PERUGIA - La politica, tutta, è messa a dura prova
in questo fine di legislatura tecnica. I partiti passano i loro guai,
purtroppo meritatamente, le istituzioni democratiche scricchiolano sotto
il peso dell’emergenza e degli sbalzi d’umore dello spread, i movimenti
vengono repressi, dissuasi e resi innocui con la forza dell’autorità.
Da noi, in questi giorni è successo che 37 persone, tra studenti,
professori dell'università di Perugia, ricercatori, lavoratori e
precari, hanno ricevuto un avviso di conclusione di indagini
preliminari. L’accusa: aver manifestato in migliaia, a Perugia come in
moltissime città d’Italia, contro la pessima riforma Gelmini
dell’università, avversata dalla maggioranza degli atenei d’Italia, la
bellezza di un anno e mezzo fa. Per alcuni l’addebito si limita alla
partecipazione a una manifestazione non autorizzata, per altri si
aggiunge la penalmente rilevante interruzione di pubblico servizio.
Diversi i punti ancora oscuri della vicenda. Sono stati necessari 16
mesi e mezzo per arrivare alla conclusione di un’indagine che poco
poteva avere di particolarmente misterioso, visto che si trattava di una
manifestazione pubblica? Come mai solo 37 delle diverse centinaia di
partecipanti hanno ricevuto la comunicazione dell’avvenuta indagine sul
loro conto e come mai solo a uno sparuto gruppo di manifestanti è stata
mossa l’accusa di interruzione di pubblico servizio quando a bloccare la
stazione ferroviaria di Fontivegge erano almeno in duecento?
Al di là dei dettagli giudiziari, la questione si pone in termini
decisamente politici. Non è possibile lasciare che le conseguenze del
semplice esercizio di un diritto costituzionale esplichino i loro
effetti sui destini individuali delle persone chiamate dall’autorità a
rispondere dei loro comportamenti. Tutti devono sentirsi chiamati in
causa; tutti quelli presenti alla manifestazione, tutti i cittadini che
condividono le motivazioni di quella protesta, tutte le istituzioni
preposte alla garanzia del libero esercizio del diritto sancito
dall’articolo 21 della Costituzione italiana, l’intera comunità
nell’interesse della quale quei manifestanti hanno agito.
Com’è emerso dal dibattito sviluppatosi durante l’assemblea di ieri
nell’aula magna di Palazzo Manzoni a Perugia, non si tratta di una
vicenda da affrontare privatamente, ognuno rispondendo della propria
singolare responsabilità; il dissenso rispetto al progetto di
distruzione dell’università pubblica è stato espresso collettivamente e
altrettanto coralmente va respinto il tentativo di intimidazione messo
in atto come dissuasore di future mobilitazioni. Anzi, la replica deve
andare oltre, coinvolgere la città, chiamarla a interrogarsi su ciò che è
accaduto ed esprimere un proprio punto di vista sull’esercizio di un
diritto fondamentale. In quale paese che si dice democratico è
tollerabile che chi manifesta il proprio pensiero in totale sintonia con
i principi della sua legge fondamentale incorra in severe sanzioni? E
quale democrazia può ritenere auspicabile che la critica venga messa a
tacere dall’autorità e non dalla forza delle idee?
In gioco ci sono l’agibilità politica e lo spazio democratico futuri. Le forze politiche, le istituzioni, le rappresentanze sociali, la città come pensano di continuare a garantirli?
In gioco ci sono l’agibilità politica e lo spazio democratico futuri. Le forze politiche, le istituzioni, le rappresentanze sociali, la città come pensano di continuare a garantirli?
di Patrizia Proietti, Segreteria Regionale PRC – Federazione della Sinistra
Della Vecchia:Questione sociale non questione penale,solidarietà ai manifestanti
PERUGIA - La denunzia nei confronti di 37 persone
che lo scorso 30 novembre 2010, insieme a centinaia di altre tra
studenti, ricercatori, precari e docenti universitari, presero
pacificamente parte alla grande manifestazione perugina contro la
riforma Gelmini dell’Università, è un brutto segnale.
Non stiamo qui a riaprire il secolare dibattito sulla repressione, sul diritto al dissenso o sui limiti e i confini giuridici del conflitto sociale, né vogliamo mettere in discussione il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale ed il lavoro della polizia.
