Dossier Pompa-Pollari: “Governo pronto a conflitto di attribuzione contro pm”
Si chiama fuori dal pasticcio: «Non l’ho né voluto né
apposto io». Tira in ballo le autorità statali che da anni portano
avanti la linea dura davanti alle richieste della magistratura: «Il segreto
di Stato lo ha apposto il presidente del Consiglio pro tempore, lo
hanno confermato tutti i suoi successori ed afferisce alla sicurezza
nazionale». Dunque, «ad ambiti estranei alla mia disponibilità».
GENERALE ALL’ATTACCO Non ha peli sulla lingua il generale Nicolò Pollari, l’ex capo del Servizio Informazioni e Sicurezza Militare (Sismi) chiamato a testimoniare di fronte alla magistratura di Perugia intorno ai «cosiddetti fatti di via Nazionale», una delle più oscure vicende italiane degli ultimi anni:
il dossieraggio sistematico a carico di magistrati, politici e
giornalisti ritenuti ostili all’allora premier Silvio Berlusconi. Negli appunti rinvenuti, i pm erano definiti “bracci armati” di un’area “sensibile” da controllare e “disarticolare” (leggi l’articolo di Marco Lillo).
Convocato dal magistrato, Pollari ha invocato il segreto di Stato depositando due documenti esplosivi: la lettera scrittagli da Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza (Dis) della presidenza del Consiglio (è stato anche capo di gabinetto di Gianfranco Fini al tempo in cui questi era ministro degli Esteri), l’organo di coordinamento e controllo dei nostri servizi segreti; e una memoria nella
quale rivendica la limpidezza della propria condotta e quella del
servizio spiegando anche genesi e paternità politica del segreto di
Stato, voluto e imposto da palazzo Chigi sulla vicenda.
CONFLITTO PERICOLOSO Per quanto riguarda la missiva di Massolo, si tratta della famosa lettera con il timbro “riservato” di cui ilFattoquotidiano.it ha già parlato (vedi sotto). Il destinatario è naturalmente il «prof. Nicolò Pollari», oggi imputato insieme al suo collaboratore Pio Pompa, l’uomo che gestiva l’attività di dossieraggio nella sede Sismi di via Nazionale 230, a Roma.
La cosa interessante è che nella sua lettera, scritta il 23 aprile,
ossia 6 giorni prima dell’udienza al tribunale di Perugia, oltre a
comunicare all’ex capo del Sismi «di aver informato il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Autorità Delegata», ossia Matteo Renzi e il sottosegretario Marco Minniti, della
vicenda giudiziaria in corso e a ribadirgli che sull’affaire «è vigente
il segreto di Stato, così come opposto e confermato nel procedimento
penale dal Presidente del Consiglio pro tempore (nel 2012, ndr)»,
Massolo annuncia a Pollari un’altra clamorosa decisione maturata
a Palazzo Chigi: cioè che «è intendimento del Governo di proporre un
nuovo ricorso per conflitto di attribuzioni a tutela del segreto di
Stato nei termini indicati nella suddetta conferma presidenziale».
Insomma, una vera dichiarazione di guerra alla magistratura perugina, un atto duramente contestato da Francesco Paola, legale
di cinque cittadini, quattro giornalisti e un ex magistrato, vittime
del dossieraggio operato nella sede di via Nazionale: «Apporre in questa
vicenda il segreto di Stato è incomprensibile, dato che
riguarda attività manifestamente estranee ai compiti istituzionali dei
servizi», afferma Paola: «Qui non si tratta di una vicenda
internazionale delicatissima come quella di Abu Omar, che coinvolge servizi esteri come la Cia. In
questa storia si usa il segreto di Stato per nascondere un’illecità
attività di dossieraggio ai danni di magistrati e giornalisti».
MEMORIA LUNGA Per quanto attiene la memoria,
si tratta invece di un documento di ben dieci pagine in cui, tra le
altre cose, Pollari si lamenta addirittura per l’«apposizione» del
segreto su un lungo elenco di «specifiche circostanze»,
che vanno dal funzionamento degli uffici di via Nazionale 230 (erano
una sede operativa al Sismi o di soggetti italiani o stranieri? Da dove
venivano i soldi destinati all’utilizzo di informatori come l’agente
Betulla, ossia l’ex vicedirettore di Libero Renato Farina?) agli
«eventuali accertamenti e indagini relativi alla cattura e/o
all’omicidio di ostaggi italiani in Iraq». Da questo silenzio impostogli
per «dovere» di servizio, Pollari si dichiara
addirittura danneggiato: «L’apposizione del segreto di Stato (…) non
copre l’esistenza di alcun reato, né di alcuna violazione riferibili
alla mia persona e al Sismi da me diretto», scrive il generale: «Mi
inibisce però, in conformità alle leggi in vigore, di utilizzare le
prove della mia innocenza». Rispondere alle domande dei giudici per
difendersi, ossia violare il segreto, gli sarebbe impossibile:
«L’eventuale violazione di tale ordine comporterebbe per me conseguenze
in termini di commissione di reati gravissimi».
CARTA CANTA Questo
dice il generale Pollari nella memoria consegnata alla magistratura
umbra. A Perugia, d’altra parte il generale c’era già stato insieme a Pompa, entrambi imputati nel 2012 e rinviati a giudizio per peculato. Siccome in Italia non esiste il reato di dossieraggio, infatti, i due erano stati accusati di aver usato soldi e risorse pubbliche per «fini non istituzionali». La confezione dei famosi dossier,
appunto. Pollari però anche il quella occasione aveva opposto ai
giudici il segreto di Stato e la partita si era chiusa in fretta: già il
1° febbraio 2013 la gup Carla Giangamboni dichiarava il «non luogo a procedere». La Cassazione a
novembre 2014 ha invece annullato il provvedimento facendo ripartire il
processo. Ma il 23 aprile arriva la lettera di Massolo su carta
intestata della Presidenza del Consiglio. E il 29, alla prima udienza,
Pollari la fa mettere agli atti insieme alla memoria, invocando il
segreto su una lunga serie di temi e di argomenti. Una decisione che il 4
maggio, come scritto da ilfattoquotidiano.it, spinge il gup Andrea Claudiani a scrivere al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per verificare «se sia confermata o meno l’esistenza del segreto di Stato» sui fatti elencati da Pollari nella sua memoria.
MATTEO TOP SECRET Quella del segreto nella vicenda del dossieraggio è una storia lunga.
Comincia appena dopo la scoperta dell’ufficio riservato del Sismi in
via Nazionale 230 avvenuta nel 2006 nel corso dell’indagine sul
sequestro di Abu Omar condotta dai magistrati Armando Spataro e Nicola Piacente.
Il primo a porre il segreto di Stato su tutta la vicenda, dalla
“extraordinary rendition” ai dossier di via Nazionale, è stato l’allora
premier Romano Prodi. Tutti i suoi successori hanno poi confermato il timbro del segreto: Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta. Ora tocca a Matteo Renzi
e al suo governo. Il quale, come garantisce Massolo a Pollari, vuole
«proporre un nuovo ricorso per conflitto di attribuzioni a tutela del
segreto di Stato». Naturalmente tramite l’avvocatura dello Stato, per evitare che questo processo continui, presentando un ricorso alla Corte costituzionale
con l’obiettivo di fare annullare la sentenza della Cassazione che
aveva stabilito il “potersi procedere” a Perugia. Non solo per
guadagnare tempo (la prescrizione, a questo punto, si
avvicina a grandi passi) ma per evitare che in aula qualcuno riesca ad
ottenere risposte a domande in grado di fare un po’ di luce sulla vera
attività del Sismi in via Nazionale.
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