«Il forte consenso espressosi nelle elezioni del 25 maggio per il
partito che guida il governo italiano ha oggettivamente garantito
accresciuto ascolto e autorità all’Italia nel concerto europeo».
Mai sentito nella storia della Repubblica un endorsement così
smaccato da parte del Capo dello Stato per uno dei partiti presenti in
Parlamento, mai. Notare l’avverbio, “oggettivamente”, che elimina sul
nascere ogni ipotesi o opinione diversa.
«Il governo italiano ha potuto operare validamente, e con senso di
maggior sicurezza, in un clima nuovo di attenzione, per porre al centro
dello sforzo comune esigenze, elaborazioni, proposte per un nuovo corso
delle politiche finanziarie e di bilancio dei Ventotto, oltre i limiti
divenuti soffocanti e controproducenti della “austerità».
Qui all’endorsement per Renzi si aggiunge un’annotazione un po’
grottesca: è stato proprio lui l’inventore di Mario Monti e del suo
governo, quello dell’austerità, appunto.
«Il tema delle riforme necessarie per determinare condizioni idonee
allo sviluppo degli investimenti, alla creazione di nuovo lavoro, alla
maggior produttività e competitività delle nostre economie ha oramai
assunto dei contorni precisi, un’ampia articolazione concreta. E in
questo senso bisogna considerare il programma di riforme messo a fuoco
dal Presidente Renzi e dal suo governo: si tratta di un programma vasto,
da scaglionare nel tempo complessivo che lo stesso governo ha voluto
assegnarsi: ma che ha dato il senso di quale cambiamento fosse divenuto
indispensabile, e non più eludibile o rinviabile».
Il Jobs Act “ineludibile e non rinviabile”: qui si arriva
all’endorsement ad legem. Una legge peraltro che incontra opposizione
aspra in Parlamento ma anche da parte di qualche centinaio di migliaia
di persone nelle piazze, su cui quindi il Paese è profondamente diviso.
«Non posso non richiamare quanti vogliano mantenere e far registrare
dissensi su questa riforma a non farlo con spregiudicate tattiche
emendative che portino a colpire la coerenza sistematica della riforma».
Qui invece si parla della riforma del Senato spiegando
all’opposizione (e alla minoranza dem) cosa può fare e cosa no in
Parlamento. Vietato colpire la “coerenza sistematica” della proposta
Boschi. Illuso quindi chi pensava che fare opposizione secondo la legge e
i regolamenti valesse più delle regole arbitrariamente dettate da
Napolitano.
«Adoperarsi per tornare indietro rispetto alla oramai sancita
trasformazione del Senato in espressione significherebbe solo vulnerare
fatalmente la riforma, il suo senso, la sua efficacia. Rispettare, pur
nel dissenso, la coerenza delle riforme in gestazione – sul
bicameralismo, sui rapporti tra Stato e Regioni, e anche sull’altro,
fondamentale tema della legge elettorale – è un dovere di onestà
politica e di serietà istituzionale».
Qui andiamo oltre: si dà per “sancita” una riforma costituzionale
che invece è stata approvata solo una volta in un solo ramo del
Parlamento, mentre la Costituzione prevede due passaggi in ogni Camera
più l’eventuale referendum popolare. Quindi si dà dei disonesti e dei
poco seri a quanti si oppongono a questa riforma e all’Italicum.
«Il governo ha mostrato un tasso di volontà riformatrice e di
determinazione politica e istituzionale che ha riscosso riconoscimenti e
aperture di credito assolutamente notevoli sul piano internazionale. Si
sono in sostanza messi in moto processi di cambiamento all’interno, e
un fenomeno di attenzione fiduciosa dall’esterno».
Un altro endorsement per la maggioranza, intermediato
“dall’esterno”, a cui viene attribuito un credito “assolutamente
notevole” (notare, di nuovo, l’avverbio che non lascia margini di
discussione in merito).
(Ci sono) «sfide e rischi sul piano della sicurezza interna, cui
bisogna dare maggiore attenzione non solo nel “giorno per giorno”, ma in
termini strategici, dinanzi al manifestarsi e al fermentare di pulsioni
violente e di tendenze alla delegittimazione delle nostre istituzioni,
tra le quali le stesse forze di polizia».
Se i poliziotti menano, quindi, non si deve più dire.
«Tutto ciò deve indurre al massimo senso del limite, al massimo rispetto della legge e del costume civile».
Sul rispetto della legge non ci sono dubbi, ma anche il rispetto
dell’articolo 87 della Costituzione – “il Capo dello Stato rappresenta
l’unità nazionale” – sarebbe gradito. Questo invece è stato un discorso
tutto per una parte e contro le altre, per una manciata di leggi e
contro chi vi si oppone.
«Non possiamo essere ancora il Paese attraversato da discussioni che
chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su
elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino
venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello
stesso partito di maggioranza relativa. È solo tempo – e inchiostro –
che si sottrae all’esame dei problemi reali, anche politici, che sono
sul tappeto; è solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare,
in quanti seguono le vicende dell’Italia, lo spettro dell’instabilità».
Ah sì, anche il rispetto dell’articolo 21 della stessa
Costituzione sarebbe gradito. Che per l’uso dell’inchiostro, e della
tastiera, non prevede la richiesta del permesso al Quirinale.
(qui il discorso integrale)
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