei mercati finanziari non ha precedenti nella storia. Il
volume delle transazioni su questi mercati è più di 2.500.000 miliardi
di dollari, mentre il PIL mondiale è di 70.000 miliardi di dollari.
I monopoli preferiscono quest'investimenti finanziari a quelli nell'economia reale. È "la finanziarizzazione" del sistema economico. Questo tipo d'investimento è l'unico modo per continuare questo "capitalismo dei monopoli generalizzati". In questo senso, la speculazione non è un vizio del sistema, ma un'esigenza logica di quest'ultimo.
È nei mercati finanziari che gli oligopoli - non soltanto le banche - fanno i loro profitti e si fanno concorrenza tra loro per questi profitti. La sottomissione della gestione delle aziende al valore delle azioni della borsa, la sostituzione del sistema pensionistico con la capitalizzazione del sistema a ripartizione, l'adeguamento dei tassi di cambio flessibili e l'abbandono della determinazione del tasso d'interesse da parte delle banche centrali lasciando questa responsabilità "ai mercati" devono essere comprese in questa finanziarizzazione.
I monopoli preferiscono quest'investimenti finanziari a quelli nell'economia reale. È "la finanziarizzazione" del sistema economico. Questo tipo d'investimento è l'unico modo per continuare questo "capitalismo dei monopoli generalizzati". In questo senso, la speculazione non è un vizio del sistema, ma un'esigenza logica di quest'ultimo.
È nei mercati finanziari che gli oligopoli - non soltanto le banche - fanno i loro profitti e si fanno concorrenza tra loro per questi profitti. La sottomissione della gestione delle aziende al valore delle azioni della borsa, la sostituzione del sistema pensionistico con la capitalizzazione del sistema a ripartizione, l'adeguamento dei tassi di cambio flessibili e l'abbandono della determinazione del tasso d'interesse da parte delle banche centrali lasciando questa responsabilità "ai mercati" devono essere comprese in questa finanziarizzazione.
La deregolamentazione dei mercati finanziari è
nel mirino da qualche anno. I dirigenti politici parlano "di
moralizzazione delle operazioni finanziarie" e "di sbarazzarsi del
capitalismo-casinò". La regolazione sarebbe dunque una soluzione alla
crisi?
Samir Amin. Queste non sono che parole, frasi
vuote per fuorviare l'opinione pubblica. Questo sistema è destinato a
proseguire la sua pazza corsa alla redditività finanziaria. La
regolazione peggiorerebbe ancor più la crisi. Dove andrebbe allora
l'eccedenza finanziaria? Da nessuna parte! Comporterebbe una massiccia
svalutazione del capitale, che si tradurrebbe tra l'altro in un crac di
borsa.
Gli oligopoli o monopoli ("i mercati") ed i loro servitori politici, non hanno dunque altro progetto che restaurare lo stesso sistema finanziario. Non è escluso che il capitale sappia restaurare il sistema esistente prima dell'autunno 2008. Ma ciò richiederà somme gigantesche delle banche centrali per eliminare tutti i crediti tossici e ristabilire il profitto e l'espansione finanziaria. E il conto dovrà essere accettato dai lavoratori in generale e dai popoli del Sud in particolare. Sono i monopoli che hanno l'iniziativa. E le loro strategie hanno sempre dato i risultati sperati, vale a dire i piani d'austerità.
Gli oligopoli o monopoli ("i mercati") ed i loro servitori politici, non hanno dunque altro progetto che restaurare lo stesso sistema finanziario. Non è escluso che il capitale sappia restaurare il sistema esistente prima dell'autunno 2008. Ma ciò richiederà somme gigantesche delle banche centrali per eliminare tutti i crediti tossici e ristabilire il profitto e l'espansione finanziaria. E il conto dovrà essere accettato dai lavoratori in generale e dai popoli del Sud in particolare. Sono i monopoli che hanno l'iniziativa. E le loro strategie hanno sempre dato i risultati sperati, vale a dire i piani d'austerità.
In effetti questi piani d'austerità si succedono, a quanto
pare, per ridurre i debiti degli stati. Ma si sa che ciò peggiora la
crisi. I dirigenti politici sono degli imbecilli?
Samir Amin. Ma no! È sull'obiettivo che c'è menzogna. Quando i governi pretendono di volere la riduzione del debito, mentono deliberatamente. L'obiettivo non è la riduzione del debito, ma che gli interessi del debito continuino ad essere pagati e, preferibilmente, a tassi ancora più elevati. La strategia dei monopoli finanziari, al contrario, ha bisogno della crescita del debito: il capitale ci guadagna, sono investimenti interessanti.Nel frattempo l'austerità peggiora la crisi, c'è chiaramente una contraddizione. Come diceva Marx, la ricerca del massimo profitto distrugge le basi che lo permettono. Il sistema implode sotto i nostri occhi, ma è condannato a proseguire la sua folle corsa.
Samir Amin. Ma no! È sull'obiettivo che c'è menzogna. Quando i governi pretendono di volere la riduzione del debito, mentono deliberatamente. L'obiettivo non è la riduzione del debito, ma che gli interessi del debito continuino ad essere pagati e, preferibilmente, a tassi ancora più elevati. La strategia dei monopoli finanziari, al contrario, ha bisogno della crescita del debito: il capitale ci guadagna, sono investimenti interessanti.Nel frattempo l'austerità peggiora la crisi, c'è chiaramente una contraddizione. Come diceva Marx, la ricerca del massimo profitto distrugge le basi che lo permettono. Il sistema implode sotto i nostri occhi, ma è condannato a proseguire la sua folle corsa.
Dopo la crisi degli anni 1930, comunque lo Stato è stato
capace di superare parzialmente questa contraddizione ed è stata
adottata una politica keynesiana di rilancio.
Samir Amin. Sì, ma quando è stata introdotta questa politica keynesiana? All'inizio, la risposta alla crisi del 1929 è stata esattamente la stessa di oggi: politiche di austerità, con la loro spirale discendente. L'economista Keynes diceva che era assurdo e che occorreva fare il contrario. Ma è soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale che è stato ascoltato. Non perché la borghesia fosse convinta delle sue idee, ma perché ciò è stato imposto dalla classe operaia. Con la vittoria dell'Armata Rossa sul nazismo e la simpatia per la resistenza comunista, la paura del comunismo era davvero molto presente.
Samir Amin. Sì, ma quando è stata introdotta questa politica keynesiana? All'inizio, la risposta alla crisi del 1929 è stata esattamente la stessa di oggi: politiche di austerità, con la loro spirale discendente. L'economista Keynes diceva che era assurdo e che occorreva fare il contrario. Ma è soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale che è stato ascoltato. Non perché la borghesia fosse convinta delle sue idee, ma perché ciò è stato imposto dalla classe operaia. Con la vittoria dell'Armata Rossa sul nazismo e la simpatia per la resistenza comunista, la paura del comunismo era davvero molto presente.
Oggi alcuni - non molto numerosi - economisti borghesi
intelligenti, possono dire che le misure d'austerità sono assurde. Ed
allora? Finché il capitale non sarà costretto dai suoi avversari ad
allungare con l'acqua il suo vino, tutto questo continuerà.
Quale è il legame tra la crisi emersa da qualche anno e quella degli anni 1970?
Samir Amin. All'inizio degli anni 70 la crescita economica ha subito una caduta. Nel giro di qualche anno, i tassi di crescita sono scesi alla metà di quelli del trentennio glorioso: in Europa dal 5 al 2,5%, negli Stati Uniti dal 4 al 2%. Questa caduta brutale era accompagnata da una caduta di medesima ampiezza degli investimenti nel settore produttivo.
Samir Amin. All'inizio degli anni 70 la crescita economica ha subito una caduta. Nel giro di qualche anno, i tassi di crescita sono scesi alla metà di quelli del trentennio glorioso: in Europa dal 5 al 2,5%, negli Stati Uniti dal 4 al 2%. Questa caduta brutale era accompagnata da una caduta di medesima ampiezza degli investimenti nel settore produttivo.
Negli anni 1980, Thatcher e Reagan hanno reagito con le
privatizzazioni, la liberalizzazione dei mercati finanziari e una
durissima politica di austerità. Ciò non ha fatto risalire i tassi di
crescita, ma li ha mantenuti ad un livello molto basso. D'altra parte lo
scopo dei liberali non è mai stato il ripristino della crescita che
dicevano. Lo scopo era soprattutto di ridistribuire i redditi verso il
capitale. Missione compiuta. Ed ora, quando in Belgio si passa dal -0,1%
allo 0,1% di crescita, alcuni esultano: "La crisi è terminata!" È
grottesco.
Lei compara gli anni 1990 e 2000 con quelli del secolo precedente: una sorta di seconda "Belle Epoque".
Samir Amin. Ho fatto il parallelo tra le due
lunghe crisi perché, curiosamente, cominciano esattamente con cento anni
di differenza: 1873 e 1973. Inoltre, hanno gli stessi sintomi
all'inizio e la risposta del capitale è stata la stessa, cioè tre serie
di misure complementari.
In primo luogo, una centralizzazione enorme del capitale con la
prima ondata dei monopoli, quelli analizzati da Hilfirding, Hobson e
Lenin. Nella seconda crisi, ciò che chiamo "i monopoli generalizzati"
che si sono costituiti negli anni 1980.
In secondo luogo, la mondializzazione. La prima grande crisi è
l'accelerazione della colonizzazione, che è la forma più brutale della
globalizzazione. La seconda ondata, sono i piani d'adeguamento
strutturale del FMI, che si possono qualificare come ricolonizzazione.
Terza ed ultima misura: la finanziarizzazione. Quando si presenta
la finanziarizzazione come un fenomeno nuovo, sorrido. Cosa è stato
creato in risposta alla prima crisi? Wall Street e la City di Londra nel
1900!
E ciò ha avuto le stesse conseguenze. Inizialmente, per un periodo breve, sembrava funzionare, perché si pompava sui popoli, soprattutto quelli del Sud. Fu dal 1890 al 1914, la "Belle Epoque". Si sono tenuti gli stessi discorsi "sulla fine della storia" e la fine delle guerre. La globalizzazione era sinonimo di pace e di colonizzazione per una missione civilizzatrice. Ma, a cosa ha condotto tutto ciò? Prima Guerra Mondiale, Rivoluzione Russa, crisi del 1929, nazismo, imperialismo giapponese, Seconda Guerra Mondiale, Rivoluzione Cinese, ecc. Si può dire che dopo il 1989 c'è stata una sorta di seconda "Belle Epoque", fino al 2008, sebbene sin dall'inizio, sia stata accompagnata da guerre del Nord contro il Sud. Il capitale ha, in questo periodo, stabilito le strutture affinché gli oligopoli potessero beneficiare delle loro rendite. E, come la globalizzazione finanziaria ha condotto alla crisi del 1929, ha recentemente condotto alla crisi del 2008.
E ciò ha avuto le stesse conseguenze. Inizialmente, per un periodo breve, sembrava funzionare, perché si pompava sui popoli, soprattutto quelli del Sud. Fu dal 1890 al 1914, la "Belle Epoque". Si sono tenuti gli stessi discorsi "sulla fine della storia" e la fine delle guerre. La globalizzazione era sinonimo di pace e di colonizzazione per una missione civilizzatrice. Ma, a cosa ha condotto tutto ciò? Prima Guerra Mondiale, Rivoluzione Russa, crisi del 1929, nazismo, imperialismo giapponese, Seconda Guerra Mondiale, Rivoluzione Cinese, ecc. Si può dire che dopo il 1989 c'è stata una sorta di seconda "Belle Epoque", fino al 2008, sebbene sin dall'inizio, sia stata accompagnata da guerre del Nord contro il Sud. Il capitale ha, in questo periodo, stabilito le strutture affinché gli oligopoli potessero beneficiare delle loro rendite. E, come la globalizzazione finanziaria ha condotto alla crisi del 1929, ha recentemente condotto alla crisi del 2008.
Oggi, si è raggiunto lo stesso momento determinante che annuncia una nuova ondata di guerre o di rivoluzioni.
Senza tanto ridere, su quest'immagine futura… Lei scrive
che "un nuovo mondo sta nascendo, che può diventare di gran lunga più
barbaro, ma che può anche diventare migliore". Da che cosa dipende?
Samir Amin. Non ho la sfera di cristallo. Ma il
capitalismo è entrato nella sua fase senile, che può causare enormi
spargimenti di sangue. In questo periodo, i movimenti sociali e le
proteste portano cambiamenti politici, verso il meglio o verso il
peggio, fascisti o progessisti. Le vittime di questo sistema riusciranno
a formare un'alternativa positiva, indipendente e radicale? Questa è
oggi la sfida politica.
Versione ridotta di un'intervista di Samir Amin tratta da Etudes marxistes n° 99
Vedi anche Samir Amin, Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?, Il Tempo delle ciliege, 2009.
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