Ma è certo che nell’attuale situazione di crisi economica, di sofferenza per tante persone e di forte tensione sociale, rispondere alla protesta pacifica ed al conflitto democratico con la sola azione penale contro chi manifesta per cambiare le proprie condizioni di vita, di lavoro o di studio e per rivendicare un cambiamento delle politiche economiche e sociali è sbagliato e può produrre un ulteriore inasprimento delle lotte sociali.
Questo fatto chiama dunque le Istituzioni ed altri poteri indipendenti dello Stato a partire dalla Magistratura a vigilare affinché siano correttamente garantite le libertà costituzionali degli individui e dei corpi collettivi a manifestare liberamente e pacificamente le proprie opinioni: non vorremmo che l’accaduto suoni come una sorta di preavviso a tutti coloro che osino mettere in discussione il massacro sociale che si sta compiendo nel nostro Paese.
Spiace infatti constatare che una denuncia collettiva per interruzione di pubblico servizio nel corso di una manifestazione per tempo annunciata e regolarmente autorizzata, tanto più se concomitante in centinaia di altre Città italiane, come fu quella del 30 novembre 2010, ha questo brutto sapore e rischia di minare la tradizionale collaborazione tra le forze politiche e sociali dell’alternativa e del lavoro e le forze dell’ordine, così come messa storicamente in campo nella nostra Regione per garantire la sicurezza e il buon ordine delle manifestazioni della protesta civile e democratica.
Per quanto ci riguarda vigileremo attentamente affinché nel nostro Paese non possa mai venire meno il diritto di manifestazione e di protesta libera, pacifica e democratica, anche nelle sue espressioni più ferme come quando si procede a blocchi stradali e ferroviari o a occupazioni di scuole, fabbriche o edifici pubblici, considerato che sono oramai le uniche forme con cui i lavoratori, i disoccupati, i precari, gli studenti o tutti coloro che si ritrovano minacciati nei loro diritti fondamentali riescono nel nostro Paese a far sentire e pesare la loro voce.
E’ per questo che vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà politica ed umana ai 37 giovani denunciati e alle loro famiglie, affermando altresì la nostra più convinta vicinanza alle ragioni che le portarono alla protesta di quel 30 novembre 2010: quel furto di futuro nei confronti delle generazioni più giovani che va sotto il nome di Riforma Gelmini dell’Università.
Non stiamo qui a riaprire il secolare dibattito sulla repressione, sul diritto al dissenso o sui limiti e i confini giuridici del conflitto sociale, né vogliamo mettere in discussione il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale ed il lavoro della polizia.
Ma è certo che nell’attuale situazione di crisi economica, di sofferenza per tante persone e di forte tensione sociale, rispondere alla protesta pacifica ed al conflitto democratico con la sola azione penale contro chi manifesta per cambiare le proprie condizioni di vita, di lavoro o di studio e per rivendicare un cambiamento delle politiche economiche e sociali è sbagliato e può produrre un ulteriore inasprimento delle lotte sociali.
Questo fatto chiama dunque le Istituzioni ed altri poteri indipendenti dello Stato a partire dalla Magistratura a vigilare affinché siano correttamente garantite le libertà costituzionali degli individui e dei corpi collettivi a manifestare liberamente e pacificamente le proprie opinioni: non vorremmo che l’accaduto suoni come una sorta di preavviso a tutti coloro che osino mettere in discussione il massacro sociale che si sta compiendo nel nostro Paese.
Spiace infatti constatare che una denuncia collettiva per interruzione di pubblico servizio nel corso di una manifestazione per tempo annunciata e regolarmente autorizzata, tanto più se concomitante in centinaia di altre Città italiane, come fu quella del 30 novembre 2010, ha questo brutto sapore e rischia di minare la tradizionale collaborazione tra le forze politiche e sociali dell’alternativa e del lavoro e le forze dell’ordine, così come messa storicamente in campo nella nostra Regione per garantire la sicurezza e il buon ordine delle manifestazioni della protesta civile e democratica.
