Mi ero ripromesso di non dire nulla sulla vicenda di Barbara Spinelli
che forse non manterrà la sua parola di lasciare il posto il Parlamento
europeo a «persone più adatte a svolgere la funzione di
europarlamentare», come da sua dichiarazione testuale a metà marzo.
Me l’ero ripromesso perché un pochino conosco Spinelli e immagino la
sua lacerazione di fronte alle pressioni che stanno esercitando su di
lei alcuni interessati capataz della lista Tsipras. Ma soprattutto me
l’ero ripromesso perché in apparenza la questione riguarda un’esigua
minoranza di persone, cioè la parte più attiva e informata di quella già
piccola fetta di elettorato che ha votato L’Altra Europa.
Poi però stamattina ho visto che la vicenda è diventata pubblica sulla prima pagina del Manifesto e altrove
– e quindi mi sono reso conto che la questione in realtà trascende
l’area della sinistra radicale italiana e investe un po’ tutto il senso
del fare politica oggi: che valore ha la parola data? Quanto conta la
coerenza tra quel che diciamo e quel che facciamo? E
non è forse questa mancanza di coerenza tra ciò che si dice e ciò che si
fa ad avere ridicolizzato in questi anni la sinistra italiana, ad
averla portata alla sparizione o alla diaspora vuoi verso il Movimento 5
stelle vuoi verso le radiose quanto vacue promesse renziane?
Questo mi chiedo stasera, non certo per disistima verso Barbara ma
molto più in generale al termine di uno studio decentemente approfondito
sulla perdita di rappresentanza della sinistra italiana, sulla mancanza
di fiducia verso i suoi sedicenti rappresentanti che da vent’anni ne
devasta l’elettorato, sulle troppe volte in cui si è detta una cosa e se
n’è fatta un’altra, insomma sul disastro che queste pratiche nefaste
hanno comportato.
Ecco: personalmente penso che l’inflazionata parola cambiamento
debba essere intesa, prima ancora che in senso riformista, in senso
autopedagogico: lavorando cioè sul cambiamento che ciascuno deve essere
in prima persona se lo vuole vedere avvenire nel mondo (Gandhi), sul
cambiamento che possiamo sperare di ottenere solo se non continuiamo noi
a fare le stesse cose (Einstein).
E uno o dei principali problemi della sinistra italiana è non praticare le cose dice, a iniziare dal cambiamento che promette.
Una questione che purtroppo è stata raramente al centro dei pur
numerosi dibattiti che la sinistra ha fatto su stessa. Così come con
scarsa frequenza è stata appresa la lezione del filosofo Emilio Agazzi,
secondo il quale non è mai il fine a giustificare i mezzi, sono invece i
mezzi a qualificare il fine.
Una questione morale, per dirla alla Berlinguer. O se preferite, appunto, comportamentale.
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