Per quanto ci riguarda vigileremo attentamente affinché nel nostro Paese non possa mai venire meno il diritto di manifestazione e di protesta libera, pacifica e democratica, anche nelle sue espressioni più ferme come quando si procede a blocchi stradali e ferroviari o a occupazioni di scuole, fabbriche o edifici pubblici, considerato che sono oramai le uniche forme con cui i lavoratori, i disoccupati, i precari, gli studenti o tutti coloro che si ritrovano minacciati nei loro diritti fondamentali riescono nel nostro Paese a far sentire e pesare la loro voce.
E’ per questo che vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà politica ed umana ai 37 giovani denunciati e alle loro famiglie, affermando altresì la nostra più convinta vicinanza alle ragioni che le portarono alla protesta di quel 30 novembre 2010: quel furto di futuro nei confronti delle generazioni più giovani che va sotto il nome di Riforma Gelmini dell’Università.
L’assessore provinciale
Luciano Della Vecchia
Luciano Della Vecchia
Stufara (Prc): "Distinguere questione sociale e questione penale"
PERUGIA - Il capogruppo regionale del Prc-Fds,
Damiano Stufara intervenendo sulle “denunce notificate dalla Questura di
Perugia a 37 persone per aver preso parte, insieme a centinaia di
altre, alla mobilitazione del 30 novembre 2010 contro la Riforma
dell’istruzione pubblica dell’allora ministro Gelmini”, definisce la
notizia “un evento preoccupante, che pone con forza il tema della
libertà di espressione e di manifestazione nel nostro Paese”. Stufara,
parlando a nome del Gruppo consiliare del Prc-Fds, riguardo alla
manifestazione oggetto d’indagine ritiene che, “da parte della
magistratura inquirente, vada posta la massima attenzione nell'esercizio
delle proprie funzioni, per non superare il limite che passa fra
l’accertamento dei fatti, a cui è tenuta, e la loro finalizzazione
rispetto ad assunti privi di verifica”.
“La notizia delle denunce notificate dalla Questura di Perugia a 37
persone per aver preso parte, insieme a centinaia di altre, alla
mobilitazione del 30 novembre 2010 contro la Riforma dell’istruzione
pubblica dell’allora ministro Gelmini, rappresenta un evento
preoccupante, che pone con forza il tema della libertà di espressione e
di manifestazione nel nostro Paese”. Lo afferma il capogruppo regionale
di Rifondazione comunista-Federazione della sinistra, Damiano Stufara
che aggiunge: “Di punto in bianco la comunità cittadina è messa a
conoscenza dell’esito di indagini che, fra le centinaia di manifestanti,
individua dopo quasi due anni un ristretto numero di persone meritevoli
di denuncia; una modalità questa che non può non lasciare il dubbio di
un uso del potere inquisitorio mosso da esigenze di controllo sociale,
piuttosto che dal dovere di ricercare la giustizia”.
“Riguardo alla manifestazione oggetto d’indagine, il gruppo
consiliare del Partito della Rifondazione comunista per la Federazione
della sinistra – fa sapere Stufara - ritiene che, da parte della
magistratura inquirente, vada posta la massima attenzione nell'esercizio
delle proprie funzioni, per non superare il limite che passa fra
l’accertamento dei fatti, a cui è tenuta, e la loro finalizzazione
rispetto ad assunti privi di verifica. Si tratta – spiega - di
un'osservazione dovuta, specie a fronte di una serie di vicende (dal
presidio antifascista di Terni del febbraio 2010 al presidio NO TAV del
marzo di quest'anno) che evidenziano anche in Umbria il rischio che
prevalga la tendenza a trasformare i problemi sociali in questioni di
ordine pubblico, al punto da negare il carattere eminentemente politico
di queste come di altre pacifiche azioni di protesta”.
“Il gruppo consiliare del Partito della Rifondazione comunista per
la Federazione della sinistra – aggiunge il capogruppo -, nella
consapevolezza della natura pacifica di quella manifestazione, esprime
la propria solidarietà e il proprio sostegno a quanti sono stati colpiti
da un provvedimento con tutta evidenza discrezionale, auspicando che
l'intera comunità politica e sociale del territorio – conclude Stufara -
si ponga in difesa dei diritti dei 37 manifestanti colpiti dalle
denunce, in nulla distinguibili da quanti, scendendo quel giorno in
strada contro la Riforma Gelmini, protestavano legittimamente e
democraticamente contro la privatizzazione dell’istruzione pubblica”.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua